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La classifica dei 5 migliori film autobiografici presenti su Netflix

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Spesso quando parliamo di una piattaforma streaming estremamente innovativa come Netflix ci dimentichiamo di menzionare nella sua corposa offerta i film presenti nel catalogo. Accanto ad alcune produzioni più sperimentali, non mancano invece i grandi successi cinematografici consolidati, come l’ultimo arrivato Mine Vaganti di Ferzan Özpetek. Di generi ce ne sono diversi, storie più frivole e altre più intense, drammatiche e coinvolgenti. Oggi vogliamo suggerire agli amanti di questo tipo di narrazione e non, 5 film Netflix autobiografici. Sebbene possa per alcuni risultare ovvio, esiste una differenza imprescindibile rispetto a un prodotto cinematografico biografico. L’autobiografia presuppone la scrittura della propria storia o episodio di vita da parte dello stesso protagonista. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, i film autobiografici si rivelano più coinvolgenti, introspettivi e suggestivi. E allora che aspettiamo a tuffarci in questo vivido mondo di emozioni e sensazioni di film Netflix?

Ecco la classifica dei 5 migliori film Netflix autobiografici:

5) Sette anni in Tibet

Diretto da Jean-Jacques Annaud nel 1997, Sette anni in Tibet è ispirato a un libro autobiografico scritto da Heinrich Harrer da lui pubblicato nel 1953. La storia si snoda a partire dagli eventi della grande Storia che hanno contrassegnato il XX secolo. Il protagonista, interpretato da un giovane e già allora talentuoso Brad Pitt, Heinrich Harrer è un alpinista e geografo austriaco e più in generale esploratore e autore. La sua avventura ha inizio come membro inviato dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori per scalare le montagne dell’Himalaya. Intanto però gli scenari politici si approssimavano a mutare radicalmente a causa dell’insorgere delle premesse per lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale. Dopo anni di prigionia, nel 1944 Harrer riesce finalmente a liberarsi e a raggiungere il Tibet, anche in questo caso con non poche difficoltà. La volontà di inoltrarsi nel territorio lo spingono a raggiungere Lhasa, la città da sempre proibita a incursioni e approdi da parte di stranieri. A mano a mano che il tempo passa l’uomo riesce sempre più ad ambientarsi, farsi apprezzare e accettare, fino al fatidico incontro con il Quattordicesimo Dalai Lama, il bambino Tenzin Gyats, destinato a cambiare la sua vita.

Tra i due nasce un legame intenso di cui il film cerca di restituire una profonda e fedele rappresentazione: Harrer divenne il tutore del Dalai Lama instaurando con lui un rapporto di mutuo sostegno e arricchimento personale e culturale. Oltre a questo, colpisce certamente il viaggio nel folklore e nella tradizione di una popolazione accuratamente descritta in cui è impossibile non riconoscere la centralità e il valore di testimonianza storica del testo di memorie da cui il film è tratto.

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