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La semplicità geniale di Love

Love
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla terza stagione di Love

Non sempre servono gli effetti speciali. Talvolta non sono necessari, davvero. In certi casi non abbiamo bisogno di tuffarci in una storia dalla trama intricata con protagonisti dei cinquantenni che si trasformano in pericolosi produttori di metanfetamina, rapinatori che mettono in scacco uno Stato intero o avveniristici parchi divertimento popolati da intelligenze artificiali all’avanguardia. Possiamo farne a meno, per una volta. Perché è vero, abbiamo evocato delle serie tv straordinarie che stanno avendo un successo meritatissimo, ma ci sono giorni in cui complicarsi la vita è l’ultima cosa che vogliamo e volare con la creatività diventa superfluo. Capita, davvero. Ci sono delle volte in cui basta poco. Una bella storia, scritta bene. Un intreccio essenziale, senza fronzoli. Due semplici protagonisti che raccontano una storia semplice. Una di quelle vecchie come il mondo, paradossalmente originale. Volevamo conoscere Gus e Mickey, senza saperlo. Volevamo parlare d’amore, con sincerità. Fidatevi: volevamo guardare Love.

Love

Come ben sapete, stiamo parlando di una serie in tre stagioni prodotta da Netflix (l’ultima è stata diffusa un mese fa) che, nonostante non abbia beneficiato di una campagna promozionale all’altezza, ha conquistato uno spazio importante nel cuore di molti fan, emergendo grazie alla capacità rara di essere realistica fino in fondo. In Love c’è spazio per poche forzature: potremmo menzionare il product placement ossessivo con protagonista Uber (nelle prime due stagioni, ne parleremo la settimana prossima) e la capacità innata di Gus, tutto meno che un tombeur de femmes, di realizzare nell’arco di pochissimo tempo i sogni erotici di una miriade di uomini (un ménage à trois con due giovani sorelle e una notte di fuoco con una bellissima attrice di successo, senza dimenticare l’irresistibile Mickey), ma non scalfirebbero l’idea che ci siamo fatti di questa rom-com, quasi al confine con il documentaristico.

Love è bella nella sua crudezza, tale da farci odiare i protagonisti a più riprese senza mai spezzare il contatto empatico con i due. È l’Odissea caotica di un sentimento, l’amore, che ci rende più forti di tutto e, allo stesso tempo, incredibilmente fragili. È essenziale nella raffigurazione delle insicurezze croniche di Gus, sempre capace di buttare al vento le grandi occasioni che la vita gli offre, e della voglia di rinascere di Mickey, morta più volte sotto i colpi di un destino che sembrava maledetto. Il loro incontro riprende i canoni tipici delle fiabe dal sapore antico (lo sfigatone e la strafiga) e li adatta a proprio piacimento mostrandoci, in sintesi, quello che sarebbe successo nella realtà: una relazione con tanti bassi e degli alti che valgono ampiamente l’onere dei sacrifici che in ogni storia d’amore si devono fare. Una storia davvero romantica, che non deve mai ricorrere al melò per tenere alta la tensione emotiva.

Love

Avremmo trovato banale il finale, se Love non avesse avuto queste caratteristiche. Non avremmo apprezzato l’incrocio di sguardi conclusivo, non ci avrebbe coinvolto fino in fondo. Ogni grande amore, anche se vissuto intensamente in una manciata di mesiculmina in un grande matrimonio, ed è stato così anche stavolta. Con una differenza: se si porta avanti uno schema prevedibile in modo imprevedibile, non si può sapere fino all’ultimo momento cosa succederà. Abbiamo temuto che Gus e Mickey rovinassero tutto e che questa fiaba non avrebbe avuto un lieto fine, ma il cinismo degli autori si è fermato di fronte all’imponderabilità dell’amore che sa rendere compatibili le persone più incompatibili. Stabili le donne più instabili. Coraggiosi gli uomini più codardi. Vive, le anime afflitte senza più una speranza. L’amore che ha reso Gus e Mickey due persone migliori, capaci di fare di ogni difetto un punto di forza. Un vero effetto speciale, il più spettacolare. Alla faccia del CGI.

Antonio Casu 

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