Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla terza stagione di Lovesick
Si può essere malati d’amore? La risposta è chiarissima e unisce il mondo intero in un unico coro: sì, maledizione. È un virus subdolo i cui sintomi, seppure inconfondibili, sono percepibili solo da chi non ne è affetto. Quando ce ne rendiamo conto è troppo tardi: gli antipiretici non sono efficaci, gli antibiotici inutili. L’amore si deve affrontare senza compromessi, e molto spesso una prima infezione non porta all’immunizzazione. Affatto. Al contrario di ogni altro virus, tuttavia, il mal d’amore è un giro sulle montagne russe: ai sintomi più nefasti, infatti, ne corrispondono altri meravigliosi, unici e irripetibili. Ti affossa per poi portarti in Paradiso, col rischio di rispedirti all’Inferno da un momento all’altro. L’amore ci rende instabili, padroni dell’universo o terribilmente insicuri. Cerchiamo un manuale d’istruzioni che non esiste, capendo solo dopo che ognuno di noi deve redigere il proprio. Come hanno fatto, per esempio, Dylan, Evie, Luke e Angus, protagonisti di Lovesick.
Non la conoscete, vero? Non ci sorprende. Perché Lovesick, prodotta e distribuita in Italia da Netflix, è una piccola perla sconosciuta ai più (quantomeno da noi), relegata inspiegabilmente ai margini del catalogo. La dramedy, di chiaro stampo british, ha un destino che la lega in una certa misura a The End of the F***ing World. Le due serie, infatti, sono andate in onda per la prima volta sulla visionaria Channel 4 (la stessa di Black Mirror e The IT Crowd) e non hanno incontrato inizialmente i favori del pubblico, salvo poi rinascere con lo sbarco su Netflix. Lovesick (titolata inizialmente Scrotal Recall), infatti, dopo aver rischiato la cancellazione prematura, è arrivata alla terza stagione e intravede all’orizzonte la quarta (anche se manca ancora l’ufficialità). È necessaria? Probabilmente no: il calo qualitativo del ciclo d’episodi rilasciato pochi mesi fa è significativo e l’ultimo season finale non lascia grande spazio ad ulteriori sviluppi, ma il credito che merita questa serie è ampio e la guarderemo con curiosità.
Fate altrettanto, non ve ne pentirete: Lovesick ha la rara capacità di andare in profondità nell’arco di pochissimo tempo (le tre stagioni sono composte complessivamente da 22 episodi da 25 minuti circa), attraverso lo sviluppo di tre personaggi dai mille volti. Come nella miglior tradizione inglese, la sintesi, seppur messa da parte con il terzo atto, è un elemento di forza e il mal d’amare, decantato in ogni modo, emerge con grande efficacia. Come? Attraverso un protagonista che sogna di incontrare la donna della vita, salvo poi rendersi conto di averla sempre avuta al proprio fianco. Dylan è l’espressione ideale dei trentenni della nostra generazione, tormentati dall’amore al punto da idealizzarlo senza coglierne l’essenzialità. Una volta che scopre di avere un mal d’amore che va oltre i sentimenti (la clamidia), è costretto a contattare tutte le sue ex, viaggiando alla riscoperta di un passato che può essere maestro del presente e del futuro.
Dylan, per fortuna, non è solo: Lovesick non è un one man show, ma un’opera corale arricchita da una schiera di personaggi sorprendenti. Dal playboy Luke, molto meno superficiale di quanto voglia dare a vedere, alla bella Evie, romantica sognatrice all’apparenza dura e disillusa, fino ad arrivare allo sfortunato Angus, istintivo pensatore. Vi ricorda How I Met Your Mother? È normale. Il tormentato Dylan è associabile, seppur semplicisticamente, a Ted. Un po’ come Evie a Robin e Luke a Barney. La gestione del tempo nel racconto, inoltre, unisce ulteriormente le due dramedy. Lovesick è, prima di tutto, un flusso d’emozioni che prescinde dalla scansione cronologica e una narrazione armoniosa nella quale i flashback rappresentano l’essenza stessa della storia. Insomma, le assonanze non mancano, anche se definirle simili non sarebbe corretto. Lovesick è un’opera unica nel suo genere almeno quanto How I Met Your Mother e vederle una dopo l’altra potrebbe essere un ottimo modo per trovare il manuale d’istruzioni tanto bramato. Quello che non esiste, spunto tuttavia per un dialogo intimo con un gruppo di grandi amici. Malati d’amore, come noi. Conosciuti per poco tempo, ma già imprescindibili.
Antonio Casu
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