Ormai siamo talmente abituati a sentirlo da non farci più caso. Ma quel suono è presente, onnipresente. Accompagna buona parte delle nostre visioni di film o serie tv su Netflix e ha una storia molto particolare alle spalle. Parliamo dell’iconico “ta dum” che apre tutte le produzioni originali dell’azienda di Los Gatos, familiarissimo e allo stesso tempo del tutto ignoto. Perché Netflix non lascia mai niente al caso, e anche la nascita di un effetto sonoro tanto importante nella costruzione del suo brand è stata figlia di una lunga genesi e attente valutazioni di ogni singolo dettaglio.
Qualche giorno fa, per esempio, avevamo parlato delle opzioni scartate prima di arrivare al “ta dum”, tra le quali delle bolle di sapone, gli effetti dell’oceano e, soprattutto, il verso di una capra. Quest’ultimo fu preso in considerazione fino alla fine in quanto “divertente” e “bizzarro”, ma alla fine ebbe la meglio un effetto sonoro più “ordinario”.
Ideato dal sound designer vincitore di un Oscar Lon Bender, è costituito dal suono di un anello sbattuto su una scatola di legno e dalla campionatura al contrario di una chitarra elettrica. Ma non è nato, come molti pensano, da un omaggio a House of Cards, bensì dalla ricerca spasmodica di un effetto “eccentrico” e “risoluto” e “teso”. La teoria secondo cui il “ta dum” sarebbe un richiamo all’indimenticabile pugno battuto sul tavolo da Frank Underwood nel finale della seconda stagione della prima grande serie tv originale Netflix è infatti facilmente smentibile: è nato prima il “ta dum” della scena.
Fu invece la scelta di un focus group e, soprattutto, del vicepresidente dell’area Prodotti di Netflix, Todd Yellin. O meglio, della figlia di 10 anni, visto che il dirigente non riusciva a scegliere tra le cinque opzioni rimaste in gioco dopo una scrematura su una trentina di proposte.
L’ha raccontato lo stesso Yellin nel corso di un’intervista rilasciata a Dallas Taylor nel suo podcast. L’uomo aveva le idee chiare: voleva che fosse molto corto, non ricordasse un videogame e che in qualche modo raccontasse una storia. Alla fine ebbe la meglio il “ta dum”, anche grazie a piccole revisioni (la chitarra, suonata da Charlie Campagna ) funzionali alla definizione di un climax ascendente che desse l’idea di qualcosa che “sboccia“.
Insomma, un lavoraccio. Durato un anno circa, per pochissimi secondi di effetto sonoro. Un lavoro incredibile inimmaginabile per buona parte delle persone che lo sentono pigramente ogni giorno, con un risultato importante e di grande successo. Perché quando sentiamo il “ta dum” abbiamo una sola certezza: l’associazione alla visione imminente è immediata. E una piccola nuova storia è stata raccontata ancora prima dei titoli di testa.