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Criticatela quanto volete, ma alla fine ha sempre ragione Netflix

Il protagonista di Squid Game, una delle serie di maggiore successo di Netflix

“Adesso basta: dopo questa, disdico l’abbonamento a Netflix”.

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Quante volte avete letto questo commento? Quante volte l’avete scritto? Parecchie, con ogni probabilità. E sono molte le occasioni in cui è possibile ritrovarsi di fronte a una frase del genere. Succede ogni volta che Netflix cancella una serie tv popolare, per esempio. Ma anche quando una serie tv va avanti e non risponde alle aspettative del grande pubblico. Per non parlare delle annose questioni legate alle eliminazioni degli account condivisi, dell’introduzione delle pubblicità e degli aumenti dei prezzi, piuttosto frequenti nell’ultima fase. E ancora: “Netflix è troppo woke”. “Eh no: Netflix non è abbastanza woke”. Netflix di qua, Netflix di là. Se il successo di una piattaforma si misurasse esclusivamente dai commenti condivisi sui social dagli abbonati, si potrebbe pensare che Netflix abbia già fatto da tempo la fine del suo vecchio competitor, Blockbuster. La realtà, però, è completamente diversa.

Criticatela quanto volete, ma Netflix è in gran forma.

Lo dicono i dati dell’ultimo trimestre del 2024, pubblicati nelle scorse settimane. Secondo quanto riportato, tra gli altri, da Milano Finanza, i ricavi sono pari a 10,25 miliardi di dollari (+16% su base annua, oltre le aspettative iniziali). 19 milioni i nuovi abbonati. Il titolo all’after market a Wall Street è balzato del 14,34%. Josh Gilbert, market analyst di eToro, si è espresso così: “Un quarto trimestre da incorniciare per Netflix. L’azienda ha aggiunto ben 18,9 milioni di nuovi abbonati nel trimestre. È il più grande guadagno trimestrale della sua storia, portando il totale degli abbonati globali a oltre 300 milioni. Allo stesso tempo, ha battuto le stime degli investitori in termini di utili e ricavi”.

Un altro dato, non meno significativo nel nostro contesto: Netflix continua a essere la leader italiana tra le piattaforme di streaming.

Secondo i dati di JustWatch sul terzo trimestre del 2024, guida ancora la graduatoria con un’importante porzione del 30% della platea complessiva. È seguita a ruota da Prime Video, seconda col 28%, mentre è più distante Disney+, ferma al 18%. La quarta, Now, è lontanissima: 6%. Insomma, è chiaro: qualcuno cerca ciclicamente di metterne in discussione le strategie, ma i numeri sono numeri ed evidenziano la fase più che positiva che sta attraversando in questo periodo. Una crescita esponenziale che ne fa ancora un riferimento assoluto per la serialità mondiale, con ampi margini di sviluppo ulteriore.

Le polemiche, in fondo, nascono soprattutto per questo. Netflix è ormai un’istituzione consolidata, talmente grande e trasversale da attirare l’interesse e le critiche in egual misura. Ciò riguarda le sue strategie, ma anche le valutazioni polarizzate sui contenuti proposti. Sono tantissimi e destinati a una platea diversificata, aprendo così un dibattito che attira l’attenzione più di quanto succeda con tutte le altre. Le polemiche, alla fine, sono anche una questione di percezioni: se si ha a che fare con un colosso capace di distribuire decine di nuove serie tv ogni mese, le critiche diventano inevitabili. Ciò detto, c’è una domanda importante da farsi: perché Netflix continua a crescere con questo ritmo? Diamo un’occhiata a quello che sta combinando in questo periodo.

Più serie tv per tutti, ma senza esagerare

Jenna Ortega in una scena di una delle serie tv di maggiore successo di Netflix, Mercoledì
Credits: Netflix

Una produzione così massiva di serie tv (ma anche di film) porta con sé un’esigenza chiara: catturare l’attenzione di una platea trasversale. In una parola: generalista. Di recente, abbiamo parlato per esempio di FX, network che mira all’espansione attraverso una tv di qualità rivoluzionaria e sperimentale, basata su una compressione dei titoli proposti che rifugge le logiche della cosiddetta peak tv. È un esempio di cosa possa significare evolversi nello streaming televisivo contemporaneo, così come valgono parte di quelle considerazioni per il percorso di rinnovamento che sta affrontando HBO. Ed ecco, il punto è proprio questo: se da una parte avevamo un network che ha costruito le sue fortune da golden age su un concetto mirato al “non essere una tv”, dall’altra abbiamo Netflix che, al contrario, tv vuole esserla eccome.

Nella prima fase, la filosofia era stata riassunta perfettamente da questa frase del CEO Ted Sarandos: “Più programmi ci sono, più sono le cose da vedere. Più sono le cose da vedere e più aumentano gli abbonamenti. Più aumentano gli abbonamenti e più aumentano i ricavi. Se aumentano i ricavi, aumentano i contenuti che possiamo produrre”. A un certo punto, però, qualcosa è cambiato. I numeri delle produzioni si sono abbassati notevolmente negli ultimi anni, anche se gli investimenti sono parallelamente cresciuti. Nel 2024, per esempio, si stima che Netflix abbia prodotto 5000 episodi televisivi in meno rispetto all’anno precedente, ma in compenso passeranno da 17 a 18 miliardi di dollari di investimenti nel 2025.

Le nuove strategie, applicate negli ultimi anni anche grazie alla visione di Bela Bajaria (Chief Content Officer della piattaforma), mirano a un’espansione sempre più sostenibile e, allo stesso tempo, razionale nello sviluppo dei contenuti.

Un concetto chiarissimo, riassunto plasticamente dalla stessa nel corso di un’intervista rilasciata al Financial Times: “Se provi a creare uno show per tutti, finisci per non creare uno show per nessuno”. Generalista sì, ma non troppo. Fare tanto, senza esagerare.

I voli pindarici della prima fase, votata a un’espansione mastodontica del numero di contenuti distribuiti a fronte di rapporti tra costi e benefici spesso insoddisfacenti, sono finiti. La fine della pandemia, unita alla necessità di contenere gli investimenti su titoli più specifici, ha portato Netflix a trovare un compromesso sul terreno dei cosiddetti “cheeseburger gourmet”. Ne parlammo in un articolo di due anni fa, partendo da uno spunto emblematico: la controversa cancellazione di 1899 dopo una sola stagione. Un prodotto autoriale intrigante e suggestivo seppure imperfetto e migliorabile, futuribile eppure troppo costoso rispetto alla resa nei primi mesi di distribuzione.

1899 è una delle cancellazioni più dolorose nella storia di Netflix
Credits: Netflix

Perché individuammo questo esempio? Perché quella fu una fase in cui avvenne un ideale passaggio di testimone. 1899, un prodotto esoso, ambiziosissimo sul piano espressivo ma incapace di garantire una platea all’altezza degli investimenti, non trovò più spazio nella nuova Netflix. Al contrario, nelle stesse settimane fu distribuita una serie che invece rappresenta attualmente uno dei principali successi della piattaforma: Mercoledì. Un “cheeseburger gourmet”, per l’appunto. Autoriale ma con dinamiche da blockbuster, ben fatta e intrigante al punto da andare oltre i canoni di una serie tv puramente generalista, ma destinata a target trasversali. Sì, costosa, ma con una resa garantita.

Altrettanto potremmo dire per esempio a proposito di Stranger Things, Bridgerton, The Gentlemen o di Squid Game, stando sul mercato internazionale.

In Italia, invece, citiamo in tal senso la fortunata La legge di Lidia Poët, capace di ottenere una candidatura agli ultimi Critics’ Choice Awards, ma anche la recentissima Il Gattopardo o l’ormai storica Suburra. Insomma, Netflix scommette con forza su prodotti dalla narrativa accessibile e un’impronta espressiva ambiziosa, combinata tuttavia con una resa potenziale da serie tv più generalista. Da molti punti di vista, è questo il core business attuale dell’azienda, ma la molteplicità di prodotti, provenienti da ogni angolo del mondo e con una tendenza alla costituzione di una vera e propria tv di nuova generazione, porta con sé la sopravvivenza di uno spazio di sviluppo per prodotti più sperimentali (Caleidoscopio) o più convintamente autoriali e connessi a un’idea di qualità da golden age (Ripley).

In parallelo, proliferano i prodotti più puramente generalisti e quasi assimilabili a una visione da fiction Rai, all’estero e in Italia.

Qualche tempo fa, per dire, sviluppammo un’analisi a proposito di una serie tv che arrivammo addirittura a definire “la figlia prediletta dell’algoritmo italiano”: Odio il Natale. A fronte di costi contenuti, la resa fu eccezionale. Il futuro di Netflix, allora, passa anche da qui: prodotti riconoscibili ma non necessariamente identitari, ben fatti ma senza l’impellenza di stravolgere i paradigmi e i canoni della serialità o della cinematografia. L’orizzonte rappresenta per certi versi una sorta di “ritorno al futuro, tipico di Netflix ma abbracciato anche da altre piattaforme. Congiungendo i fili, d’altronde, ne traiamo un’esperienza sempre più assimilabile a quella della vecchia tv lineare. Vale per le serie tv e per i film, ma anche per i format più televisivi (gli storici reality o Nuova Scena, in Italia) e le docuserie, affiancate negli ultimi tempi da orientamenti sempre più decisi sugli eventi sportivi live e i videogame.

Millie Bobby Brown in una scena di Stranger Things, su Netflix. Tra le serie tv del 2025, è la più attesa
Credits: Netflix

Insomma, Netflix sembra sempre avere la capacità di cavalcare i tempi e assecondarli con la risposta giusta al momento giusto.

Vale per le produzioni dirette, ma anche per il catalogo dei contenuti su licenza che compongono ancora oggi un’offerta di primissimo livello. Potremmo citare in tal senso Breaking Bad e Friends, ma anche le più recenti Hacks, Resident Alien e Mare Fuori, successi assoluti sulla piattaforma. La redistribuzione dei diritti, legata principalmente all’aumento dei competitor primari, ha portato a una fase d’assestamento dopo i primi anni, ma ora le necessità del mercato stanno portando a una nuova crescita in tal senso. È evidente, tuttavia, che la centralità degli Original sia ormai assoluta.

Dopo aver cercato di rivoluzionare il sistema con produzioni attrattive, dal grande impatto qualitativo e, soprattutto, numericamente cospicue, si è riposizionata negli ultimi anni su fasce più sostenibili e redditizie, connesse a un maggior bisogno di immediatezza ed essenzialità da parte del grande pubblico. Ciò porta alcuni a valutare negativamente il livello offerto dalle nuove produzioni, tendenti a una maggiore standardizzazione rispetto a un tempo, ma alla fine dei conti i numeri le danno ancora ragione.

Vale per la qualità del prodotto, ma anche per le cancellazioni dopo una o due stagioni di serie tv che talvolta si erano rivelate piuttosto popolari. Le politiche stringenti, mirate a definire gran parte delle decisioni entro i primi due mesi dal rilascio, creano divisioni e polemiche, ma sono funzionali alla ridefinizione del catalogo secondo nuove logiche commerciali. Si parla di decisioni che frustrano gli appassionati, anche se sono pressoché inevitabili secondo i modelli attuali.

Una politica, oltretutto, amplificata ancora una volta dal gran numero di produzioni distribuite.

Dando un’occhiata ai numeri del 2024, per esempio, ci si renderà conto che in fondo siano molte meno di quanto possa pensare una percentuale significativa di abbonati. Questo non è sufficiente per placare il nervosismo di una parte del pubblico, ma è evidente che esista una distanza tra le visioni catastrofiste di molti utenti e la resa sul mercato di una piattaforma che ha riscritto le regole dell’intrattenimento televisivo. Non appagherà mai tutti, ma è comunque difficile farne a meno. Cosa resta da fare, allora? Disdire l’abbonamento? La scelta è libera e le proposte editoriali sono variegate. Il trionfatore, però, è sempre lo stesso. “Non a tutti piacerà tutto, ma il nostro obiettivo è soddisfare il pubblico, non i critici o le persone dell’industria”, diceva Sarandos in un’intervista rilasciata qualche tempo fa. Obiettivo centrato, per ora.

Antonio Casu