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Un’altra Netflix è possibile?

Novità Netflix
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Il futuro della N rossa non è più luminoso come si prospettava anni fa, quando Netflix era appena sbarcata anche in Italia e scrivevamo articoli in cui vi consigliavamo di investirci tre euro al mese. Bei tempi, quelli: c’erano sicuramente meno contenuti rispetto a quelli che abbiamo ora, naturalmente anche molti originali Netflix in meno ma, in compenso, l’abbonamento aveva un prezzo davvero popolare.

Ora, con i rincari già annunciati dalla piattaforma di streaming più famosa del mondo, la guerra dichiarata agli account condivisi (a cui molti utenti hanno risposto con cancellazioni di abbonamenti di massa), e l’introduzione della pubblicità nei piani base Netflix sta perdendo colpi, ma non è ancora sconfitta del tutto, nonostante la concorrenza sia spietata.

Con Disney+, Sky\NOW, Amazon Prime Video, Apple Tv+ e Paramount+ che le stanno alle costole, Netflix deve ribadire il suo primato come piattaforma di streaming numero uno al mondo. E perdere abbonati non è un segnale incoraggiante: nel 2022 la diminuzione è stata di 200mila abbonati da gennaio a marzo, a fronte di una precedente stima di crescita pari a 2,5 milioni. A settembre 2022, però, la rimonta: a scanso delle previsioni, che davano circa un milione di abbonati in più, ne ha avute quasi due milioni e mezzo.

Novità Netflix

Non è tutto imputabile alla discutibile politica di Netflix di vietare gli account condivisi e di aumentare gli abbonamenti: anche “solo” il fattore geopolitico non è di poco conto per spiegare l’empasse in cui si trova l’azienda, che da un anno ha salutato Reed Hastings, storico fondatore, come Ceo in favore di Greg Peters.

I cambi di dirigenza, si sa, comportano sempre oscillazioni finanziarie: e di sicuro il 2023, così come il 2022, non è stato l’anno migliore per Netflix.

Inoltre, lo sciopero degli sceneggiatori ha messo in grave crisi il settore seriale oltre a quello cinematografico, determinando uno stop anche alle grandi produzioni Netflix come l’ultima stagione di Stranger Things, costringendo a inventarsi stratagemmi per mascherare l’età dei protagonisti, ormai indistinguibili dagli adulti.

Dovendo tagliare i costi, Netflix ha preferito non rinnovare alcune serie, tra cui 1899, decisione che ancora ci brucia: e no, non è certo normale per un’azienda che ha così tanta offerta di prodotti streaming tagliare in questo modo i costi. Il campanello d’allarme è evidente, così come è un segnale di malessere il fatto che la piattaforma abbia annunciato diversi sequel: una mossa strategica, per intercettare un pubblico già fidelizzato e non rischiare un buco nell’acqua.

Se guardiamo alle produzioni originali, fino a dicembre Netflix ne ha in programma 50 per il 2023: un numero decisamente inferiore rispetto ai 70 annunciati nel 2021 (“one new movie every week”, questo lo slogan coniato per l’occasione), e anche rispetto ai dati del 2022, che anticipavano 60 film.

Risulta chiaro, mettendo insieme i dati, che il momento per Netflix sia tutt’altro che favorevole: i tagli alle produzioni, i licenziamenti, la politica di spending review più oculata che va però nella direzione di alzare i costi sono sintomatici di una congiunzione economica non rosea.

Quindi, che fare? Netflix risorgerà dalle proprie ceneri?

Stiamo parlando pur sempre di un’azienda multimilionaria quindi sì, di sicuro i vertici troveranno una soluzione per impedirle di fare la stessa fine della sfortunata Blockbuster (che ha di recente preso in giro Netflix per la scelta di bloccare la condivisione delle password e per la decisione di investire sui negozi fisici). La direzione intrapresa dall’azienda sarebbe quella di produrre meno contenuti ma più “grossi”, puntando sulla qualità e l’aspetto regionale, dando una corsia preferenziale alle produzioni originali del vari paesi, una strategia nella quale Netflix ha sempre creduto. E se non li produrrà, li acquisterà, come ha fatto con i titoli coreani comprati in massa per cavalcare il trend di Squid Game.

Basterà? Presto per dirlo, ma potrebbe: la decisione di ridurre le produzioni e investire di più su quelle sulle quali si scommette in termini di ritorno economico potrebbe dare un taglio alla piaga delle cancellazioni a tappeto dopo una sola stagione o a metà percorso, che avevano scontentato i fan anche in anni economicamente più floridi per la piattaforma.

Oltre che sulle grandi produzioni seriali e cinematografiche, Netflix dovrebbe puntare anche sul formato più simile alla tv ordinaria, potenziando il settore reality show e investendo di più sui programmi di intrattenimento che, forse, frutteranno di meno alla piattaforma ma tengono milioni di persone incollate allo schermo per ore, potenziando al massimo l’inserimento della pubblicità negli account di base.

Un’altra strategia sarebbe prediligere per tutte le produzioni originali, soprattutto quelle più di punta, il rilascio settimanale anziché quello in blocco. Un ragionamento che, in passato, ha consentito a HBO di contare su milioni di fan in trepidante attesa della puntata settimanale di Game of Thrones e, di conseguenza, di un traffico incredibile sui social, oltre al fattore umano di vivere tutti un’irripetibile esperienza condivisa.

Netflix, inoltre, non ha ancora definito un “piano di sostituzione” per i titoli storici come Stranger Things, Bridgerton, Squid Game, che hanno fatto la sua fortuna ma che rischiano di lasciare un vuoto difficile da riempire. L’ottima risposta di One Piece avrà fatto tirare un sospiro di sollievo ai vertici, ma è necessario guardare avanti e accaparrarsi produzioni che garantiscano un profitto a lungo termine, come ad esempio ha fatto Amazon Prime Video con Il Signore degli Anelli o Warnes Bros e HBO con la serie su Harry Potter.

Questo tipo di lungimiranza è un po’ mancata a Netflix negli anni, che ha sempre preferito puntare su contenuti nuovi: ma in momenti di crisi è necessario potersi assicurare una produzione veramente mastodontica, che faccia venire voglia di abbonarsi o, addirittura, di riattivare l’abbonamento.

Per combattere la piaga delle cancellazioni, inoltre, non è sufficiente investire solo su titoli grossi: anche perché se quei titoli diventeranno effettivamente dei “best seen” è difficile dirlo in anticipo, e molte serie cancellate da Netflix gridano vendetta. Tante altre, in compenso, sembrano quasi autoconclusive salvo qualche espediente sul finale che potrebbe servire in caso di rinnovo.

Un esempio della tendenza più prudenziale di Netflix a investire a lungo termine sulle nuove produzioni è uno dei titoli usciti più di recente, Bodies: un thriller distopico sui viaggi nel tempo che non raggiunge il livello qualitativo di Dark ma tiene comunque piacevolmente incollati al divano, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione. Una serie che potrebbe essere autoconclusiva, se non fosse per un paio di espedienti nell’ultima scena (SENZA SPOILER: una scritta luminosa sui grattacieli di Londra e la comparsa di un personaggio nell’ultima scena) che potrebbero riaccendere le speranze per una seconda stagione ma che, in caso di cancellazione, non rovinano la compiutezza dell’opera.

Una serie non dovrebbe essere messa in produzione se non c’è dietro un progetto strutturato che preveda almeno un canovaccio che le consenta di proseguire per qualche stagione. Netflix dovrebbe tornare a ragionare sui nuovi progetti come si faceva nella Golden Age seriale, quando i progetti andavano avanti per anni senza ricorrere a stratagemmi o essere tranciati in corsa.

Forse, con questo cambio di mentalità, si avrebbero meno cancellazioni di abbonati delusi perché delle serie che hanno iniziato non ne sarà portata avanti nemmeno una e più utenti felici di cominciare una serie che sanno che non li abbandonerà dalla sera alla mattina a causa di calcoli e percentuali di visione. Un ragionamento troppo idealista per una multinazionale? Forse, ma chi se non un leader dello streaming come Netflix può permettersi di guardare oltre i numeri e tornare a ragionare sulla qualità?

Giulia Vanda Zennaro