Le serie tv sono a tutti gli effetti lo specchio della realtà in cui viviamo ogni giorno.
In esse possiamo ritrovare delle situazioni familiari, proprio perché siamo noi come individui ad ispirare personaggi e trame. Le dinamiche sociali, invece, fanno da sfondo a quelle umane, mandando avanti dei messaggi che la società ha a cuore in un dato momento storico. L’abbondanza di certi temi ritenuti scottanti, però, fa urlare molto spesso al politically correct, ed è lecito domandarsi se alla fine non sia tutta una questione di marketing. Netflix, in quanto sito di distribuzione globale di serie tv, ha più volte preso una posizione nei riguardi di questioni politiche o sociali, portando sul piccolo schermo di noi spettatori di tutto il mondo show televisivi che cercano di comunicare messaggi positivi volti soprattutto all’inclusività.
Di recente però Netflix è stata accusata di strizzare un po’ troppo l’occhio al politically correct.
Spesso è stato contestato il numero ingente di personaggi omosessuali sempre presenti nei prodotti originali della piattaforma, e gli spettatori non hanno potuto fare a meno di pensare che Netflix sia diventata esageratamente politically correct per portare avanti una strategia di marketing.
Cosa ci sia di sbagliato nell’essere troppo inclusivi, molti di noi non riescono a spiegarselo.
Ma a quanto pare una fetta di pubblico si sente infastidita dall’eccessiva rappresentazione che Netflix fa di orientamenti sessuali ritenuti “diversi”, e della conseguente censura di linguaggio in favore di contenuti il più politicamente corretti possibile. Che questo malcontento nasca da un’intolleranza verso qualcosa che percepiamo lontano da noi, o dall’effettivo fastidio nel vedere un disegno strategicamente congegnato dietro alle buone azioni di Netflix, il messaggio che passa non è per niente positivo, né tanto meno inclusivo.
Nemmeno a dirlo, la maggior parte di queste critiche provengono da individui che vivono in una condizione di vita libera da pregiudizi e restrizioni, e che sentono la loro libertà minata dall’avanzare della visibilità che viene data a condizioni che non li riguardano direttamente. O ancora più semplicemente, ci troviamo davanti alla tipica situazione di chi non ha voglia (o interesse) di sforzarsi a provare ad ampliare i propri orizzonti.
Ed ecco che così il politically correct diventa il capro espiatorio dell’intolleranza della nostra società.
Il problema non sono io che non riesco (o non mi sforzo) ad accettare che esistano individui diversi da me, ma è Netflix che sta cercando in tutti i modi di far parlare di sé. Perché il punto è tutto lì: che sia nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli.
E se la strategia di Netflix fosse proprio quella di creare polemica per aumentare l’audience, portando però avanti un’importante battaglia sociale, sarebbe davvero così sbagliato? In fondo, il fine giustifica il mezzo, no?
Anche se nel caso che analizziamo qui il politically correct è stato decisamente deleterio.
Già il fatto che nascano certe polemiche ci fa capire che siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di un’inclusività totale.
In questi casi, l’impegno da parte di grandi realtà come Netflix (che hanno una visibilità molto ampia) non solo è utile, ma addirittura necessario. E tutto ciò proprio perché le serie tv si sono fatte paladine delle minoranze, e sono diventate uno dei mezzi primari di comunicazione per rappresentare la nostra realtà e porcela davanti, per farcela analizzare con un occhio sempre più critico e imparziale.
L’individuo si vede sempre più spesso rappresentato in termini che non gli vanno a genio, e invece che analizzarsi preferisce trovare qualcosa di sbagliato nell’altro e lavarsene le mani. Dovremmo invece cercare di capire perché determinate rappresentazioni, o l’eccessività di esse, ci creano un disagio.
Non possiamo del tutto colpevolizzare Netflix per voler cercare di mandare un messaggio prendendo una posizione ben precisa.
Possiamo condannare Netflix per la perdita di quella naturalezza che ha contraddistinto la satira di intrattenimento finora?
Forse. Ma è anche giusto restare al passo con i tempi e cercare di rappresentare al meglio il periodo storico in cui viviamo e le sue problematiche. E se tutto ciò viene fatto in virtù di una visibilità sempre più ampia, non possiamo di certo dispiacerci se un tema attualmente così delicato come l’inclusività avrà l’opportunità di essere, in un modo o nell’altro, sulla bocca di tutti.