ATTENZIONE! Procedendo con la lettura potreste imbattervi in spoiler sulle seguenti serie presenti su Netflix: The Night Agent, Designated Survivor, The Politician, The Diplomat, Bodyguard, The Crown, House of Cards, Borgen, Chief of Staff.
Politica, politica, politica. Una questione seria, che ci riguarda tutti, da vicino. Volenti o nolenti. Ma cos’è questa politica di cui tanto si parla? La Treccani in questo senso ci viene in aiuto fornendoci una definizione molto asettica ed essenziale: il complesso delle attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di esseri umani“.
Proprio perché di interesse comune la politica è entrata a far parte degli argomenti trattati nelle serie televisive di tutto il mondo. Con, ovviamente, una infinità di interpretazioni e sfumature. Nel corso di questi ultimi trent’anni, infatti, si è passati dall’idealismo sognante di The West Wing, sinonimo di una politica rivolta ai più deboli, al violento pragmatismo di House of Cards che si concentra sul proprio tornaconto personale.
Da un estremo all’altro, insomma. Al di là di ogni giudizio la politica è certamente un tema affascinante che permette allo spettatore di visitare non soltanto i luoghi dove viene esercitato il potere. Ma anche, e soprattutto, l’animo umano, elemento imprescindibile da ogni questione che riguardi il singolo individuo e la collettività.
Per questo viaggio noi di Hall of Series abbiamo scelto le nove migliori serie televisive sulla politica attualmente presenti su Netflix. Alcune famosissime, altre meno, ciascuna con la caratteristica di dipingere la politica secondo l’utilità che essa ha, o dovrebbe avere, nei confronti della comunità.
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1) The Crown
Lunga vita alla Regina! In attesa della sesta stagione, distribuita da Netflix in due parti (la prima dal 16 novembre, la seconda dal 14 dicembre) possiamo prepararci godendoci l’ennesimo rewatch della serie storica più acclamata di questo inizio secolo.
Ideata e in parte scritta da Peter Morgan (sceneggiatore e drammaturgo inglese conosciuto per aver scritto, tra le altre cose, The Queen, Frost/Nixon, L’ultimo Re di Scozia), la serie è incentrata sulla Regina Elisabetta II, il suo regno e la famiglia reale coprendo un lasso di tempo che va dal 1947, anno del suo matrimonio con il Principe Filippo, fino ai giorni nostri.
The Crown, un successo planetario capace di vincere ventun Emmy e due Golden Globe ma non esente da critiche su diverse inesattezze storiche, è un capolavoro seriale che ha visto tra i suoi protagonisti attori e attrici del calibro di Claire Foy, Vanessa Kirby, Helena Bonham Carter, Jonathan Price, Dominc West, Imelda Staunton e Gillian Anderson. Quest’ultima nei panni della temutissima Lady di Ferro, Margaret Thatcher.
Nel suo lunghissimo regno, dal 1952 al 2022, Elisabetta II ha attraversato una quantità indescrivibile di eventi sociali e politici. Come capo di stato di una monarchia costituzionale, il suo potere presenta dei limiti. Tra i suoi pochi compiti politici c’è quello di designare il Primo Ministro. Ed Elisabetta II, l’ha compiuto ben quindici volte, ereditando dal padre il celebre Winston Churchill.
Essendo The Crown una serie basata su personaggi e fatti storici realmente esistiti e accaduti ha un limitato margine di spazio per poter operare di fantasia. La politica, perciò, assume un aspetto marginale nella storia riuscendo però a ritagliarsi una dimensione tutta sua: quella intima degli incontri settimanali tra il Prime Minister e la Sovrana.
Il passaggio da un capo di governo all’altro ci dà la scansione del tempo che passa. Gli incontri, concentrati su fatti eclatanti com’è ovvio che sia, sono interessanti dal punto di vista storico e non sono mai noiosi grazie a una scrittura colta e raffinata, infarcita di un umorismo prettamente british. Gli attori e le attrici che interpretano i primi ministri sono obbligati a una certa etichetta e subiscono, irrimediabilmente, il fascino di chi indossa, di fronte a loro, la Corona.
2) House of Cards
Dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Dal Buckingham Palace di Londra alla White House di Washington DC. In realtà House of Cards è un adattamento dell’omonima miniserie andata in onda sulla BBC agli inizi degli anni Novanta, basata sul libro omonimo di Michael Dobbs, consigliere di Margaret Thatcher.
Concepita e prodotta da Beau Williams (già sceneggiatore per Le idi di marzo, Maria regina di Scozia e Andor) la versione americana è stata pubblicata su Netflix tra il 2013 e il 2018 (sei stagioni, settantatré episodi) ottenendo sette Emmy (su 56 candidature) e due Golden Globe (su 8 candidature).
La serie è considerata come “una rappresentazione veritiera della vita politica a DC” ed è stata generalmente apprezzata da critica e pubblico. Tra i suoi numerosissimi fan anche l’ex presidente Obama il quale, in occasione dell’uscita della seconda stagione, ha chiesto ai suoi follower su Twitter di non fare spoiler.
In seguito alle note accuse il protagonista, Kevin Spacey, è stato licenziato da Netflix e l’ultima stagione è stata girata senza di lui. Secondo la critica uno dei motivi per il quale il finale di serie sia considerato tra i meno riusciti di sempre.
House of Cards racconta la storia di Frank Underwood, un membro del Congresso americano assetato di potere. In lista per la carica di Segretario di Stato viene accantonato dal presidente e per questo gli giurerà guerra, fino a farlo dimettere.
Le sei stagioni di House of Cards sono ricche di malvagità, corruzione morale ed economica, di omicidi e di finti suicidi. Il potere è una droga per Frank e la moglie Claire (Robin Wright): i due sono una coppia perfetta capace di condividere lo stesso spietato pragmatismo. Nemmeno poi tanto lontano dalla realtà.
La politica all’interno della serie targata Netflix viaggia di pari passo con la carriera del suo protagonista. Più alta è la carica, più è potente il ruolo del protagonista, più forte è la paura che provano i suoi avversari. Inutile dire che l’utilizzo della politica da parte di Frank e la moglie Claire è qualcosa che fa inorridire gli spettatori. Al tempo stesso, però, non si può non ammettere un certo fascino verso una delle coppie di cattive più apprezzate (fino all’ultima stagione, almeno) di sempre.
3) The Politician
La politica può anche esser presa alla leggera. In televisione, si capisce. Così dopo le oscure trame di House of Cards Netflix ci propone qualcosa di più frizzante, apparentemente poco impegnativo e per questo forse poco considerata, almeno in Italia.
The Politician è una serie composta, finora, da due stagioni per un totale di quindici episodi. Non è chiaro se una terza stagione sia in previsione oppure no. In ogni caso al momento non se ne hanno notizie. Ma non è importante. Le due online sono più che sufficienti per capire di che pasta sia fatto lo show creato da Ian Brennan (Dhamer e Glee), Brad Falchuk (Nip/Tuck, Glee, American Horror Story) e Ryan Murphy (Glee, Nip/Tuck).
The Politician segue le avventure di un giovane ricchissimo rampollo della West Coast con la fissa della politica. Tutta la sua vita è scandita da una intensa agenda che dovrà portarlo a diventare il Presidente degli Stati Uniti. Il suo cursus honorum lo vede impegnato già al liceo per diventare presidente degli studenti. Payton Hobart (interpretato da Ben Platt) si circonda di un manipoli di sciacalli, suoi compagni di scuola, pronti a tutto pur di aiutarlo a ricoprire la carica più importanti della scuola.
Tutta la prima stagione verte proprio in quel pronti a tutto, un imperativo capace di rovinare la vita dei giovani protagonisti che si ritrovano a comportarsi non meglio dei politici adulti dai quali sembrano aver imparato solo le cose peggiori: non si lavora per gli altri, per il bene comunque ma per ottenere la carica e con essa il potere.
4) Borgen
Borgen, che in danese significa castello facendo riferimento al palazzo di Christiansborg, a Copenaghen, sede del Parlamento, dell’ufficio del primo ministro e della Corte Costituzionale, è una serie danese ideata e scritta da Adam Price, già noto per Anna Pihl e Ragnarock.
Composta da quattro stagioni per un totale di 38 puntate, le prime tre sono andate in onda tra il 2010 e il 2013 mentre la quarta lo scorso anno, nel 2022 (quest’ultima direttamente prodotta e distribuita da Netflix). In Italia le prime tre stagioni andarono in onda tra il 2013 e il 2014 come punta di diamante del palinsesto de LaF, canale televisivo semi-generalista del gruppo Feltrinelli.
Borgen all’epoca fu un successo. Al di là della qualità della storia, della regia, e delle interpretazioni quello che piacque al pubblico, in particolare quello italiano, fu proprio il modo di fare politica. Mentre la Danimarca reale non abbia propriamente il peso politico di Stati Uniti, Russia o Gran Bretagna quella di Borgen, nonostante sia più Davide che Golia, è capace di ritagliarsi un ruolo da protagonista nello scacchiere mondiale.
L’approccio politico è totalmente diverso rispetto a quello che normalmente siamo soliti vedere in televisione. Nonostante ci siano magagne simili a quelle che si trovano nelle altre serie a farla da padrone sono il dialogo, il compromesso al rialzo, la possibilità di ottenere il meglio senza perdere la faccia, tutti espedienti politici che appartengono alla serie danese la cui protagonista, Birgitte Nyborg (Sidse Babett Knudsen) Prima Ministra per caso, ne è degna rappresentante.
Attenzione: non siamo all’acqua di rosa. E nemmeno su Veep. In Borgen si occultano cadaveri, si lotta per la sopravvivenza, si ama il potere. Solo lo si fa con un’altra finalità, forse più ricca di etica e di morale. Senza dimenticarsi mai che… c’è del marcio in Danimarca.
5) Bodyguard
Interpretata da Richard Maddden (Robb Stark in Game of Thrones e attualmente protagonista di Citadel, su Prime Video), che per questo ruolo ha vinto un Golden Globe, Bodyguard è una miniserie inglese in sei puntate creata dalla BBC e trasmessa per la prima volta nel 2018 ricevendo consenso unanime di critica e pubblico.
Creata da Jed Mercurio, già autore di Bodies e Line of Duty, Bodyguard racconta la storia di un agente di polizia inglese, reduce dall’Afghanistan, il quale riesce a sventare un attentato suicida su un treno sul quale sta viaggiando insieme a suo figlio. Il suo eroico gesto gli vale la promozione al servizio di protezione diventando l’uomo ombra della ministra degli Interni. Dopo averle salvato la vita durante un attentato, davvero adrenalinica la scena, tra i due scatta la scintilla.
La vicenda è principalmente incentrata sulla classica caccia all’uomo. Il protagonista, infatti, viene accusato di aver ucciso la sua protetta ed è costretto a fuggire per poter dimostrare la sua innocenza. La politica, però, gioca un ruolo fondamentale. La ministra, infatti, è promotrice di una legge alquanto discutibile, capace di distruggere una serie di carriere piuttosto in alto. Eliminarla è perciò l’unico modo per garantire il mantenimento dello status quo. Come quasi sempre accade lo spettatore, escluso il protagonista, non sa di chi fidarsi, obbligato a cambiare opinione continuamente dagli autori.
6) The Night Agent
Anche nel caso della prima stagione della serie creata da Shawn Ryan, andata in onda quest’anno, la politica sembra stare sullo sfondo. In realtà è ancora protagonista. O, per lo meno, è il motore per il quale i cattivi si muovono architettando attentati e tentativi di omicidio.
Shawn Ryan è un mago nel mischiare le carte. Lo abbiamo già visto in The Shield, iconica serie andata in onda tra il 2002 e il 2008, nella quale la polica e la sete di potere venivano miscelate con un distretto di polizia dei più agguerriti nella lotta contro il crimine.
Dal consigliere comunale di The Shield si passa alla Capo dello Staff della Casa Bianca. Dal detective di strada si passa al federale dell’FBI nello scantinato della Casa Bianca. Dalle combattere le bande si passa al complotto per distruggere la democrazia. The Nigh Agent si gioca a un livello superiore, è chiaro, lo si capisce fin da subito. Tanto che il pubblico ha reagito più che positivamente rendendola la terza seria di sempre con il più alto numero di spettatori all’esordio obbligando, si fa per dire, i piani alti di Netflix a confermare una seconda stagione dopo soltanto quattro giorni dalla messa in onda.
Decisamente un successone!
7) The Diplomat
Un mese dopo The Night Agent Netflix propone ai suoi abbonati The Diplomat. A differenza della numero sei del nostro elenco The Diplomat è più incentrata sulla politica. Del resto Debora Cahn, la sua creatrice e sceneggiatrice, si è fatta le ossa negli staff di The West Wing e Homeland. E certamente questa gavetta le ha permesso di creare uno show decisamente interessate ed equilibrato, capace di concentrarsi sulle vicende politiche di una ambasciatrice, interpretata da Keri Russell, sulle cui spalle pesa la pace mondiale messa a repentaglio da infidi politici avversari.
The Diplomat è un altro grande successo di Netflix. La serie non ha eguagliato i record di The Night Agent ma ha suscitato moltissimi pareri positivi da parte della critica che la elogiata per la sua credibilità oltre che per l’interpretazione dei suoi attori. Tanto che nel giro di una decina di giorni i dirigenti di Netflix hanno deciso di rinnovarla per una seconda stagione.
Così, finalmente, scopriremo chi sta cercando di scatenare la Terza Guerra Mondiale mettendo i bastoni tra le ruote all’ambasciatrice americana a Londra che fa di tutto per evitarla.
8) Chief of Staff
Uscita nel 2019 su Netflix Chief of Staff è una serie sud coreana composta da due sole stagioni per un totale di venti puntate. In patria è considerata un vero e proprio capolavoro, capace di raccontare la vita politica della Corea del Sud. La critica l’ha addirittura avvicinata a The West Wing, paragone un po’ azzardato a nostro avviso.
La storia verte principalmente sulla relazione segreta tra Jang, interpretato da Lee Jung-jae (Seong in Squid Game), e Kang, interpretata da Shin Min-a. Il primo è un ex poliziotto che si è dato alla politica, la seconda un’avvocata e giornalista. Entrambi hanno il forte desiderio di scalare le vette nei rispettivi ruoli trovandosi però su due fronti opposti e dunque spesso in conflitto tra loro.
Chief of Staff è un interessante affresco sulla politica sud coreana. La maniera con la quale vengono trattati certi argomenti, come la corruzione o il sessismo, offre allo spettatore occidentale l’opportunità di ampliare i suoi orizzonti standosene comodamente seduto in poltrona.
in Chief of Staff sono presenti anche lunghe discussioni sul funzionamento dell’apparato statale coreano. Forse un po’ eccessivo ma comunque sempre intrigante.
9) Designated Survivor
David Guggenheim ha esordito con la sceneggiatura di Safe House – Nessuno è al sicuro (2012), una interessante quanto sottovalutata spy story con protagonisti Denzel Washington e Ryan Reynolds. La sua carriera procede con altri film di minor conto. Nel 2016, però, viene mandata in onda sulla ABC la prima puntata di Designated Survivor, una serie che ha ricevuto giudizi contrastanti.
Interpretata da Kiefer Sutherland, la serie racconta uno dei retroscena più affascinanti della catena di comando americana. In occasione dell’annuale discorso sullo Stato dell’Unione (discorso tenuto dal presidente degli Stati Uniti al Congresso di fronte alle camere riunite, la Corte Suprema e tutto il Gabinetto, compresi i vertici delle forze armate) viene scelto un membro del governo definito il sopravvissuto designato. Colui che, in caso di catastrofe (leggasi la morte di tutti quelli presenti al discorso), possa prendere in mano le redini della nazione e portarne il peso sulle spalle.
Nella serie quel ruolo viene affidato proprio a Tom Kirkman (Kiefer Sutherland), semplice Segretario dello sviluppo urbano, che si gode il discorso in felpa e jeans gustandosi un cesto di pop corn. L’attentato più inimmaginabile accade e l’uomo, insieme alla sua famiglia, si ritrova proiettato nel ruolo di uomo più potente del mondo.
Designated Survivor è una serie che è stata cestinata senza un finale soddisfacente dopo un lungo tira e molla. Pur avendo il record di serie con il più alto numero di spettatori all’esordio, nel corso delle sue due stagioni iniziali ha perso colpi strada facendo venendo sospesa. È stata ripresa e poi nuovamente sospesa, questa volta definitivamente.
L’accusa più ricorrente fatta agli autori è quella di non essere riusciti a creare un prodotto originale preferendo mischiare troppi generi. Designated Survivor, infatti, per la parte politica vorrebbe assomigliare a House of Cards e The West Wing. Mentre per la parte più thriller a Homeland e 24, con una spruzzata di family drama. Col risultato di non avere una propria identità sprecando una trama che avrebbe potuto regalare grandissime soddisfazioni.
Un vero rimpianto!