3) Peaky Blinders
La Birmingham del primo dopoguerra, le bettole, le bische e il grande simbolismo. Se Peaky Blinders oltre che per gli interpreti e il racconto vi ha convinto anche per atmosfere e lirismo il merito è di una regia che sa spaziare dall’onirismo più eccezionale alla concretezza più brutale. Le scelte tecniche si alternano non risultando mai banali e conferendo sempre dinamicità alla scena.
L’hand-held shooting fa immergere la telecamera nelle risse e negli scontri più duri e sanguinosi mentre il piano sequenza spazia quando la scena è già conclusa e in campo c’è solo l’esito mortale dello scontro. In questi casi si introduce anche il top shot inquadrando il tutto dall’altro come in un rassegnato quadro finale. Tutto tace, poi, quando l’azione si sospende e Thomas Shelby epifanicamente si ripiega su se stesso, nei suoi pensieri.
Originali e allusive, le inquadrature di Peaky Blinders costituiscono un vero e proprio fiore all’occhiello di Netflix e restituiscono una regia sempre vivace e incredibilmente attenta alla profondità del racconto.