Lo sappiamo, approcciarsi a una produzione originale Netflix è sempre un rischio. Il colosso dello streaming produce centinaia di serie tv e film ogni anno e, sebbene nel tempo ci abbia regalato dei veri e propri gioielli (come questi), la qualità generale delle opere messe a disposizione sulla piattaforma è quanto meno altalenante, se non spesso deludente. Tuttavia, se in molti casi le aspettative nei confronti delle serie tv Originali Netflix sono già piuttosto basse in partenza, vi sono situazioni in cui l’idea di partenza e il materiale promozionale della serie, nonché la presenza di nomi importanti davanti e dietro alla telecamera, fanno sì che si crei intorno alle produzioni della piattaforma un clima di grande attesa. Ma cosa succede quando queste serie si rivelano non all’altezza delle previsioni? La delusione del pubblico non può che essere cocente, perché non c’è niente di più fastidioso che un’occasione sprecata. È questo il caso delle 5 serie tv presenti in questa lista, tutte accomunate da un’idea di partenza originale e interessante, che tuttavia in casa Netflix non hanno saputo sfruttare, ricevendo critiche unanimi da parte del pubblico.
1) Freud
Quando Netflix ha diffuso il primo trailer della produzione dedicata al padre della psicoanalisi, in molti hanno iniziato ad attendere con ansia l’uscita della serie. La figura di Sigmund Freud, così incisiva nella storia contemporanea e profondamente affascinante per quanto ha saputo rivelare dell’animo umano, si prestava come perfetta per diventare protagonista di un adattamento televisivo. Pur mettendo in chiaro fin dal principio che Freud non sarebbe stata una serie storicamente accurata, poiché avrebbe visto lo psicanalista nei panni di un criminologo ante-litteram intento a risolvere crimini nella Vienna del XIX secolo, nessuno si aspettava che la produzione Netflix non soltanto stravolgesse completamente la vicenda dell’uomo, ma che lo facesse in modo talmente poco riuscito da determinare il flop immediato della serie. Freud ne fuoriesce allora come un prodotto ibrido, che spazia dal crime al period drama, strizzando l’occhio al fantasy e all’horror, senza tuttavia riuscire a trovare una propria identità. Il risultato finale non è che un bizzarro copia e incolla di scene già viste e momenti nonsense di cui avremmo fatto volentieri a meno.
2) Luna Nera
Quando dopo Suburra e Baby, Netflix ha annunciato una produzione italiana a tema fantasy, ambientata durante la caccia alle streghe, in molti si sono chiesti cosa mai sarebbe potuto uscirne fuori.
Luna Nera, il period drama fanstasy italiano basato sui romanzi di Tiziana Triana, aveva due strade davanti: rivoluzionare il mondo della serialità del Bel Paese o fallire miseramente. Sebbene tutti sperassimo che la serie Netflix ci sorprendesse e si dimostrasse all’altezza delle migliori produzioni internazionali, sono bastati i primi minuti dell’episodio iniziale a farci capire che purtroppo Luna Nera altro non era che l’ennesima delusione. Eppure aveva tutte le carte in regola per essere una serie quanto meno interessante, grazie a un’ambientazione storica di grande fascino come quella dell’Italia durante la caccia alle streghe e al coraggio di portare in scena l’esoterismo e la stregoneria da una prospettiva nuova. Tutto questo non è stato abbastanza, per diverse ragioni: una recitazione eccessivamente teatrale, una trama debole, un numero di incongruenze tale da rendere impossibile chiudere un occhio e, soprattutto, la totale incapacità di sviluppare un’identità propria in grado di attrarre il pubblico.
3) Zero
Ancora una volta a deluderci è stata una produzione Netflix italiana, che poteva portare in scena una storia attuale con una prospettiva brillante e invece non ha saputo distinguersi in alcun modo.
Liberamente ispirata al romanzo “Non Ho Mai Avuto La Mia Età” di Antonio Dikele Distefano, Zero vuole raccontare la quotidianità della comunità afro-italiana da un’angolazione nuova, attraverso un’ibridazione di generi che unisce la critica sociale al fantasy e al teen drama. Il concept iniziale è di grande attualità e vuole dare una voce a una comunità troppo spesso silenziata e marginalizzata, evidenziando la complessa ricerca di un’identità propria quando si è al confine tra due culture. Il parallelismo tra l’identità dei protagonisti che trascende la singola cultura e la peculiarità di Zero di navigare tra più generi è sicuramente interessante, ma l’esecuzione della serie è talmente confusionaria e superficiale da non lasciare spazio a nessuna delle riflessioni che la produzione Netflix avrebbe probabilmente voluto suscitare. Nel tentare di distinguersi all’interno di un panorama seriale saturo, Zero si perde, non vuole riconoscersi in nessun genere e allora cerca invano di darsi un tono intellettuale che però non riesce a sostenere. Ancora una volta, la possibilità di avere una produzione italiana fantasy di livello in casa Netflix è sfumata, e Zero è caduta presto nel dimenticatoio .
4) Insatiable
La (breve) corsa di Insatiable è stata tra le più tormentate della storia della serialità televisiva, perché fin dall’uscita del trailer non sono mancate feroci polemiche da parte di coloro che ne chiedevano la cancellazione. Le numerose critiche intorno alla produzione Netflix con protagonista Debby Ryan riguardano proprio il tema trattato dalla serie, ossia quello della bulimia della protagonista, affrontato secondo la quasi unanimità della critica e del pubblico con una superficialità tale da risultare potenzialmente dannosa per gli spettatori più giovani e influenzabili. Volutamente trash e sopra le righe, “Insatiable” poteva essere un’intelligente opera satirica, una critica alla superficialità di una società che premia le apparenze e perdona tutto alla bellezza. Eppure, la serie cade nella sua stessa trappola, diventando essa stessa una manifestazione calzante di quel mondo vacuo che vuole criticare, facendo passare messaggi pericolosissimi come “magro uguale bello” e “bisessuale uguale confuso”, basate su stereotipi datati che tuttavia hanno ancora un’influenza su coloro che si approcciano a Insatiable.
5) The Chair
Da Grey’s Anatomy a Killing Eve, Sandra Oh ci ha abituati a vederla nei panni di personaggi complessi e amatissimi, recitati in maniera talmente impeccabile da non poter fare altro che ricoprirla di lodi. Quando è stato annunciato che avrebbe preso parte a una produzione Netflix, le aspettative sono salite alle stelle, tanto più che la serie in questione sembrava poter affrontare in maniera brillante un tema difficile come quello del sessismo ancora fortemente presente nel mondo accademico. The Chair è sicuramente un prodotto godibile, le cui sei puntate si guardano con piacere, eppure non è in grado di essere incisiva, tanto da essere finita subito nel dimenticatoio. Pur trattando un vasto numero di tematiche sociali, dal sessismo al razzismo, passando per il divario sociale e culturale che attraversa una società sempre più polarizzata, la produzione Netflix non riesce mai a distinguersi particolarmente. Infatti The Chair non va mai davvero a fondo, si limita a presentare un certo numero di argomenti interessanti senza tuttavia analizzarli con l’intelligenza necessaria.