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L’allergia di Netflix al rilascio settimanale, tra il trionfo di Mercoledì e il fallimento di 1899

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Non diciamo niente di nuovo: la fine di 1899, cancellata lo scorso 2 gennaio da Netflix dopo una sola stagione, non è andata giù a una percentuale molto significativa di utenti. Ai fan della serie tv creata dall’autore di Dark, Baran bo Odar, inviperiti per la conclusione anticipata di un racconto che era stato pensato per svilupparsi all’interno di tre stagioni, ma non solo: una cancellazione – in apparenza – tanto sorprendente ha messo in allarme anche chi ha visto e non ha apprezzato 1899. E pure chi non l’ha vista affatto. Sembra esser stato messo in discussione, infatti, un vincolo di fiducia tra gli utenti e la piattaforma alla quale destinano mensilmente cifre importanti: se 1899 è stata cancellata, una buona parte delle serie tv originali possono essere cancellate. In qualunque momento, in qualunque modo, a prescindere dalla natura del finale di stagione che si trasformerà poi, senza volerlo, in un finale di serie. Gli utenti, in sostanza, hanno sempre più paura di iniziare e portare avanti la visione di una nuova produzione, appassionarsi e poi convivere con l’idea che quel racconto possa non avere una conclusione degna. Nel caso peggiore, che possa non avere affatto una vera e propria conclusione.

Sembrano sempre più lontani i tempi in cui Netflix rinnovava tutto o quasi, dando fiducia a gran parte delle sue produzioni originali al di là dell’accoglienza iniziale del pubblico. Fino a tre anni fa, la percentuale di rinnovi si aggirava intorno all’80%: una percentuale molto alta. E le cancellazioni sorprendenti erano rare, rarissime, seppure non meno scottanti: si pensi a The OA, tagliata dopo due stagioni nel 2019, oppure a Sense8 (2015-2018), conclusa dopo due stagioni e un film fortemente voluto dagli utenti per chiudere le trame in modo dignitoso. Cancellazioni pesanti eppure episodiche, contestualizzabili. Ora, però, il trend è cambiato: Netflix taglia le produzioni con maggiore agevolezza e le delusioni inferte al suo pubblico sono costanti, continue, motivabili esclusivamente col freddo cinismo dei dati – ci arriveremo – e la necessità di evitare azzardi pericolosi sul piano economico.

Non starà a noi giudicare la bontà di questa strategia, ma è evidente che il problema ci sia e sia sempre più grande. Per gli utenti, e Netflix potrebbe decidere legittimamente di fregarsene. Ma lo sta diventando pure per Netflix stessa, visto che nel lungo periodo sta soffrendo non poco da vari punti di vista. Come si risolve? Non abbiamo una risposta certa, vista la grande complessità del tema, ma un’idea per evitare ad alcune produzioni di fare questa fine sì: non tutte le serie tv sono adatte a un rilascio in blocco e necessiterebbero di un rilascio settimanale, come succede a un altissimo numero di titoli prodotti e distribuiti dai competitor diretti e indiretti di Netflix.

Arriviamo quindi a un primo punto: 1899, per esempio, è una di quelle serie tv che avrebbero avuto bisogno di esser distribuite settimanalmente. E forse, in quel caso, si sarebbe persino salvata. Accontentando tutti, Netflix inclusa.

1899

È persino scontato dirlo: Netflix non risolverebbe certo tutti i suoi problemi se si arrendesse all’idea di distribuire settimanalmente alcune delle sue serie tv originali. E con ogni probabilità sbaglierebbe se decidesse di abbandonare il modello del rilascio in blocco: è un modello che ha fatto le sue fortune e l’ha caratterizzata fin dal primo momento, rivoluzionando l’approccio alla narrazione e alla fruizione delle serie tv. Ha ancora una sua imprescindibile validità, senza alcun dubbio. Però non è sempre così, in un senso o nell’altro: banalmente, ci sono serie tv che necessitano di quel tipo di rilascio e produzioni che hanno bisogno di uno schema classico. Sono approcci compatibili e altrettanto performanti, a seconda dei casi. E l’errore, in tanti casi, sta a monte. Perché rischia di essere uno sbaglio il fatto che una serie come Mercoledì – esempio non casuale – e una serie come 1899 vengano distribuite nello stesso modo e valutate attraverso gli stessi, asettici, parametri. Senza contestualizzare l’approccio all’una e all’altra in tanti elementi che i numeri possono cogliere solo fino a un certo punto. E unendo le esigenze di un pubblico da ristorante gourmet con quello da fast food.

Già, il ristorante gourmet. Non è una definizione campata per aria. E si associa a una definizione usata di recente dal The New Yorker per esporre la strategia adottata dall’attuale “global head of television” di Netflix, Bela Bajaria. Una strategia che mette al centro dell’attenzione una produzione come Bridgerton, un “cheeseburger gourmet”, e intende combinare una certa “quantità” con una buona “qualità”. Insomma, Netflix non intende distribuire dei cheeseburger da fast food. Ma nemmeno un raffinato piatto da ristorante stellato, se non si creano le condizioni giuste. Non un paradosso, ma un compromesso sempre più complesso da ottenere. Non ottenuto certamente da 1899, prodotto gourmet al di là dei gusti di chi ha apprezzato o meno la serie. Ottenuto invece da Mercoledì – esempio, ripetiamo, non casuale – e da una produzione che ha combinato la visione di un maestro del cinema, Tim Burton, con le esigenze di un pubblico affezionato ai fast food.

Siamo arrivati quindi al secondo crocevia di questa analisi: i destini di Mercoledì e 1899, infatti, sono fortemente intrecciati. E spiegano – in parte – perché la prima sia stata una dei più grandi successi Netflix del 2022 e l’altra una delle sue delusioni più cocenti.

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Mercoledì

Il motivo è presto detto: le due serie sono state rilasciate a una settimana di distanza l’una dall’altra e hanno finito per pestarsi i piedi a vicenda, pur avendo un pubblico di riferimento completamente diverso. Qualcuno, in questo senso, ha esagerato: se stessimo a quanto è possibile percepire in questo approfondimento di Collider, sembrerebbe quasi che 1899 sia stata vittima di un sabotaggio interno. Manco fosse la Medical Dimension di Netflix, nata per fallire ed esser schiacciata dal rilascio di Mercoledì, serie del quale era facilmente prevedibile il successo globale che ha ottenuto, tale da aver messo in ombra il lancio di 1899. Non è affatto così ma è evidente che il rilascio pressoché contemporaneo abbia limitato la presunta erede di Dark: Mercoledì, nell’arco di pochi giorni, ha monopolizzato l’attenzione del pubblico, conquistato la vetta delle classifiche, invaso TikTok col balletto della sua protagonista e riempito gli account social di chi chiunque abbia un account social. Ha beneficiato, essa sì, del rilascio in blocco: Mercoledì è una serie tv ideale per una visione in binge watching, aveva tutti i presupposti mediatici, storici, narrativi e tematici per imporsi subito all’attenzione del pubblico ed è stata divorata da una percentuale importante di utenti nell’arco di pochissimi giorni. Spesso pochissime ore.

E 1899? 1899 no, non aveva quel tipo di potenziale. Ed è stata schiacciata da Mercoledì in un terreno per lei innaturale. Non perché fosse o meno valida, ma perché mal si prestava a un approccio altrettanto dirompente da parte del pubblico. Avendo bisogno invece di tempo, pazienza e uno spazio sufficiente di metabolizzazione delle singole puntate, vista la grande complessità dei temi affrontati. Aveva bisogno di pazienza, da parte degli spettatori. Che vengono incoraggiati anche dal passaparola, dal fatto che una serie “stia girando”, dal parere dell’amico di turno che l’ha già vista e offre una prospettiva diversa, portando l’utente ad andare al di là dell’insoddisfazione iniziale. Aveva bisogno di un’esposizione mediatica prolungata per più tempo e uno spazio, tra un episodio e l’altro, in cui capire fino in fondo cosa si fosse visto, prendere confidenza e stabilire un contatto emotivo coi personaggi, fare delle analisi, avanzare delle teorie, fantasticare e discuterne con gli altri, offrendo una dimensione “sociale” alla visione della serie. Da condividere “in diretta” con un’ampia platea, attraverso le interazioni più disparate. E permettersi un avvio lento, in sordina, al quale far seguire, forse, una crescita dopo le prime tre-quattro puntate. In sostanza, come dicevamo in apertura, 1899 avrebbe avuto bisogno di un rilascio settimanale: niente più, niente meno. E il rilascio settimanale, come avevamo detto qualche tempo fa, offre degli innegabili vantaggi che sarebbero stati utili, se non decisivi, per valorizzare 1899 e salvarla dal brutale taglio di Netflix.

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1899 (1200×675)

Lo dicono i numeri, per certi versi. L’azienda di Los Gatos, infatti, applica dei parametri molto chiari per decretare il successo o meno di una produzione. E valutare l’opportunità di andare avanti o meno. Nell’arco di 28 giorni, di base: questo è l’arco temporale normalmente utilizzato per monitorare l’andamento di una serie dal momento dell’uscita. E non è un caso che Neil Gaiman, autore dell’opera da cui è tratta The Sandman, altra produzione originale Netflix del 2022 con un pubblico piuttosto affine a quello di 1899, avesse chiesto ai suoi fan di guardare la serie in meno tempo possibile. 28 giorni, quindi. 28 giorni in cui giocarsi il futuro: insufficienti per una serie come 1899. Che ha infatti sofferto da più punti di vista. Secondo i dati riportati da Digital i, società di analisi digitale, non tanto sul piano delle riproduzioni complessive: 1899, infatti, è stata vista per 257 milioni di ore circa, non poche. Ma cosa vuol dire? Di per sé non tanto. Quello che ha fatto davvero la differenza è stato l’andamento negativo nel corso delle prime cinque settimane, con un calo vertiginoso tra una settimana e l’altra: 79 milioni nella prima (si trattava però di soli quattro giorni) e 87 nella prima intera, poi 44, 27 e 17 nelle successive. In questo senso, la “concorrenza” interna di Mercoledì (ma anche di Dead to Me, rilasciata a sua volta nello stesso periodo) ha giocato un ruolo significativo. Tuttavia, non quanto la percentuale di completamento, tasto davvero dolente nella valutazione dell’andamento di 1899: in sostanza, il numero di persone che hanno visto la serie fino alla fine, senza mollarla prima dell’ultimo episodio.

In questo senso, diventa più evidente il motivo della cancellazione: 1899, infatti, è stata completata solo nel 32% dei casi. Due terzi delle persone hanno iniziato la serie ma non l’hanno conclusa, mollandola in tantissimi casi addirittura tra il primo e il secondo episodio.

Troppo poco per una produzione estremamente costosa per le casse di Netflix, una tra le più costose di sempre: erano stati investiti, infatti, la bellezza di 62 milioni di dollari solo per la prima stagione. Troppi per una serie che è andata abbastanza bene ma non benissimo. Per quella cifra, il pareggio non basta. Ed è un peccato, perché la sua cancellazione ha finito col lasciare per strada un’enormità di fan avvelenatissimi e un’infinità di rimpianti per quello che avremmo potuto vedere e non vedremo mai. Ma allora, Netflix ha o no delle colpe? No, a prescindere. Perché i prodotti sono suoi e può farne quello che vuole. È giusto però che si rispettino allo stesso tempo gli utenti, nel miglior modo possibile. E a questo punto, ci viene da dire che Netflix debba chiarire una volta per tutte cosa voglia fare da grande: nel suo futuro, ci sarà ancora spazio o no per produzioni come 1899? Ci sarà ancora spazio per il ristorante gourmet? Oppure avremo a che fare “solo” con un’infinità di “cheeseburger gourmet”?

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Mercoledì (640×360)

Non entreremo nel merito, ma di una cosa siamo certi: Netflix è un macrocosmo in cui 1899 e Mercoledì potrebbero coesistere benissimo, se l’azienda lo ritenesse opportuno e si puntasse a un pubblico quanto più trasversale possibile. A patto che vengano distribuite e valutate senza uniformare i parametri in tutto e per tutto. Quindi rilasciare in blocco la Mercoledì di turno, mentre si crea un appuntamento settimanale con la 1899 della situazione, da valorizzare pian piano uscendo dalla bolla dei 28 giorni e di un rilascio che crea più confusione generale che una concreta attenzione mediatica.

Oppure, in alternativa, rinunciare al gourmet e concentrarsi esclusivamente su produzioni che offrano maggiori garanzie sul piano finanziario, come sembra voler fare Bela Bajaria. L’ha chiarito di recente anche Ted Sarandos, CEO di Netflix, a proposito della cancellazione di 1899:

Netflix non ha mai cancellato uno show di successo. Molti di questi spettacoli erano ben congeniati, ma parlavano a un pubblico molto ristretto e richiedevano un budget molto elevato. La chiave è che devi essere in grado di parlare a un piccolo pubblico avendo un budget limitato e a un vasto pubblico con un budget elevato. Se lo fai bene, puoi farlo per sempre.

Una scelta di campo netta, decisa e affatto ambigua, con gli utenti che avranno sempre minor spazio per lamentarsi nel momento in cui prenderanno coscienza della tipologia di prodotto offerto. Noi, dal canto nostro, ci auguriamo che la strada da intraprendere possa essere quella della coesistenza tra prodotti alla Mercoledì e prodotti alla 1899, visto che Netflix può vantare un parco stratificato di produzioni originali d’alto livello e ha sempre dimostrato di saper fare le cose al meglio, quando si è messa nelle condizioni per farlo. Con una convinzione, da non dimenticare mai: il tempo dei lockdown, in cui eravamo chiusi in casa a divorare una serie dopo l’altra a prescindere dalla modalità ideale, è finito. E lo spazio per i rilasci settimanali sarà sempre più ampio, a seconda della tipologia di produzione.

Chissà: sulla base di questo ragionamento, 1899 sarebbe andata in onda per otto settimane e avrebbe avuto il tempo per conquistare un pubblico più cosciente e interessato a cosa stesse effettivamente guardando. Come era successo alla “madre” Dark, per esempio: se fosse stata rilasciata oggi, con ogni probabilità sarebbe stata cancellata dopo la prima, lentissima, stagione, anche se prevedeva dei costi nettamente inferiori rispetto alla sua “erede”. E non avrebbe avuto modo di diventare una delle migliori serie tv dell’ultimo decennio. Oppure chissà: 1899, una serie non certo per tutti, non avrebbe comunque conquistato il pubblico e avrebbe mostrato al mondo che gli eccessivi costi non fossero gli unici buoni motivi per cancellarla. Non lo scopriremo mai. E spiace, perché Netflix avrebbe potuto gestirla molto meglio a prescindere da quello che sarebbe poi stato il suo destino finale. Come avrebbe potuto gestire meglio tante altre situazioni, negli ultimi tempi. Ci auguriamo quindi che trovino la quadra, al più presto: d’altronde, non si vive solo di Mercoledì.

Antonio Casu