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Se vi è piaciuta The Good Place, non potete perdervi A Man on the Inside

Ted Danson in una scena di A Man on the Inside,serie tv rinnovata da Netflix
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È uscita da poche settimane, A Man on the Inside (le nostre prime impressioni), e abbiamo già capito il suo gioco: farci innamorare, ancora, delle creature di Michael Schur. Inutile stare qui a ricordare i capolavori seriali cui ha messo mano, come The Office US, Parks and Recreation e Brooklyn Nine Nine. Ma soprattutto, negli ultimi anni, The Good Place (un approfondimento sulla serie).

È da lì, infatti, che l’autore sembra ripartire, pur lanciandosi in una sfida nuova che sembra mescolare varie istanze delle sue vecchie serie tv, apportando una ventata di novità che ci fa apprezzare ancora di più A Man on the Inside.

Perciò ritroviamo Ted Danson, che stavolta è il protagonista assoluto. Lo avevamo amato nei panni del demone Michael in The Good Place), e ritroviamo anche (seppur in maniera marginale) Marc Evans Jackson, strepitoso sia in The Good Place che in Brooklyn Nine Nine. E poi ci sono dei volti nuovi, come quello di Lilah Richcreek e Mary Elizabeth Ellis (anche se i più attenti la riconosceranno da New Girl). Ma c’è anche una insolita Stephanie Beatriz, che sveste i panni di Rosa Diaz di Brooklyn Nine Nine e si cala in una parte interessantissima e controversa. Insomma, The Man on the Inside mescola molti rimandi e allo stesso tempo gioca con una nuova narrazione.

 A Man on the Inside
Credit: Colleen E. Hayes/Netflix

Ma ciò che più del resto conquista di A Man on the Inside è la leggerezza che la contraddistingue. La trama di base è un intrigo divertente che si basa su un uomo in pensione, rimasto vedovo da poco, con una figlia lontana e una vita troppo monotona. Spronato dalla stessa figlia, preoccupata per la sua salute soprattutto mentale, Charles si lancia in un progetto di investigazione. Julie, infatti, che è un’investigatrice privata, sta indagando su un furto che ha avuto luogo in una casa di riposo per anziani. Sta cercando un uomo della giusta età, ma che sappia usare i dispositivi tecnologici di base, per farlo infiltrare nella lussuosa casa di riposo e scavare dall’interno. Ma Charles si ambienta subito e non fa molta fatica a farsi da subito degli amici, pur prendendo molto (a volte troppo) seriamente il suo nuovissimo compito di investigatore in incognito. Quando la sfera personale comincerà a entrare in conflitto con quella professionale, arriveranno i guai per Charles.

A Man on the Inside è la storia di uomo graffiato dalla vita che, seppur spronato, cerca di rimettersi in carreggiata. Reinventandosi e rimettendo in discussione molto della sua vita precedente. Anche se non abbastanza da snaturarsi.

Charles, infatti, era un professore e la sua natura mite non viene mai meno, nemmeno quando la crisi sembra dietro l’angolo. Pur essendo abituati a vedere Ted Danson in panni del tutto diversi, grazie al suo ruolo in A Man on the Inside riusciamo a riclassificarlo. L’attore è infatti molto abile nel mantenere la sua figura riconoscibile. Sempre vestito di tutto punto, fazzoletto al taschino e occhiale nero. Ma che ha allo stesso tempo dei lineamenti nuovi.

Michael Schur, da questo punto di vista, utilizza questo approccio con tutti i volti conosciuti che inserisce nel cast di The Man on the Inside;

lo stesso Shawn di The Good Place, il demone per eccellenza, lo ritroviamo in A Man on the Inside. Con la stessa severità e lo stesso placido cinismo. Ma lo ritroviamo in forma umana, quindi molto più fallibile, molto più antipatico e molto meno interessante come uomo. E poi c’è Didi, la responsabile della casa di riposo, interpretata da Stephanie Beatriz: apparentemente opposta al personaggio di Rosa Diaz, profondamente simile nella ricerca della verità.

A Man on the Inside
Credit: Colleen E. Hayes/Netflix

Insomma, Michael Schur colpisce ancora e lo fa senza violenza. Con una dolcezza e una malinconia che forse ci ricorda un po’ Only Murders in the Building. Il tema dell’anzianità è sicuramente centrale in A Man on the Inside ed è trattata dal punto di vista più benevolo possibile. Seppur con degli accenni a temi più complessi come malattia e ricordo, A Man on the Inside rimane su una linea malinconica ma che è anche molto divertente e spensierata. Che ha insomma, volutamente, un ascendente ironico. La particolarità di alcune serie tv di Michael Schur, lo sappiamo, è proprio quell’ironia che può sembrare impercettibile e che conquista con il tempo. Meno immediata, insomma, e più ricercata. Only Murders in the Building, che non porta la firma di Schur ma che ha sicuramente influenzato il suo lavoro su A Man on the Inside, condivide con l’ultima fatica di Schur proprio la narrazione malinconica ma allo stesso tempo beffarda di una vecchiaia fuori dagli schermi.

Un racconto dell’anzianità che non deve per forza essere noiosa o sedentaria ma che può invece far rinascere e rivoluzionare delle vite.

Il racconto della vita di Charles, in A Man on the Inside, è volto allo sradicamento del pregiudizio su un periodo della vita fin troppo sottovalutato.

A Man on the Inside, se vi è piaciuta The Good Place, è una serie da non perdere (insieme a molte altre a lei ispirata). Soprattutto perché è poco impegnativa, non ha molte pretese fuori dal comune e non si pone come rivoluzionaria. Proprio come The Good Place partiva da una narrazione ironica per smascherare le paure dell’uomo (a tal proposito), A Man on the Inside parte da una storia semplice. Una storia come tante, che si sviluppa e arriva a raccontare che ci può sempre essere dell’incredibile, nel viaggio di un uomo. In The Good Place, Eleanor partiva da un punto a fatto di contraddizioni, bugie e rancori e arrivava al punto b con delle conoscenze personali e collettive che l’avevano resa migliore.

A Man on the Inside
Credit: Colleen E. Hayes/Netflix

In A Man on the Inside, Charles parte dal baratro. La sua vita sembra finita con la morte della moglie, i suoi scopi sono solo i ritagli dei giornali e le telefonate sporadiche alla figlia. E invece si reinventa, trova il coraggio di mettersi in gioco e soprattutto il coraggio di investire su se stesso, di fidarsi del suo istinto di nuovo.

E arriva al suo punto b, che non è fatto di cose materiali ma che è delineato da rapporti veri, di scambi di opinioni, di momenti di condivisione.

A Man on the Inside è un viaggio nella vita di Charles, che non sa di volere intraprendere. È una storia semplice e quotidiana che si permette di spiccare il volo grazie a dei piccoli espedienti di straordinarietà. Michael Schur, che di personaggi eccezionali ce ne ha regalati tanti, racconta Charles Nieuwendyk come l’uomo che nessuno vorrebbe essere ma che tutti diventeremo. Chi in un modo, chi in un altro. È l’eroe che compie il suo viaggio (tema ricorrente in The Good Place, ma anche in Brooklyn Nine Nine e in Master of None), pur se contro voglia o senza grandi aspettative.

A Man on the Inside
Credit: Colleen E. Hayes/Netflix

È l’uomo comune che cerca di non essere troppo comune, seppur non troppo convinto. Insomma, è una storia come un’altra ma che ha dell’incredibile.

Perché è in questo modo che Michael Schur ci fa sognare, aggiungendo sempre quel pizzico di follia che ci permette di fantasticare. A Man on the Inside non sarà il capolavoro del secolo, forse non avrà incassi da capogiro, ma di certo è una serie che non ci fa rimpiangere quello a cui Michael Schur ci ha abituato. È leggera, a tratti malinconica e ha dei forti rimandi a delle serie che abbiamo già amato molto. Insomma, è una serie confortevole che ci può fare compagnia per qualche ora, senza crearci sensi di colpa. Anzi, ci coccola con un po’ di dolcezza e un po’ di suspence, che non fa mai male.