Quando si conclude la visione della prima stagione di Sex Education il pensiero è uno solo: di già? Non siamo sazi, no, degli otto episodi che ci hanno preparato Laurie Nunn, Kate Herron e Ben Taylor.
Il punto è che Sex Education era, semplicemente, ciò di cui avevamo bisogno.
Ricordiamo tutti quel periodo al contempo imbarazzante ed eccitante delle medie in cui abbiamo partecipato agli incontri sulla sessualità, poi edulcorata e ampliata in “affettività”. Eppure ancora oggi, nel 2019, in Italia soprattutto, c’è refrattarietà a trattare l’argomento “sesso,” e, anche qualora lo si facesse, le strade intraprese sono quasi sempre due, diametralmente opposte: volgarità estrema, pudicizia patologica. E poi, diciamocelo, se ci ricordiamo davvero quel periodo ambiguo e umidiccio che sono state la nostra preadolescenza e adolescenza, non possiamo negarlo: non avremmo mai detto o chiesto a un adulto delle nostre perplessità tecniche sulle fellatio, per dirne una. Sex Education riesce laddove spesso, nella vita vera, molti falliscono. Parla del sesso tra adolescenti, lo fa in modo delicato ma, allo stesso tempo, impudico. Abbatte i tabú, ed evidenzia in modo semplice e diretto la connessione tra sessualità ed emotività, tra sesso e relazioni sociali.
La narrazione è coinvolgente, briosa, leggera, ma mai banale. Non svilisce la complessità del tema, solo annienta alcune sovrastrutture che lo complicano. È una tematica complessa, quella del sesso, siamo noi ad averla resa complicata. Sex Education ha il grande pregio di rispettarne la complessità, evitando di incappare nella complicatezza.
In un’epoca come la nostra in cui si è già detto tutto di tutto, forse sta proprio in questo il genio creativo, nel trovare lo sguardo inesplorato sulle cose, nello scegliere tinte e accostamenti ancora non visti, nel non prendersi troppo sul serio, ma rimanere comunque profondi e sensibili nelle proprie analisi, senza ergersi a cultori e guru della materia trattata.
È attraverso la timidezza e gli imbarazzi di Otis (un Asa Butterfield che abbiamo già avuto la fortuna di apprezzare, ancor più giovane, in Hugo Cabret), la frizzantezza di Eric, la sfacciataggine di Maeve, l’arroganza di Adam, la contraddittorietà della madre di Otis (altra prova magistrale per la nostra amata Gillian Anderson) che ci troviamo catapultati in una storia che parla così facilmente di noi, delle piccole difficoltà dello stare con gli altri, del rapportarci al nostro corpo e all’intimità altrui, dell’accettarci per quel che siamo. Oltre al rapporto tra pari, è interessante lo sguardo dato alla relazione madre-figlio: le problematiche sono sviscerate con originalità. Non viene banalizzato, ma nemmeno reso più drammatico di quanto non sia in quella fase della vita (in buona parte dei casi).
L’ambientazione poi, diciamocelo, rende il tutto davvero godibile. Ci sembra di stare in una bolla in cui gli anni Novanta si mescolano magistralmente con i nostri, immersi nella meraviglia della campagna inglese: un posto in cui molti di noi avrebbero sognato di trascorrere almeno parte della propria adolescenza.
C’è ancora una questione sulla quale sorge spontaneo e opportuno interrogarsi. Sex Education è, in fin dei conti, un teen drama eppure mica se la guardano solo i teenager, anzi. La trasversalità del messaggio e del codice di questo prodotto lo rendono davvero fruibile e apprezzabile a tutte le età e riuscire ad arrivare a un pubblico tanto eterogeneo non è una cosa da poco, anzi.
Nel folto mucchio di prodotti seriali che ci vengono propinati ormai ogni giorno, prodotti encomiabili, in molti casi, sotto diversi punti di vista, avevamo bisogno proprio di tutto questo.