Il 9 settembre 2020 è approdato sulla piattaforma streaming Netflix un nuovo docudrama diretto da Jeff Orlowski: The Social Dilemma. In Italia, domina ancora oggi la top 10 dei più guardati fra tutti i contenuti proposti e ha suscitato dibattiti e riflessioni in tutto il mondo.
La narrazione di questo documentario si propone di analizzare il rapporto che la società contemporanea ha con la tecnologia e, più nello specifico, con i social network. Questa sintesi abbastanza superficiale necessita però di essere supportata da osservazioni che mettano in evidenza le qualità dell’esposizione dei contenuti proposti, della forma scelta ma anche delle debolezze che il prodotto ha rivelato di avere.
Partiamo dall’analisi del titolo scelto, The Social Dilemma, capace di compendiare brillantemente l’intera riflessione che ruota attorno a tutto il documentario. Il dilemma è sfaccettato e allo stesso tempo univoco: in che modo, la tecnologia in cui oggi siamo immersi, i social network che riempiono le nostre giornate, la nostra navigazione in rete, influenzano le forme di socialità e interazione umana? La spiegazione che il racconto prova a darci è, al tempo stesso, frammentata e unidirezionale: il bilancio è negativo, senza dubbio. Ma questo giudizio netto e sterile non è abbastanza per parlare delle risposte che The Social Dilemma ci fornisce. C’è la necessità di addentrarsi nel discorso, atomizzarlo se vogliamo.
Prima che qualunque immagine possa essere al centro della nostra attenzione, il documentario si apre con un frase di Sofocle che recita:
“Nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione”. Qui possiamo già individuare uno dei primi punti attorno ai quali la riflessione si anima: l’imponenza che questa invenzione ha comportato per l’uomo. Una trasformazione come quella tecnologica che decenni fa avremmo attribuito soltanto al mondo della comunicazione e ai suoi stretti correlati, adesso non ci sembra più tanto circoscrivibile. E la frase sottolinea, in maniera profetica, che un cambiamento epocale di tale portata è inconcepibile che avvenga senza ritorsioni.
Passiamo ora ad analizzare la struttura dello stesso racconto che The Social Dilemma ha costruito. Uno dei motivi per cui la narrazione di questo docu-drama risulta così interessante è aver scelto di dar voce, tramite pseudo-interviste agli esperti, a coloro che hanno lavorato dietro quei grandi agglomerati di potere come Google, Facebook, Instagram, Twitter e moltissimi altri. La possibilità di fornire così una visione dal “di dentro” spinge lo spettatore ad attribuire maggiore attendibilità alle parole ascoltate e lo coinvolge nelle riflessioni che i diversi (ex) impiegati del settore presentano.
I vari interventi dei diversi personaggi come Tristan Harris e Tim Kendall si succedono, mentre una trama parallela, costruita con una simulazione di attori, cerca di rappresentare una situazione ordinaria che è possibile riscontrare nella maggior parte delle odierne società: la generazione assuefatta dalla tecnologia e dai suoi mezzi. Allo stesso modo, con un meccanismo non diverso da quello adottato nel lungometraggio animato della Pixar, Inside Out, vediamo all’opera un infido algoritmo (interpretato da Vincent Kartheiser) che detiene il controllo dei contenuti propinati dalla rete e dai social a un giovane ragazzo.
Attraverso questo espediente, The Social Dilemma riesce a rendere visivamente chiaro il procedimento attraverso cui questo “capitalismo della sorveglianza” ci ha in pungo, sta costruendo degli avatar di ognuno di noi ovvero un modello accurato che riesca a prevedere ogni nostra mossa. La tecnologia ha abbracciato un’ottica assolutamente persuasiva e manipolativa che riesce attivamente a modificare le nostre scelte, rendendo questo processo totalmente inconsapevole e spontaneo. Il nostro costante bisogno di metterci in contatto con gli altri e con il resto del mondo ha alimentato il nostro interesse per ciò che gli altri pensano di noi, o meglio, sul nostro modo di apparire atrofizzandoci poi, nella vita quotidiana, nel contatto reale e immediato.
Un aspetto interessante è il modo in cui The Social Dilemma decide di affrontare l’analisi socio-politica attraverso la visione che la rete ne da e che i social network possono alimentare o disincentivare. Il modo in cui le fake news riescono a viaggiare 6 volte più veloce delle altre è spaventoso; Facebook che, ad oggi, ha sviluppato un potenziale completamente ineguagliabile, sarebbe lo strumento più consono alla creazione di una dittatura in cui le informazioni che circolano sono soltanto quelle a cui il sistema consente l’accesso, escludendo tutte le altre. La democrazia andrebbe incontro a uno sgretolamento irreversibile e direttamente proporzionale al potere che continueremo a dare a questi mezzi. L’attualità e l’analisi di questioni contemporanee e non datate, come il caso del Pizza Gate o della pandemia globale di Covid-19, rende il documentario più calzante e meno aleatorio.
The Social Dilemma presenta un target eterogeneo. É un monito, senza dubbio, ma rivolto a chi?
A coloro che lavorano ogni giorno dietro questi grandi sistemi e che vengono sollecitati a riprenderne il controllo o ad averlo realmente. A chi, ormai inserito in questo flusso, può cercare di opporsi attraverso un comportamento responsabile e conscio di ciò che è invisibile ma c’è. A noi tutti che dobbiamo concretizzare delle prospettive di futuro migliori per le generazioni a venire che si ritroveranno catapultate in questo distema, senza la consapevolezza di esserne dentro. Dobbiamo scongiurare una “generazione The Truman Show”.
In questo scenario catastrofico, dove l’alienazione fa da padrona (evidente la scelta di mostrare costantemente fuori fuoco l’ambiente attorno al giovane ragazzo per rappresentarne la estraniazione), i prodotti che circolano in rete siamo proprio Noi che crediamo di controllare e non comprendiamo di essere al centro di questo gigantesco mercato privo di confini. I soli 15 minuti finali sembrano prospettare un’esile speranza: porre un freno alla sfrenata logica del Capitalismo che passi attraverso un sistema di regolamentazione che tuteli gli esseri umani come tali e non come meri prodotti della rete.
Nell’arco della sua durata, questa piccola parentesi in uno scenario così catastrofico da l’impressione di tradire il ritmo di tensione crescente costruito per tutto il resto del docudrama. Alcune argomentazioni, inoltre, sono spesso reiterate mentre la spinta sensazionalista è, in certi passaggi, parecchio marcata. Così come possiamo confermare che The Social Dilemma enfatizza le minacce apocalittiche alla base del discorso, facendo sì che la narrazione perda equilibrio e compattezza.
Nel complesso però siamo davanti a un prodotto interessante e provocatorio. Sfrutta ogni mezzo a sua disposizione, tra cui strisce e immagini estrapolate dai notiziari, per costruire il suo discorso in maniera coerente e meritare un’attenta visione. D’altronde, lo stesso Netflix opera mediante un algoritmo capace di suggerirci i contenuti che potremmo gradire rispetto ad altri. Mai abbassare la guardia. E chissà che, in parte, lo scopo di questo stesso racconto di Jeff Orlowski non consista proprio in questo!