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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler (spoiler, oddio) sulla prima stagione di Vincenzo
Vincenzo, io ti ammazzerò
Sei troppo stupido per vivere
Oh, Vincenzo, io ti ammazzerò perché
Perché non sai decidere.Vincenzo, io ti sparerò
Sei troppo ladro per capire
Che il tuo lavoro amici non troverà mai
Perché non sai soffrire.Oh, Vincenzo, io ti inseguirò
Sei troppo stupido per vivere
Vincenzo, io ti ammazzerò perché
Perché non sai decidere.Oh, Vincenzo, io ti prenderò
Sei troppo stupido per vivere
Oh, Vincenzo, io ti ammazzerò perché
Sei troppo ladro per amare
L’invettiva è tratta da Milano e Vincenzo, una canzone del 1979 del cantautore Alberto Fortis. A quanto pare dedicata a un discografico col quale l’autore ebbe evidentemente dei problemi piuttosto importanti, è la traccia più famosa dell’artista lombardo. E sapete cosa c’entra con questo articolo? Assolutamente niente. Perché oggi parleremo sì di un Vincenzo, ma affronteremo l’epopea di Vincenzo Cassano, improbabile protagonista della serie tv più improbabile dai tempi in cui qualcuno si mise in testa di mandare in onda una sit-com con protagonista Adolf Hitler. E visto che Vincenzo, la serie, non c’entra niente con tutto quello che avevamo visto finora nel mondo della serialità, da questo momento vale un po’ tutto. Anche aprire con un’invettiva inserita in una canzone di quarant’anni fa. Oppure immaginare senza dover sospendere granché l’incredulità che la prossima stagione di Che Dio ci Aiuti possa esser diretta a quattro mani da Quentin Tarantino e Robert Rodriguez.
Ma cos’è Vincenzo? Vincenzo è un drammone sudcoreano da poco disponibile su Netflix in cui si presentano le avventure grottesche di un mafioso italo-coreano, di ritorno in Asia dopo aver trascorso gli ultimi cinque anni nel nostro Paese. È un avvocato affermato, ama vestirsi bene, presenta qualunque stereotipo sia possibile infilare in un solo personaggio sull’essere italiani e costruisce un’importante carriera da consigliere della mafia italiana. “Mafia italiana” non vorrebbe dire niente, ma in Vincenzo vuol dire qualunque cosa. E visto che si mischiano parecchio le carte, Milano e Roma diventano i cuori pulsanti di attività mafiose degne del peggior b-movie.

In ogni caso, il caro Cassano, dopo la morte del padre adottivo (italiano), decide di dar vita a una feroce vendetta e torna in Corea del Sud, dove lo aspetta un’assurda corsa all’oro che vede al centro della narrazione un condominio di persone totalmente folli e senza alcun senso. Inclusi un cuoco che finge di esser stato in Italia e ricorda parecchio il Marrabbio di Kiss Me Licia, un sarto che fa malissimo il suo lavoro (ed è inspiegabilmente aggressivo coi clienti paganti) e diverse figure indefinite che paiono esser possedute da un indefinibile spirito maligno. Il condominio è conteso dagli abitanti dello stabile, difesi da un avvocato idealista che porta con sé una figlia a sua volta avvocato e per qualche motivo caratterizzata come se fosse la versione cinica di un Teletubbies, e una gang di criminali locali che rispettano solo chi ha urgenza di andare al bagno. Tra loro, però, si frappone Vincenzo, determinato a prendere possesso del condominio e mettere le sue mani su quindici tonnellate d’oro.
Per il momento ci fermiamo qui, visto che non abbiamo ancora avuto il coraggio di guardare tutto e abbiamo chiuso dopo il primo episodio: Vincenzo, infatti, è composto dalla bellezza di 20 puntate da un’ora e mezza l’una. Da guardare rigorosamente in lingua originale, come molti hanno già fatto anche in Italia. Perché la peculiarità del k-drama paiono essere sì gli stereotipi faciloni e l’italiano stentatissimo e altrettanto comico del protagonista, frutto in ogni caso di un gran lavoro dell’attore Song Joong-ki, ma in realtà sono solo la punta dell’iceberg: girano infatti parecchio i video con i montaggi delle migliori imprecazioni di Vincenzo nella nostra lingua, eppure Vincenzo è molto più di questo.

In Corea del Sud è già diventato un cult e ha portato più di una celebrità a manifestare l’intenzione di imparare la nostra lingua, mentre in Italia emergerà sicuramente nei prossimi mesi con maggiore forza. Per un motivo su tutti: Vincenzo è un (involontario) capolavoro del trash in cui la narrazione lineare cede il passo in più momenti a scene surreali che sembrano esser state infilate senza alcun filo logico, almeno nel primo episodio. Vincenzo sarebbe un dramma, ma parte con uno scontro brutale tra il Cassano e un mafioso italiano che si conclude con un rogo monumentale e un’uscita di scena degna del miglior Steven Seagal, salvo poi tagliare un momento dopo su una scenetta da sit-com di quart’ordine con una colonna sonora che pare uscita da una puntata di Un Medico in Famiglia. Al posto di Nonno Libero, però, c’è il Teletubbies imbruttito, valorizzato oltretutto con effetti sonori da cartoon purissimo. La scena sarebbe peraltro drammatica, eppure gli autori si sono divertiti a ridicolizzarla gratuitamente. Boh.
Ma non finisce qui: al rapimento di Vincenzo da parte di due delinquenti locali o le terrificanti minacce reciproche che si rivolgono l’avvocato idealista e una specie di cosca della yakuza, seguono in vari momenti delle scene del tutto sconnesse in cui Vincenzo ha dei problemi con la doccia o col sarto, prende per i fondelli il Marrabbio di Seul o si fa prendere per i fondelli da un piccione che gli impedisce di dormire. A tal riguardo, tra l’altro, pare che nelle puntate successive il piccione diventi un regular e abbia persino un nome: Pippo Inzaghi. Pippo Inzaghi, altro che Sergio Brio. Insomma, in Vincenzo vale davvero tutto e non si ha un’idea precisa del motivo: se si dovesse provare in qualche modo a definirlo, Vincenzo sarebbe il figlio strampalato de La Casa di Carta, Gomorra, Un Medico in Famiglia, Troppo Frizzante e un k-drama a caso presente su Netflix. In pratica, è del tutto incatalogabile. E inspiegabile non solo per quelle che sono le opere a cui noi siamo abituati, ma anche per quelle a cui sono abituati i coreani.

Una certezza, però, la abbiamo: non assomiglia a nient’altro, nel bene e nel male. Nel suo essere in ogni caso intrigante a tratti, persino ben fatta sotto diversi punti di vista e tutto sommato coerente con l’impronta narrativa faticosamente costruita unendo i fili, Vincenzo non ha padri artistici né avrà dei figli. È un unicum che rappresenta uno spartiacque nel mondo della serialità, un punto di non ritorno da guardare e riguardare senza aspettarsi niente e mettendo in conto di potersi ritrovare in ogni situazione possibile.
Non mentiamo se vi diciamo che manco uno splatterone con protagonista Suor Angela raggiungerebbe simili vette: lo pensiamo realmente. E lo pensiamo dopo aver visto una singola puntata, perché le varie anticipazioni degli episodi successivi vanno ancora oltre e mettono in gioco a un certo punto persino un Papa dall’accento bresciano. Perché? Non ne abbiamo la minima idea, ma sappiamo già che sarà bellissimo arrivare a quel momento. Provare per credere, se ve la sentite. Quindi non fatevi fermare dalle barriere culturali e dalla lunghezza della serie: Vincenzo, a modo suo, è tutto quello di cui avete bisogno in questo momento. Una follia totale, da guardare senza prendersi minimamente sul serio, farsi due risate con un’esperienza seriale senza eguali e guardare i piccioni con occhi completamente diversi. Siano benedetti gli amici sudcoreani.
Antonio Casu