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Never Have I Ever: la serie adolescenziale che guardo da adulta

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Definirmi un’adulta mi mette un certo grado di ansia, ma è quello che sono. Ormai sono passati un bel po’ di anni dai bei tempi del liceo, sono inquietantemente vicina ai ventisette e me la sento di fare riflessioni filosofiche sui miei errori di gioventù. Insomma, non sono più un’adolescente. Ma chi ha detto che, pur tenendo bene a mente tutto ciò, io debba rinunciare alla mia dose periodica di teen drama? No, non sono assolutamente pronta a farlo e non lo farò. Perché se è vero che ho adorato Squid Game, scritto articoli profondi su Stranger Things e passato fin troppo tempo davanti alle storie di serial killer inquietanti, è altrettanto vero che ho iniziato e finito la terza stagione di Never Have I Ever in molto meno di ventiquattro ore. E onestamente non me ne pento neanche un po’.

Ho visto le prime due stagioni di Never Have I Ever poco più di un anno fa: avevo bisogno di una serie leggera, qualcosa che mi facesse compagnia in un periodo in cui, una volta uscita dal lavoro, la pandemia non mi permetteva di fare poi molto. In realtà non pensavo che mi sarei affezionata così tanto alla storia di Devi Vishwakumar, ma mi sbagliavo. Il suo triangolo amoroso con Ben e Paxton e le vicende della sua famiglia tra tradizione indiana e contemporaneità statunitense mi hanno presa e trattenuta, portandomi a divorare episodio dopo episodio fino alla mia performance di qualche giorno fa con la terza stagione. Devi mi ha riportata al liceo anche se non sono più una ragazzina, e questa immersione mi è davvero piaciuta.

Una protagonista fuori dall’ordinario

È vero, quella di ambientare una serie tv in un liceo americano non è proprio l’idea innovativa del secolo, ma il modo in cui lo fa Never Have I Ever la rende unica nel suo genere. Non ci sono adolescenti ricchi sfondati, affari di droga o tragedie durante le feste in piscina: c’è una ragazza tendenzialmente sfigata che vuole diventare popolare e ci sono una marea di eventi – alcuni, devo ammetterlo, abbastanza banali, altri molto meno – che la fanno andare avanti e indietro sul percorso della fama scolastica. Devi ha un carattere particolare ed è tutto fuorché una persona calma, come dimostrato dai frequenti scatti di rabbia che ha. La sua è una personalità forte, preponderante al punto tale da non rendersi conto dei problemi delle persone che le stanno attorno presa com’è dal parlare dei suoi, e questo a volte ce la fa odiare. Ma il fatto è che in realtà è una persona estremamente insicura che cerca di coprire le insicurezze con un atteggiamento ironico e a volte anche aggressivo. Una cosa, questa, che mi permette invece di empatizzare con lei, perché in Devi rivedo un po’ una giovane (e anche meno giovane) me.

Never Have I Ever: tematiche forti in modo leggero

L’ironia di Devi si estende dal personaggio alla serie nella sua interezza, una caratteristica che rende Never Have I Ever particolarmente piacevole e leggera. Questa leggerezza non viene meno anche nei momenti più delicati della narrazione, quelli in cui le tematiche affrontate sono più complesse. La serie infatti non si limita a raccontare gli amori, la voglia di popolarità, il rapporto col sesso e le crisi che caratterizzano la vita di ogni adolescente medio, ma entra nel profondo dell’esperienza di una ragazza che ne ha passate più di buona parte dei suoi coetanei. Devi ha perso suo padre improvvisamente, un evento che ha su di lei ripercussioni sia fisiche che emotive. Sua madre la ama moltissimo ma è anche molto rigida nel darle un’educazione basata sulla tradizione indiana, cosa a lei molto lontana dato il contesto sociale in cui vive. Devi affronta quindi un’adolescenza che non è proprio come quella di tutti gli altri.

Never Have I Ever

Tutto ciò consente di tirare fuori temi importanti che rendono Never Have I Ever una serie che, come si suol dire, fa ridere ma anche riflettere. Riuscire a coniugare la leggerezza e l’ironia con tematiche quali l’integrazione e il processo che porta ad affrontare il lutto è una bella impresa. Ma la serie ci riesce bene, grazie anche al contributo del tennista e commentatore televisivo John McEnroe, che ci porta piacevolmente nel mondo di Devi e anche dritti nella sua testa. Never Have I Ever è come un acrobata in precario equilibrio tra commedia e dramma, tra realtà e paradosso. Un equilibrio che può essere difficile da mantenere, che in alcuni momenti e con alcuni personaggi sembra quasi sul punto di essere perso (ma che tipaccio è Trent?!) ma che non si rompe mai. Ed è anche per il suo essere perennemente in questo limbo che la serie funziona così tanto.

Una serie che funziona per tutti

Never Have I Ever funziona talmente tanto da attirare non soltanto gli adolescenti che possono identificarsi in Devi, Fabiola o Eleanor, ma anche le persone un po’ attempate come me che quella fase ormai la conservano nella memoria a lungo termine. È uno di quei prodotti che ci permettono di fare un tuffo in quelli che eravamo, di rivedere le insicurezze che abbiamo lasciato per strada e quelle che invece portiamo con noi e proprio non riusciamo a mollare. E personalmente sono anche un po’ felice di trovare qualcuno che come me non vive con semplicità la gestione delle emozioni e delle relazioni, oggi come ieri.

A proposito di relazioni, non so voi ma io sono sempre stata più tipa da Ben che da Paxton. E Devi? Questo non ve lo dico, per stavolta niente spoiler: vi tocca guardare la terza stagione.

Never Have I Ever, la recensione della prima stagione