Avevamo davvero bisogno dell’ennesimo medical drama? Forse no, ma per fortuna New Amsterdam non lo è. La serie è ambientata nel più antico ospedale di Manhattan, un posto veramente gigantesco con un’infinità di posti letto, reparti, scale, stanze, infermieri, medici, ascensori, sale operatorie e perfino un asilo nido. L’ospedale è un vero e proprio labirinto, moderno e all’avanguardia, in cui si ha davvero l’impressione di essere al cospetto di un’eccellenza. Inoltre si erge nel cuore di una New York che non dorme mai, ma resta comunque sempre elegante. Non ci sono confini spaziali, né temporali al New Amsterdam, ma è proprio lì, nel susseguirsi quasi indistinto di turni, pazienti, letti e responsabilità che si srotolano le vite di alcuni medici brillanti, ma come vuole la tradizione, parecchio incasinati.
C’è Max Goodwin, Direttore Sanitario propositivo e attento ai pazienti, che si ritrova ad affrontare la condizione di neo papà, neo vedovo e neo guarito dal cancro senza mai chiedere l’aiuto di nessuno. C’è la dottoressa Bloom, scattante responsabile del pronto soccorso con alle spalle una certa propensione alle delusioni d’amore e alle dipendenze di qualsivoglia genere. C’è Iggy lo psichiatra dai metodi non sempre ortodossi e quindi costantemente in lotta contro il sistema sanitario, il neurologo Kapoor che cerca di vivere perfettamente in equilibrio fra la moderna vita di New York e la tradizione derivante dalle sue radici indiane. E infine c’è il braccio destro di Goodwin, la Dottoressa Helen Sharpe, primaria di oncologia, che sacrifica una carriera televisiva in favore della vita in corsia. Le storie personali di ciascun medico si intrecciano a quelle degli innumerevoli pazienti che passano per l’ospedale, in un giusto mix di azione e melodramma che spesso contraddistingue i medical drama, specialmente quelli anni ’90 alla E.R.
Allora che cos’ha New Amsterdam che gli altri non hanno?
Fin qui non sembra che questa serie aggiunga niente a un genere già visto e stravisto, ma in realtà in New Amsterdam si investe in un messaggio per certi versi quasi sovversivo. In ogni puntata non si subisce un sistema guasto, ma si tenta di cambiarlo. La storia raccontata è ispirata a un libro, Twelve Patients: Life and Death at Bellevue Hospital, il cui autore ha lavorato una vita in quello che è veramente il più antico e più grande ospedale pubblico di New York, il Bellevue appunto. La serie ripropone quindi un punto di vista interno e a suo modo autorevole sul sistema sanitario nazionale, sottolineandone alcune falle. Alla base c’è sempre il forte senso di responsabilità che i medici devono avere nel momento in cui scelgono di intraprendere la loro professione: è necessaria la competenza della materia, ma anche una certa umanità ed empatia, altrimenti nessuna cura si rivelerà efficace. Contemporaneamente però non si risparmia nel mostrare come la salute della popolazione non sia una responsabilità esclusiva delle strutture ospedaliere. Se ci si occupasse dell’individuo nella quotidianità tutelando una buona qualità della vita, si otterrebbe una conservazione dello stato di salute senza sovraccaricare gli ospedali. Ma si sa che tutto ha un costo, anche (o soprattutto) nel sistema sanitario americano. A ogni episodio si vedrà come il dottor Goodwin tenterà disperatamente di aiutare, ma anche di far quadrare i conti, perché alla fine il problema il più delle volte sta tutto nei registri contabili, sempre impietosi nei confronti dei malati, ma altrettanto importanti nel documentare gli interessi di facoltosi investitori.
Chi pensa che la denuncia si concentri solo sul tema delle assicurazioni sanitarie, rimarrà stupito per come New Amsterdam invece sarà in grado di scoperchiare molte altre iniquità. Il Dottor Goodwin non vuole correggere un sistema sanitario difettoso, vuole raderlo al suolo per costruirne un altro più valido, più funzionale. Al contrario di quello che siamo abituati a vedere, nell’ospedale di New Amsterdam il traguardo finale è quello di non avere pazienti, c’è l’intento di promuovere dei programmi e dei progetti che decentrano la medicina dagli ospedali per restituirla alla comunità. Se il medico è responsabile della salute del paziente, in New Amsterdam si fa largo l’idea che il medico debba dare all’individuo tutti i gli strumenti necessari per non diventare paziente.
È giusto partire dal medico stesso, innalzando le condizioni lavorative, migliorando l’ambiente, i turni, gli spostamenti. Va aggiustato tutto quello che può concorrere a semplificare la vita del personale sanitario, in modo che possa trovarsi nelle migliori condizioni di lavoro possibili. Come fosse una catena, i medici che vedranno considerata la qualità della loro vita, sapranno trasmettere la stessa sensazione al paziente. Una puntata dopo l’altra, New Amsterdam ci mostra l’importanza di entrare in empatia non solo con il paziente, ma anche con la comunità da cui proviene. Pone l’accento sulla prevenzione, sottolinea l’importanza di cure palliative e della gestione del dolore, enfatizza la ricerca di cure alternative. Soprattutto mette in rilievo la necessità di coinvolgere ed educare l’individuo tramite un linguaggio a lui accessibile, perché sappia prendersi cura di se stesso da solo. Condanna con fermezza il nepotismo e i favoritismi oltre che il sempre discusso tema delle assicurazioni sanitarie, sistema quanto mai discriminante nell’ambito della salute. Insomma è svuotando gli ospedali che si fa del bene alla società, non oberandoli di lavoro.
È vero, qualche volta si ha l’impressione che le cose vadano sempre straordinariamente bene in questo ospedale e che Max Goodwin abbia in tasca la soluzione a qualsiasi problema, sia esso di tipo economico o sanitario. Forse le problematiche vengono via via trattate con un po’ troppa retorica, i medici sono tutti molto giusti e il sistema è sempre molto sbagliato. Tutto questo però non toglie nulla al fatto che New Amsterdam non si censura nel suo messaggio di denuncia, ma anzi lo rende il fulcro di ogni episodio, perché alla fine ci si rende conto che le cose da sistemare sono tante, ma anche che chiunque potrebbe far parte di questa rivoluzione.
Non ci sono le travolgenti passioni di Gray’s Anatomy e nemmeno le impossibili diagnosi di Dr.House, ma New Amsterdam mette di nuovo al centro la salute del paziente e in questo, rende la storia molto più reale di quella raccontata in altre finzioni narrative. Viene strappato via il velo di omertà adagiato sugli ingenti interessi economici e politici che gravitano attorno al mondo della sanità americana e vengono mostrate soluzioni che, almeno in teoria, sembrano quasi plausibili.
Sebbene le trame siano qualche volta davvero commoventi, la visione di New Amsterdam lascia una sensazione di piacevole ottimismo, come se ogni giornata fosse una nuova pagina da scrivere, in cui anche una sola parola potrebbe fare la differenza.