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Lost: una nuova inchiesta svela la cultura tossica dietro le quinte dello show

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Co-creata da Damon Lindelof, Lost segue la storia di alcuni sopravvissuti di un incidente aereo su un’isola misteriosa. Il tutto con un grande cast, che comprendeva Matthew Fox, Evangeline Lilly, Jorge Garcia, Josh Holloway, Ian Somerhalder, Maggie Grace, Harold Perrineau, Malcolm David Kelley, Terry O’Quinn, Naveen Andrews, Emilie de Ravin, Yunjin Kim, Daniel Dae Kim e Dominic Monaghan.
Andata in onda sull’emittente ABC dal 2004 al 2010, la serie televisiva, attualmente disponibile sulla piattaforma streaming Disney+, nel catalogo Star, è stata un successo per sei stagioni (malgrado opinioni contrastanti sul suo finale), anche se a quanto pare ha sofferto di una cultura tossica dietro le quinte.

Un’inchiesta di Vanity Fair ha parlato con oltre una dozzina di persone che hanno lavorato sul set in vari ruoli, che hanno descritto una cultura oscura e complicata

L’attore Harold Perrineau, che fu temporaneamente allontanato dalla serie dopo la seconda stagione, entrò in conflitto con gli showrunner perché riteneva che Lost non rispettasse i personaggi di colore.
A proposito della sua partenza, Lindelof avrebbe detto che l’attore “gli aveva dato del razzista e di conseguenza fu licenziato”, anche se non ricorda di averlo detto. Monica Owusu-Breen, giovane scrittrice ai tempi della serie, ha commentato:

Monica Owusu-Breen: Tutti hanno riso quando Lindelof l’ha raccontato. C’erano così tante stronzate, così tante stronzate razziste, e poi le risate. È stato brutto. Ho pensato: “Non so se lo percepiscono come uno scherzo o se lo pensano davvero”. Ma non era divertente. Dirlo è stato orribile. Mi ero detta: “Quando avrà smesso di parlare male delle persone di colore, tornerò”. Il mio compagno di scrittura mi rispose: “Il problema è che tu non pensi che il razzismo sia divertente”.

Lindelof: Il mio livello di inesperienza come manager e capo, il mio ruolo di persona che avrebbe dovuto modellare un clima di pericolo creativo e di assunzione di rischi, ma fornire sicurezza e conforto all’interno del processo creativo… ho fallito in questo tentativo. È quello che ho visto nel mondo del lavoro intorno a me. E quindi pensavo: “Ok, finché ci sono uno o due [scrittori] che non hanno il mio stesso aspetto e non pensano esattamente come me, allora sono a posto”. Ho imparato che era anche peggio. Per quelle persone specifiche, non parliamo dell’etica o della moralità di quella decisione, ma solo dell’effetto umano dell’essere l’unica donna o l’unica persona di colore e di come si viene trattati: io ne facevo parte al mille per cento.”

Sebbene il rapporto includa molti episodi specifici di razzismo e sessismo, il nocciolo della questione è che il co-creatore di Lost, Damon Lindelof, sembrava favorire questa cultura di comportamenti tossici. Perrineau ha anche sostenuto che il maltrattamento è andato oltre la storia e che durante i servizi fotografici promozionali dello show gli attori erano spesso segregati in ultima fila o ai margini dell’inquadratura. Gretchen, dipendente di Lost, ha raccontato di un ambiente di lavoro autocratico, in cui i co-showrunner Lindelof e Carlton Cuse esercitavano un enorme potere con pochissima supervisione, e che loro stessi hanno definito “un’autocrazia“.

Oltre a tutte le accuse contro Lindelof, il rapporto include anche una sorta di mea culpa da parte sua. Malgrado la sua dichiarazione di colpevolezza, lo showrunner ha affermato di non ricordare nessuno degli incidenti di cui i suoi collaboratori lo accusano, compresa l’osservazione fatta su Perrineau. L’intera storia non raccontata della cultura tossica di Lost può essere letta nel libro di prossima pubblicazione Burn It Down: Power, Complicity, and a Call for Change in Hollywood di Maureen Ryan.

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