Non si può certo dire che Netflix non sappia il fatto suo quando si tratta di docuserie. Di recente la multinazionale dello streaming ha sfornato dei veri gioiellini: prima Lo Squartatore, una disincantata analisi del caso del serial killer emulo del celebre Jack The Ripper vittoriano (qui la nostra recensione), più di recente SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano, in cui si ripercorre la controversa storia della prima comunità italiana di recupero dei tossicodipendenti.
Al centro, l’ambigua figura del fondatore, Vincenzo Muccioli: un po’ santo, molto santone, un po’ furbo e molto ammanicato, la riserva su di lui non viene sciolta da SanPa ma anzi, è destinata a durare.
La docuserie Netflix si avvale di testimonianze di ex ospiti della struttura che offrono una panoramica a 360 gradi di ciò che era nata come un’utopia quasi hippie e si è trasformata in una vera e propria azienda milionaria. Come era prevedibile, nonostante SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano non offra soluzioni e si limiti a dare voce a tutti coloro che si sono detti disponibili a partecipare alle interviste, nella comunità non tutti l’hanno presa bene.
La comunità di San Patrignano ha diffuso una nota in cui si dissocia da ciò che viene raccontato nella docuserie, definendo “limitante” la visione proposta.
Il racconto che emerge è sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla Comunità stessa, senza che venga evidenziata allo spettatore in modo chiaro la natura di codeste fonti.
La comunità di San Patrignano viene fondata da Vincenzo Muccioli a fine anni Settanta, quando la droga nel nostro paese era un problema dilagante. L’idea di recuperare i tossicodipendenti grazie al lavoro e alla vita di comunità, però, sfocia nell’applicazione di metodi coercitivi e punitivi: non diciamo altro, per non rovinare la visione di questo piccolo gioiello di inchiesta.