Shining, il famosissimo film di Stanley Kubrik del 1980, è da considerarsi una pietra miliare della storia del cinema, in maniera particolare del genere horror. Non molto tempo fa si è parlato dell’arrivo di una serie tv sulla pellicola, dal titolo The Shining e che vedrebbe alla regia J.J. Abrams. Il telefilm in questione ha ricevuto il via libera proprio da HBO. Non sarà però l’unico progetto di Abrams, che sappiamo sta lavorando anche a Justice League Dark, sempre per HBO. Il film è stato poi più e più volte preso ad esempio per molti lavori successivi del settore (qui ad esempio potete trovare alcune delle similitudini scovate nella serie tv The Haunting Of Hill House) e citato in molteplici occasioni, non necessariamente relative al mondo del cinema.
Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, Shining poteva contare sull’interpretazione di un cast incredibile. Primo fra tutti Jack Nicholson, che ha dato al personaggio di Jack Torrance dei tratti talmente inquietanti che ancora oggi viene considerata come una delle sue migliori interpretazioni. Altra interpretazione ottima è di certo quella di Shelley Duvall, nel film interprete di Wendy Torrance, la moglie di Nicholson. L’attrice raggiunse l’apice del successo proprio tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900, e il ruolo nel film di Kubrick è probabilmente uno di quelli per cui è più ricordata dal pubblico.
Da dopo Shining, tuttavia, la carriera di Shelley Duvall ha subito un lento e inesorabile declino, abbastanza forte da farsi curare in un istituto psichiatrico.
Quando sono cominciati i suoi problemi? E da dove sono partiti? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza nell’insieme, anche dopo la sua ultima apparizione televisiva nel 2016. Prima di Shining, Shelley Duvall aveva lavorato molto con Robert Altman, e aveva avuto ruoli minori in pellicole come Nashville (nel 1975) e Io Ed Annie (nel 1977). La vera svolta è però arrivata nel 1980, anno non solo dell’uscita del già citato Shining, ma anche del film di Altman Popeye – Braccio Di Ferro, in cui la Duvall interpreta il ruolo di Olivia Oyl al fianco di Robin Williams. Tra le due pellicole quella che sembra aver portato maggiori sofferenze all’attrice è proprio Shining. Molte voci sono trapelate (anche se non si è mai fatta chiarezza) sul suo trattamento mentre stava sul set. Una cosa davvero malsana, tra scene ripetute centinaia di volte, pianti reali ed esaurimenti nervosi. Tutte cose che la porteranno, poi, ad essere devastata sul piano emotivo.
La stessa Shelley Duvall, in una recente intervista all’Hollywood Reporter, ha dichiarato: “Prima di una scena, prendevo un walkman e ascoltavo canzoni tristi. O semplicemente pensi a qualcosa di molto triste nella tua vita o a quanto ti manca la tua famiglia o gli amici. Ma dopo un po’, il tuo corpo si ribella. Dice: ‘Smettila di farmi questo. Non voglio piangere ogni giorno’. E a volte solo questo pensiero mi faceva piangere“. Una situazione che quindi certamente non è stata vissuta in maniera leggera.
Dopo un’altra serie di lavori tra gli anni ’80 e ’90, Shelley Duvall è scomparsa dalle scene a partire dagli anni 2000. Solo 15 anni dopo, nel 2016, l’attrice di Shining venne invitata come ospite nel programma del Dr. Phil, condotto per l’appunto dallo psicologo Phil McGraw. L’intervista (di cui potete ritrovare uno stralcio proprio qui sopra) mise in evidenza il tracollo della donna, sia da un punto di vista fisico che psichico. Lei stessa non nega di soffrire di disturbi mentali, citati più volte anche nel corso dell’intervista, che ricordiamo si è svolta quando Shelley Duvall aveva ben 69 anni. Ciò che ha colpito maggiormente il pubblico è stata l’affermazione della Duvall circa la morte di Robin Williams, un collega che ricorda con molto affetto. Nonostante l’attore sia venuto a mancare nel 2014, la Duvall nell’intervista ha dichiarato: “Non credo che sia morto. No. È un mutaforma. Appare benissimo in alcune forme mentre in altre peggio. Lo vedo“.
L’episodio del Dr. Phil venne estremamente criticato dal pubblico, proprio per aver messo in luce una difficoltà dell’attrice, sfruttandone l’immagine in un modo “spaventosamente crudele”.