Nip/Tuck: parabola dell’inevitabilità del proprio essere, metafora della differenza tra corpo, fisico e anima.
Nip/Tuck è un’espressione inglese traducibile come “taglia e cuci”, un titolo scelto ad hoc per raccontare le storie di due chirurghi plastici di Miami, Sean McNamara e Christian Troy, amici, soci, fratelli di fatto. Sebbene profondamente diversi tra loro per inclinazioni, priorità e ambizioni, si dimostrano simili nel tormento interiore che li affligge. A prima vista potrebbe sembrare solo una serie incentrata su un’anacronistica amicizia tra due soci in affari, uniti dall’intrigo suscitato dai bizzarri quanto surreali casi accettati dai due. Ma Nip/Tuck è più di questo. Non è solo narrazione di quel “taglia a e cuci” del corpo che i due chirurghi plastici riuscono a modellare a piacere del paziente affinchè possa, cambiando il suo aspetto, sperare di cambiare se stesso.
La serie utilizza la ricerca della perfezione fisica come metafora per spiegare la complessità dell’anima che – a differenza del corpo – non può essere curata, né abbellita in sala operatoria.
Tutti i personaggi principali di Nip/Tuck vivono un viaggio di conoscenza interiore che li porterà a comprendere una dolorosa verità: si può cambiare aspetto, stile, ma non la propria natura. Assistiamo così a continui tira e molla, tumulti interiori, prese di coscienza, crisi di mezza età e tentativi di migliorarsi. Ma tutti i personaggi giungeranno comunque alla medesima conclusione: è tutto una perfetta bugia. Perfetta sì, ma pur sempre una bugia.
E piuttosto che aspirare alla felicità o alla perfezione, tutti alla fine accettano di danzare con i propri demoni.
Sean McNamara è il talento dello studio. Gentile, altruista, da sempre propenso a vivere la medicina come una missione più che come una fonte di ricchezza e prestigio. È tuttavia un ricco chirurgo, invidiato in tutta Miami e poi Beverly Hills. Potrebbe avere tutto, ma quel tutto non fa per lui. Molla la sua carriera e accetta la propria natura di buono: parte volontario per dare pro bono la sua opera a bambini sfregiati da malattie che non hanno potuto curare.
Al contrario il suo amico fraterno Christian Troy è un orfano, abusato da piccolo, e chiuso da sempre dietro una corazza di insensibilità. Cerca successo e ricchezza come riscatto da un’infanzia di soprusi. Tenta di migliorarsi, di essere diverso, di far uscire il meglio che c’è in lui. A volte ce la fa, ma più spesso è il suo cinismo ad avere la meglio, perfino sui suoi cari. Così accetta alla fine di arrendersi a se stesso. Quella maschera di cinismo usata per proteggersi dall’abbandono e dalla sofferenza, finisce per essere la sua vera faccia. Come un accessorio che, indossato troppo a lungo, si è fuso con la sua anima, ormai tetra come le esperienze che lo hanno segnato.
E così Christian smette di combattere per essere una persona migliore.
Usa quel briciolo di coscienza che gli resta per compiere un ultimo atto di altruismo: rompere la società con Sean e lasciare libero il suo migliore amico. Sarà più felice? Non ci è dato saperlo. Sean era chiuso in una gabbia di apparenza che a volte lo allettava, ma non gli apparteneva del tutto. Eppure la consapevolezza, nel profondo, di essere diverso ha perso contro l’incapacità di tirar fuori il suo vero io. Questa è stata la sua gabbia più robusta. Alla fine infatti non è lui a prendere la decisione di andar via. Christian rompe la società e gli compra un biglietto aereo per Bucarest. Lo stesso Christian disprezzato per la sua insensibilità, arreso alla sua natura e forse all’infelicità, regala a Sean il suo tentativo di felicità, lasciandolo andare.
Percorsi simili, con esperienze diverse ma stesse conclusioni, vivono gli altri personaggi di Nip/Tuck.
Tutti loro, in qualche modo hanno cercato di essere diversi da come erano. Si sono sottoposti a interventi estetici, hanno avuto relazioni che credevano li avrebbero resi felici, hanno cercato mille altri modi per raccontarsi la “perfetta” bugia del cambiamento. Ma per tutti loro, alla fine, è arrivata la propria natura, puntuale e inesorabile. Ha bussato alla porta della loro anima per ricordar loro “Ehi, questo sei tu. La gabbia di te stesso da cui non puoi scappare”.
Non è forse ciò che, prima o poi, accade a tutti noi?