Cos’è veramente il “bene” che desideriamo e quando è che sentiamo di riceverne dalle persone che abitano la nostra vita? Se c’è un interrogativo che ritroviamo costantemente in quel lungo viaggio nelle necessità umane che è Normal People, è proprio questo. Per Marianne e Connell ci sono diversi modi di ricercare il meglio per se stessi: ritagliarsi una bolla inscalfibile all’interno dell’incubo familiare per la prima, rifugiarsi tra le pagine di un libro e allontanarsi dalle circostanze in cui ci sente inadeguati per il secondo. Ma l’unico vero antidoto al vuoto che sentono dentro se stessi è il regalo di essere visti dall’altro: è quello l’asse centrale attorno a cui ruota tutta la loro storia, il bene che riescono e vogliono darsi l’un l’altro.
Vincere una borsa di studio che renda tutto possibile quando sembra che sia il denaro a offrire tutte le possibilità nella vita, cercare la gentilezza in ogni casa che non sia la propria, nascondersi, schivare il male. Questi sono solo alcuni dei modi in cui Marianne e Connell provano, individualmente, a difendersi dagli attacchi spesso brutali del mondo, a cercare di evitare ulteriori lividi e ferite. Ma la vera trasformazione, il cambiamento di cui entrambi sentono il disperato bisogno, si realizza nell’esatto istante in cui le loro vite si toccano. Come una contaminazione benefica, il contatto tra loro, la sola presenza nella vita l’uno dell’altro, è salvifica.
Nel raccontare una storia che non raggiunge (all’apparenza) il lieto fine, Normal People disegna in realtà un ritratto ben preciso dell’amore, di quel segmento di vita che – al di là del suo esito – modifica inevitabilmente la direzione del resto del nostro percorso. Nel riconoscere le ferite l’uno dell’altro, nel continuo allontanarsi e riavvicinarsi senza mai perdersi davvero, Marianne e Connell accarezzano l’uno l’esperienza dell’altra in modo profondo, riuscendo ad arrivare al cuore delle versioni migliori di sé.
È un microcosmo, quello che viene a crearsi in Normal People, in cui si disvela tutto il potere trasformativo dell’amore nella sua accezione globale, molto al di là del solo sentimento romantico.
Prima ancora che amanti clandestini del liceo e coppia altalenante all’università, Marianne e Connell sono vicini perché si riconoscono come fossero allo specchio. Con ruggini molto diverse a divorarli dall’interno, eppure così incredibilmente simili nel sentirsi sempre in disparte rispetto al resto del mondo. Sempre così soli anche in stanze affollate. La necessità di Connell di essere percepito come “normale” e il bisogno lacerante di essere amata di Marienne impediscono a entrambi di liberarsi dai propri demoni interiori. Ed è solo quando riescono a prendere coscienza delle loro reciproche debolezze umane che i due trovano il modo di aiutarsi a vicenda. C’è una constatazione che li definisce più dei “ti amo” che li vediamo sussurrarsi nell’arco della loro storia ed è “io ti capisco”. Ti vedo, ti comprendo e ti riconosco anche quando non riesco a farlo con me stesso.
L’incontro di Marianne e Connell, l’incastrarsi delle loro esistenze, sembra come tenuto insieme da quel “filo d’oro”, quella connessione umana, che lega la nostra vulnerabilità a quella di un altro e, da quell’intreccio, dà vita a una nuova esistenza. Nel caso di Normal People, si tratta di un’esistenza migliore, che impara dal passato e trae dall’amore (dato e ricevuto) il nutrimento necessario per volersi bene. Per vedersi con occhi diversi e allontanare l’odio e l’autodistruzione. È ciclo virtuoso, quello a cui danno inizio i due, in cui il bene non fa che generare altro bene: se ti accarezzo con gentilezza, tu lo farai con te stesso e, in questo scambio, entrambi coltiveremo qualcosa di buono.
Così Marianne e Connell imparano l’uno dall’altro ad essere più buoni con se stessi, a trattare il proprio cuore con la stessa delicatezza con cui si sono sfiorati tra loro.
Non necessariamente questo porta a stare insieme per sempre o a condividere l’intera durata della vita. Se c’è una cosa che Normal People suggerisce più volte è che non è necessario trovarsi in una relazione per amarsi incondizionatamente, al di là di ogni definizione o schema. Così per Marianne e Connell non è necessario restare insieme per continuare a farsi del bene. Ciò che conta è la strada percorsa fino a quel momento, quel segmento di vita che li ha portati a conoscersi meglio, a capirsi e ad apprezzarsi come prima non avrebbero potuto.
Li ritroviamo alla fine del viaggio in uno stato di equilibrio sul filo che li unisce. Sono sereni, consapevoli di chi sono in quel preciso istante, di cosa vogliono, di dove stanno per andare. Sono una versione più luminosa di quei ragazzini che si incrociavano tra i corridoi della scuola. “Ci siamo fatti così bene, io e te“, ammette Marianne e in queste poche parole rivela tutta l’essenza di Normal People: accettare tutto il buono ci viene offerto e riconoscere di meritarlo davvero è l’unica forma di amore che non finisce mai.