L’effetto nostalgia è una brutta bestia, e se non sai come gestirlo ci mette poco a sotterrarti, Obi-Wan Kenobi ne è la prova. Per tutte le volte che Ewan McGregor ci regala un minuto di estasi, equivale un momento in cui nessuna emozione è presente. La galassia non è mai sembrata tanto lontana, persa in un gioco di copia-incolla piuttosto che pronta a giocare sul serio. A lungo andare la nostalgia non può sempre salvarci, l’incanto si rompe se non si è in grado di farlo rivivere come si deve. Troppi “ma” in una miniserie che poteva osare, poteva puntare all’introspezione, alla novità, alla scommessa. Invece, ormai è chiaro quanto Disney non voglia più scommettere. In fin dei conti perché farlo se la nostalgia vende così bene?
Quando si tratta di universi sacri come quello di Star Wars, ci si avvicina sempre in punta di piedi con una sorta di amore mistico in attesa che una nuova verità venga rivelata circa quell’universo. Se vi sembra che queste parole siano esagerate, forse dovreste parlare con chi è davvero arrivato a considerare Star Wars la propria religione. Accade però che un’altra fazione – per così dire – si accompagni ai crociati dell’universo di Lucas, quella dei consumatori indulgenti: coloro i quali accettano di buon grado ciò che mamma Disney ha loro da offrire, che non battono ciglio di fronte a incongruenze narrative, buchi di trama ed errori di montaggio. Sono gli stessi che idolatrano il merchandising, che non sanno bene chi sia Ewan McGregor e che però Obi-Wan Kenobi se la sono vista tutta.
D’altronde è proprio per loro che Obi-Wan Kenobi è stata scritta.
Sono passati dieci anni da quando la Repubblica Galattica è caduta, da quando i Jedi sono stati sterminati e Anakin Skywalker ha abbracciato il lato oscuro. Obi-Wan Kenobi vive a Tatooine, lontano da tutto e tutti, vegliando sul piccolo Luke Skywalker e consumato dai sensi di colpa. La vita da eremita viene interrotta quando riceve una richiesta da aiuto dagli Organa, i genitori adottivi di Leia Skywalker. Leia è stata rapita e Obi-Wan rappresenta la sua unica speranza. La missione di salvataggio dell’ex maestro Jedi attira ben presto l’attenzione del suo vecchio amico ora noto nell’Impero come Darth Vader.
Questa, in breve, è la trama dello spin-off con protagonisti Ewan McGregor e Hayden Christensen, nei panni che li resero due icone della cultura nerd 17 anni fa. Nelle vesti rispettivamente di Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker, i due interpreti si sono dichiarati orgogliosi ed entusiasti di essere tornati nell’universo di Star Wars, con grande gioia del pubblico.
E, di fatto, sono loro l’unica cosa che ricorderemo di questo spin-off tra un paio di anni. Forse persino prima.
Ewan McGregor torna magnificamente a interpretare uno dei suoi più celebri personaggi. Obi-Wan Kenobi è l’ultimo retaggio di una gilda di cui nessuno vuole più sentir parlare, dell’Ordine Jedi, infatti, non è rimasta quasi traccia e i pochi superstiti sono braccati e uccisi a vista. Ben Kenobi ha perso ogni cosa ed è in questo stato di sconfitta e rammarico che lo ritroviamo. Non è più il giovane Jedi pieno di ideali, sicuro, spavaldo e ironico a tratti. Ewan McGregor ci dona un Obi-Wan inedito, ancora maledettamente carismatico ma svuotato di quella forza che l’aveva un tempo contraddistinto. Più invecchiato e restio al combattimento, Obi-Wan non cerca lo scontro ma, anzi, agisce in sordina tentando di evitare fino all’ultimo il confronto con quello che è stato il suo più caro amico e allievo.
Ed è qui che risiede il grande errore di Obi-Wan Kenobi.
Lo spin-off targato Disney Plus non ha fatto tesoro del proprio protagonista, riducendo tutto a una missione di salvataggio senza capo ne coda, a duelli deludenti (se si esclude l’ultimo episodio) e a personaggi secondari di cui nessuno sentiva il bisogno. I sei episodi che avrebbero potuto approfondire uno dei personaggi più amati del franchise, donandone un affresco nuovo e complesso, risultano invece imbevuti di quell’effetto nostalgia che piane tanto ai consumatori indulgenti ma sempre meno ai crociati di Star Wars. Osare sembra essere una parolaccia da scrivere sul libro nero, quando uno show come WandaVision dimostra, d’altro canto, che il rischio può valere la partita. Obi-Wan Kenobi poteva essere un viaggio, magari più lento e introspettivo ma qualitativamente superiore alla solita solfa avventurosa infarcita scene filler. Al danno si aggiunge la beffa se si considera quanti errori di montaggio e coerenza narrativa si possono notare – sia a un occhio allenato che vergine – nel corso della miniserie.
Non bastano più le citazioni, gli easter eggs, i cameo commoventi e l’effetto nostalgia se non si è capaci di dosare ognuno di questi elementi in maniera parsimoniosa. C’è bisogno di altro: la voglia di raccontare qualcosa di nuovo traendo ispirazione dal passato non copiandolo sommariamente e chiudendo gli occhi. C’era molto di più da raccontare e lascia l’amaro in bocca vedere che una tale occasione sia stata sprecata in nome di quel desiderio – sempre più frequente – di piacere a tutti. Come nella vita reale, piacere a tutti non si può a meno che non si diventi qualcosa di fittizio, di falso. In poche parole, Obi-Wan Kenobi è uno specchietto per le allodole, la promessa di una malinconica passeggiata sul viale dei ricordi che si trasforma in una mezza carneficina di personaggi amati e storie. Meglio allora che certi ricordi rimangano vivi solo nel nostro immaginario, così da restare inviolati e sacri.