Premessa: per chi non avesse visto Occupied, l’articolo contiene spoiler sul destino del personaggio di Wenche Arnesen. Buona lettura
Tra i vari pregi che Occupied, il gioiellino norvegese da poco disponibile su Netflix, può vantare, c’è quello di saper dosare molto bene citazioni e riferimenti. Qualità necessaria: la Serie di Jo Nesbø spazia in un campo, quello del crime, che ha una tradizione antichissima e molto solida. D’altra parte, però, non può appigliarsi a quasi nulla che possa essere rilevante e autoctono.
E allora resta una sola cosa da fare: saper rielaborare bene ciò che già c’è. E in questo i nordici sono maestri, aiutati anche da un ambiente perfetto per personalizzare le loro produzioni.
Risultato? Non di rado in Occupied si avverte un senso di già visto, però in una emulazione molto fervida e funzionante. Per questo, quando nella 1×10, il personaggio di Wenche Arnesen compie il suo percorso, ho avuto una folgorazione. Avevo rivisto, almeno in un pezzettino, la storia di Walter White: era diventato donna, si era trasferito in Norvegia, ma lasciava le stesse indimenticabili sensazioni.
Ma andiamo con ordine: Wenche Arnesen in Occupied è il capo dei servizi segreti norvegesi nella gestione della crisi russa. È il capo di Djupvik, uno dei protagonisti della storia, e il principale riferimento del primo ministro Berg, l’altro grande protagonista di Occupied. Diventa quindi decisiva senza apparire in scena più di tanto. In questo sicuramente diversa da Walter White che ha nel destino caratteristiche da fagocitatore di scena.
Mettiamola così: se Walter White è “colui che bussa”, Wenche Arnesen è colei che lo ha condotto alla porta e lo guarda sparare, magari da lontano.
In tutto il resto però, c’è una strana assonanza che non ha smesso di girarmi intorno.
Il personaggio di Wenche viene descritto e mostrato in maniera quasi impercettibile nei primi episodi, fino a che, nella 1×04, avviene la svolta. Una diagnosi che non lascia scampo: un tumore incurabile che preme sul tronco encefalico. Si può solo allungare la resistenza al male, con determinate cure, ma null’altro. Wenche è spacciata, ma in quel momento capisce di essere libera.
I medici la invitano a dimettersi per curarsi. Wenche Arnesen, però, si trova nel bel mezzo della permanenza russa in Norvegia e dà una risposta sibillina: “Datemi solo qualche giorno e mi dimetterò”. Sta per iniziare il suo piano, sta per condizionare la vita del mondo dopo che era stata l’opinione degli altri a condizionare lei.
Il suo punto di partenza è ben definito nella 1×05
Niente lavoro, niente figli, ha solo il suo lavoro che le impone di baciare il culo al nemico
A dire queste parole è il capo di Norvegia Libera, l’associazione di liberazione della Norvegia contro cui però proprio Wenche era chiamata a combattere, ma con cui adesso proprio il capo dei servizi segreti norvegesi sta parlando.
È solo il primo passo di un infinito cammino nel doppio gioco, in cui c’è una sola regola: Wenche Arnesen è sempre un passo avanti a tutti. Gioca su entrambi i piani della scacchiera: alla luce del sole lavora con la polizia norvegese; di nascosto trama con i terroristi, ma soprattutto, quando è da sola, persegue il suo piano.
L’intento di Wenche Arnesen è svelare l’ipocrisia della Russia perchè sia il popolo norvegese, tutto intero, a scacciare gli “invasori”. Vuole la guerra civile!
Non può farlo la politica, non può farlo Norvegia Libera: di entrambi i contendenti (dalla stessa parte del campo) lei conosce punti di forza e debolezze, e decide di sfruttarli a suo vantaggio.
Da semplice pedina di ogni gioco, Wenche diventa giocatrice, andando per la prima volta nella sua vita al di là del bene e del male. Farà uccidere il suo contatto di Norvegia Libera per dare la colpa ai Russi e ostacolerà in ogni modo l’azione mediatrice di Djupvik.
Wenche Arnesen non vuole solo partecipare alle trattative tra Norvegia e Russia. Vuole avere il potere di farle fallire.
E questa estrema libertà, infine riscoperta, la rende una donna nuova: lei che in vita sua si era sempre battuta per prevenirle le guerre (in fondo è questo che fanno i Servizi Segreti, no?) ora decide di iniziarne una, enorme e di cui sa che non subirà le conseguenze.
Wenche Arnesen ha la libertà di chi ha tanti crediti da sfruttare con la vita e nulla più da perdere.
Migliaia di vite sul filo di un unico orgoglio, che segue un piano certosino. La parola d’ordine è “fiducia”. Più di una volta si sente chiedere: “Perchè dovrei fidarmi di te?” con un’altra definizione illustre:
Un capo dei servizi segreti che si comporta da spia
Eppure tutti la seguono. Non solo: in un mondo in cui tutti sono controllati, Wenche Arnesen può muoversi dappertutto come un jolly, e decidere le sorti di tutte le parti in gioco.
Solo una cosa non può decidere: quando il tumore tornerà ad attaccarla: ma lo sente, e riesce a isolarsi appena in tempo per lasciarsi cadere in preda alle convulsioni, in una scena da brividi veri. Un minuto prima dava ordini con fare sicuro, un minuto dopo è a terra, più morta che viva, incapace, inerte, ritornata dipendente dalle sue debolezze
Dopo quest’attacco, capisce che è il momento di chiudere la sua partita. Stabilizza i rapporti con Djupvik e Berg e fa scattare l’ultima parte del suo piano.
Cosa manca a una donna che in breve tempo da pedina, liberandosi di tutte le sue inibizioni per via di un evento traumatico, è arrivata a decidere le sorti dell’intero mondo che la circonda? Semplice: una grande uscita di scena! Si prepara il capolavoro della prima stagione di Occupied
Una grande uscita di scena non si fa da soli, però: il primo passo di Wenche, quindi, è quello di andare da un suo amico, prete, e confessargli la sua malattia e le sue intenzioni
E qui, ancora una volta, la donna sorprende anche noi
Vorresti toglierti la vita? – Le fa il prete
Sì, ma si serve il tuo aiuto
Mi spiace ma non ti aiuterò a morire
Non hai capito: tu non devi aiutarmi a morire, ma a continuare a vivere dopo la morte
Tutto il resto è la preparazione di un addio: Wenche non vuole lasciare nulla di interrotto. Torna a casa, mette a posto la casa, avvelena il suo gatto per non lasciarlo senza padrone (tutta la scena, senza una parola di contorno, col solo rumore dell’ultima carezza all’animale, è semplicemente straziante) e si fa bella per la sua ultima dichiarazione pubblica.
Ironia della sorte: lei, abituata alle conferenze stampa e al pubblico, nelle sue ultime parole è sola. Sceglie di essere sola. La solitudine di chi si riscopre libero, verrebbe da dire. E lascia il suo testamento d’azione. Il perchè lo dice lei stessa
È l’unico modo di dare un senso alla morte. E anche alla vita.
Infine, ritorna dal prete: lui tenta di dissuaderla, ma ormai è troppo tardi. Il volto di Wenche adesso è completamente illuminato, non più adombrato come all’inizio. Non tornerà più indietro, ma il prete non lo sa.
Per togliere anche quest’ultimo piccolo ostacolo, il capo dei servizi segreti compie l’ultimo, piccolo inganno. Manda l’amico prete a prenderle del caffè (anche se noi non lo vediamo, c’è un sublime collegamento con un altro arco della storia che prepara le conseguenze del gesto di Wenche); al suo ritorno, però, lei è morta, suicida. A terra una siringa di veleno, nel computer, a caricare, il suo ultimo video
Mi chiamo Wenche Arnesen. Molti mi conoscono come il capo dei servizi segreti, ma sono anche alla guida del movimento di resistenza Norvegia Libera. D’ora in avanti voglio dedicare tutto il mio tempo a guidare il movimento di resistenza contro l’invasione russa. […]. Invito tutti i Norvegesi a fare il possibile per far tornare la Norvegia un paese libero. Noi abbiamo qualcosa che il nemico non avrà mai: il diritto di difendere la nostra madre patria.
Mentre le parole del video scorrono, la fine del capo dei servizi segreti si consuma con l’ultimo atto. Come in un piano preordinato, il prete amico avvia tutte le operazioni per la cremazione.
Chi in poco tempo si è messo al di sopra di due fazioni, ha mostrato quanto siano malleabili gli uomini, e ha scelto di non stare più in mezzo a loro.
L’avvio della bara al forno crematorio, l’unica diversa da tutte le altre, in religioso silenzio, con movimenti lenti e automatici, con le fiamme appena accennate mentre il pannello ignifugo cala sull’ultima scena, è la fine di un percorso epico.
Di un ingranaggio diventato mano creatrice; della sicurezza diventata minaccia e infine pericolo; dell’avviso di morte diventato chiave di vita; del buono diventato non (solo) cattivo, ma semplicemente sincero e onesto con se stesso; dell’al di là dei confini del bene e del male, perchè, per chi è davvero libero, questi non esistono; dell’essere titanicamente soli, in un silenzio assordante, alla fine; del luogo di vita preparato come un sudario per la morte; e di una morte perfetta in quanto rinascita automatica per l’eternità. Muore il personaggio, resta, per sempre il messaggio.
E ora rileggete solo quest’ultimo paragrafo e provate a pensare: a chi corrisponde questa descrizione?