Ho sempre immaginato la vita come un grosso, ambiguo e bianco ring. In mezzo, a contendersi la vittoria, noi e ciò che la vita ci sbatte in faccia di continuo, giorno dopo giorno: sentimenti, emozioni, problemi. Quando l’arbitro sancisce l’inizio dell’incontro non c’è nessun pubblico che acclama il proprio idolo ma solo quiete o tempesta: questo dipende solo ed esclusivamente da noi. Quiete se hai combattuto e affrontato con coraggio il marasma che si impadronisce della tua esistenza. Tempesta se hai deciso di mollare al primo round, al primo KO. Olive Kitteridge ha barcollato quando un pugno le è arrivato dritto in faccia ma non ha ceduto. Ha deciso di affrontare i suoi nemici interiori con la sfacciataggine di chi ha deciso che rialzarsi vale più di cadere, più di tutto.
Non è un classico incontro quello tra Olive e i suoi avversari. La protagonista della miniserie targata HBO ha dettato fin da subito e, a squarciagola, le sue regole: bisogna accettare i propri demoni interiori per essere ossi duri, come soldati pronti a tutto per un pezzo di terra. Fin dalla primissima inquadratura Olive Kitteridge si è mostrata con il vestito più elegante, quell’abito da indossare per illuminare tutte le sfaccettature dell’io senza timore di essere giudicati. Si è presentata debole quando ha provato a suicidarsi, a spegnere i suoi tormenti con l’ausilio del grilletto di una pistola troppo vecchia. In quell’istante, quando Olive Kitteridge camminava da sola in cerca di odissee senza lieto fine, ci è sembrato che la protagonista stesse per perdere l’incontro su un ring pieno di sconfitte già arrivate. Poi la miniserie ha riallacciato i nastri della cassetta per farci conoscere meglio Olive, la sua storia, i suoi occhi persi nelle tracce di un esistenzialismo mai sopito: il vuoto che caratterizza la condizione dell’uomo moderno.
Olive Kitteridge vive per sopravvivere
Il vuoto di Olive si chiama solitudine. O meglio depressione. O forse una è la coda dell’altra e viceversa. Kierkegaard diceva che la vita si può capire solo all’indietro ma si vive in avanti. E ciò che Olive Kitteridge fa è proprio questo: tirare il passato nel presente per cambiarlo, trasformarlo, arricchirlo. Olive ha capito che non si può cancellare la depressione ma si può convivere con essa, mano nella mano, come due compagne che si odiano ma che si accettano per vivere meglio insieme. O almeno per sopportarsi come se l’inerzia fosse amore e non odio. Nella miniserie, tratta da una serie di racconti rumorosi e belli quanto una radio accesa in mezzo al niente, Olive preferisce di gran lunga l’autunno alla primavera perché in autunno si guarda il cielo. In primavera la terra. In autunno tutto le ricorda il crepuscolo, l’attimo dopo un tramonto ma prima di un’alba, un ponte tra la sera e la mattina. Forse i secondi in cui l’aria sembra solo un gioco di luci danzanti. La danza di Olive è iniziata con la matematica, l’unica compagna matura e mai sazia di sapere, quella amica di tango con cui spargere pensieri fissi, rigidi. Non contestabili.
Olive Kitteridge è una donna sarcastica fino al midollo. Questo aspetto le ha conferito una forza allucinante per affrontare tutti i problemi della sua vita. Quando un tormento è saltato fuori dalla sua anima lo ha prima accarezzato e poi coccolato, come quando si vuole fare amicizia con un cane di cui si aveva paura. Olive è una donna forte, caustica, mordace: ama scartare la pellicola da ogni cosa per risalire ai sotto testi, le varie sfumature della vita. Abbiamo conosciuto il suo coraggio quando ci ha suggerito che l’intelligenza è perdonarsi e accettare la vita che ci è stata concessa senza inganni o illusioni. Abbiamo ammirato la sua dignità quando ha messo da parte l’orgoglio e la sua cristallizzazione per sedersi accanto al suo ex marito nel momento più buio del suo viaggio, nei secondi in cui un ictus mangiava il suo cervello. A quattro passi dall’uomo che ha sposato quando ancora non aveva rughe sul volto, Olive ha capito che amore significa spezzare la corda quando è troppo tesa. Non tentare di stenderla.
Spezzare la corda quando è tesa
Olive Kitteridge ha incassato i colpi anche quando ha smesso di parlare con suo figlio. Forse questo è stato il pugno più duro da mandare giù. Forse avrebbe avuto bisogno di esternare il suo amore di madre per sentirsi meno fragile. Ma anche in questo caso Olive ha scelto di combattere, di raccontare a se stessa storie in cui la protagonista ha abbattuto le pareti solo con le sue forze. Nel suo mondo fatto di algebra e numeri, le equazioni sono sempre state più ardue del previsto e senza un’immediata soluzione da ricercare in fondo alla pagina. Ma Olive ha amato tutto ciò. Ha amato affrontare il caos senza aiuto perché uscirne da sola sarebbe stato più soddisfacente: come Maradona nel mondiale vinto con la sua Argentina, come Muhammad Ali contro Sonny Liston, quello che nel 1964 era il campione in carica dei pesi massimi.
Olive ha vinto il suo incontro. Ha vinto la sua depressione. Ha vinto quando ha conosciuto un uomo alla deriva proprio alla fine dell’ultimo episodio. Ha vinto nel momento in cui si è sdraiata accanto a quell’uomo per raccontare le trame acerbe della sua vita. Le due storie sembrano scritte da uno stesso autore, uno di quelli che prova gioia e conforto nel progettare un finale comune per entrambi. Il finale comune sorge dalla consapevolezza. La consapevolezza assoluta che non puoi essere altro di ciò che sei: pugili che resistono su un ring pieno di insidie.