Corre l’anno 1986: Stephen King pubblica il romanzo forse più famoso della sua carriera, “It”. Grazie a questa meravigliosa saga corale non solo riesce ad imprimersi per sempre nella memoria collettiva, ma per primo ci insegna a diffidare delle piccole cittadine sperdute negli Stati Uniti dove sembra vigere la regola del “Tutti sanno, nessuno parla”. Per fortuna (o forse no) non ci troviamo a Derry e non c’è nessun clown; in Omicidio a Easttown il male è forse più nascosto, striscia tra le case e alla luce del sole si nasconde. Eppure la sensazione di soffocamento traspare da ogni inquadratura e ci accompagna per tutta la durata della serie: quasi preferiremmo essere a Derry, o in Louisiana a dare la caccia ad un serial killer, o ancora a Twin Peaks, dove il male assume contorni spaventosamente umani.
La storia del genere poliziesco è costellata da grandi insuccessi e piccoli capolavori che, a intervalli più o meno regolari, hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo della serialità; questo forse spiega come sia diventato sempre più difficile al giorno d’oggi portare sullo schermo un poliziesco di alto livello. Per nostra fortuna Omicidio a Easttown, miniserie del 2021 targata HBO, ci riesce molto bene. Perché, come una ruota che gira, torna all’origine.
Approdata sugli schermi nel 2021 con “solo” sette puntate, Omicidio a Easttown (di cui potete leggere dieci curiosità qui) sembra riproporre le vecchie regole che hanno segnato la storia del crime. La trama è incisiva nella sua semplicità: nella cittadina di Easttown, Pennsylvania, la detective Mare Sheehan è costretta a riaprire un caso irrisolto di un anno prima riguardante la scomparsa di una giovane ragazza a seguito delle proteste della madre di quest’ultima; la donna infatti accusa le forze dell’ordine di non aver fatto abbastanza per tentare di risolvere il caso. In poco tempo la storia assume risolvi inaspettati, complice l’omicidio di una giovane ragazza madre; in tutto questo, la detective deve fare i conti con i propri fantasmi personali e una famiglia a dir poco disfunzionale. Gli ingredienti sembrano esserci tutti: abbiamo la piccola cittadina apparentemente anonima, un caso di cronaca nera, personaggi ambigui e un’ambientazione d’effetto. Dove, quindi, Omicidio a Easttown riesce a fare quel passo in più?
Occorre prima di tutto concentrarsi sui personaggi: la detective protagonista interpretata da una magistrale Kate Winslet buca lo schermo, e riesce con poche battute ad entrare nel cuore degli spettatori con il suo atteggiamento burbero e sbrigativo. Basti pensare che il titolo originale della serie è proprio Mare of Easttown: la donna rappresenta la cittadina in tutto e per tutto ed è il motore attorno al quale muove tutta la narrazione. Mare, detective da molti anni ed ex stella del basket al liceo, è una donna sola, affaticata e soprattutto sofferente: divorziata da poco dal marito , vive con la madre Helen, la figlia Siobhan e il nipote di quattro anni Drew, ultima traccia di un figlio malato mentalmente morto suicida due anni prima. Della morte di Kevin quasi non c’è traccia sullo schermo (ad eccezione di pochi e incisivi flashback) eppure contamina ogni aspetto della vita dei familiari: dalla paura che il nipote possa ereditare la stessa malattia ad un matrimonio che non ha retto la morte di un figlio e che di conseguenza si è frantumato.
Omicidio a Easttown, forse ancora prima di essere un poliziesco, è una storia di amore e di donne.
E’ l’amore più puro che esista, quello di una madre che soffre per la perdita di una figlia, a mettere in moto gli ingranaggi della storia; è di nuovo l’amore il sentimento che spinge Erin, adolescente single da poco diventata madre, a mettere la salute del figlio malato davanti a tutto, e forse a decretarne addirittura la fine.
Le figure femminili, che spesso nel mondo seriale vengono utilizzate per enfatizzare quelle maschili, qui appaiono come le vere protagoniste del racconto, lasciando agli uomini il ruolo di cornice anche quando diventano fondamentali ai fini della narrazione; che sia il malato, l’omicida, il complice o l’omertoso, l’uomo in sé si ritrova colpevole di un peccato da cui non può sfuggire. Sulla scia della meravigliosa Amy Adams in Sharp Objects (che abbiamo recensito in questo articolo), Kate Winslet da voce ad una donna sfatta, complessa, determinata e soprattutto vera, ben lontana dagli stereotipi di genere. Quasi ci fa pena quando tenta di incastrare la nuora, la quale vorrebbe la custodia del figlio, per possesso di droga, eppure non possiamo fare altro che amarla: è madre, figlia, donna e molto di più.
Omicidio a Easttown si prefissa un obiettivo molto complesso e lo porta a termine egregiamente: ci racconta un poliziesco dove l’aspetto crime (l’omicidio vero e proprio e le indagini che ne conseguono) è certamente importante, ma viene affiancato dal racconto dei drammi interiori ed esteriori che animano la città. I personaggi si scontrano continuamente, fra di loro e contro se stessi, e i crimini reali si mescolano a quelli che abitano la mente di ognuno. Il tema della morte viene affrontato e ribaltato nella sua semplicità: alla fine, si tratta “semplicemente” di uomini e donne in carne e ossa che imparano ad affrontare una perdita. Che sia quella di un figlio, di un matrimonio, un ideale o una certezza, la sofferenza tocca e cambia tutti, non necessariamente in meglio ma nel modo più realistico possibile. E così ci viene mostrato, crudo eppure così delicato.
Così facendo giungiamo alla fine, noi alla visione e Mare della sua storia, a chiederci che cosa sia effettivamente cambiato per poi renderci conto che niente è uguale a prima. Insieme alla protagonista guardiamo una macchina che si allontana o stringiamo un corpo amico e capiamo che la ruota, scricchiolando, è tornata al punto di partenza.