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One Day at a Time è una medicina per il buonumore

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Molti ricercano in sitcom come One Day at a Time un momento di relax e di risate in cui rifugiarsi. La serie ha subito convinto il pubblico sia per la sua originalità che per i temi trattati con il giusto mix di leggerezza e sagacia.

I presupposti sono immediatamente individuabili e semplici: la storia ruota attorno alla famiglia Alvarez, americani con origini cubane che, vivendo in una grande metropoli come Los Angeles, si ritrovano a dover equilibrare le diverse mentalità e culture di ragazzi e adulti. La sitcom racchiude in sé tutti i clichè del genere: dai dialoghi brevi, spiritosi e pieni zeppi di piccole battute a situazioni assurde che riescono a sbrogliare entro i venti minuti della puntata. Sono proprio questi tratti già conosciuti, ma spesso utilizzati male, a rendere One Day at a Time quel raggio di sole che molti ricercano in una serie tv.

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Raccontando i problemi di una famiglia, One Day at a Time fa del dibattito e del contrasto uno dei suoi punti di forza: in perenne discussione, ogni personaggio riesce a dimostrare la logicità del proprio modo di vedere il mondo. Generazioni e culture a confronto permettono al pubblico di identificarsi facilmente con l’uno o l’altro personaggio: dalla giovane Elena, un’adolescente fermamente idealista e femminista che si butta con vivacità in ogni lotta contro il sistema in cui vive, all’eccentrica matriarca Lydia che, estremamente attaccata alle proprie radici cubane, rappresenta il lato più fedele alle tradizioni nella speranza di non far dimenticare ai suoi nipoti le proprie origini.

Queste impostazioni sono tipiche delle sitcom che basano la propria trama proprio sulle dinamiche familiari: One Day at a Time, però, mostra un volto più moderno e riconoscibile agli occhi dello spettatore, fatto di battaglie complesse e allo stesso tempo di reazioni genuine, buffe e divertenti.

Con queste impostazioni riescono dunque a passare messaggi e argomenti che, altrimenti, risulterebbero troppo seri per una comedy: dalle difficoltà di veterani di guerra nel riadattarsi alla vita civile alla differenza di salario tra uomo e donna, dai problemi che si incontrano nell’accettare la propria sessualità al mansplaining. Il modo con cui queste tematiche vengono trattate sicuramente conforta chi già le conosce e informa, senza saccenza alcuna, chi non sa di cosa si sta parlando. Un divertente esempio fra tutti è quando Schneider, il vicino di casa e factotum della famiglia, spiega alle donne Alvarez la tematica del mansplaining, cogliendo subito l’ironia della situazione:

Schneider: “Sorry I cut you off. Talk as long as you want. Not that you need my permission. I’m just—you know what? I’d like to hear from the ladies. Women. Females. You guys. Not guys. Humans.” [he covers his mouth].

Lydia: “Wow, you broke Schneider”.

Schneider: “Scusami se ti ho interrotto. Parla tanto quanto vuoi. Non che tu abbia bisogno dle mio permesso. Sto solo- sai cosa? Mi piacerebbe che parlassero le signore. Le donne. Le femmine. Voi tutti. Non maschi. Umani. [si copre la bocca] // Lydia: “Wow, hai rotto Schneider”.
alvarez

La parte più coinvolgente e rassicurante di One Day at a Time è che, quando si parla di questi argomenti, i vari personaggi sanno quando litigare e quando assicurare all’altro il beneficio del dubbio. In un mondo – specialmente virtuale – come quello contemporaneo in cui ogni passo fuoriposto può facilmente trasformarsi in una valanga di insulti pronta a seppellire anche la persona più ingenua che esista, vedere esempi di personaggi che hanno la possibilità di crescere, sbagliare e che vengono corretti con affetto e fermezza scalda sicuramente il cuore degli spettatori.

Questa serie non solo compie egregiamente il lavoro di ogni serie tv di ispirazione comica – ovvero quello di far ridere e divertire lo spettatore – ma crea da subito un mix di intimità e gioia che trasforma l’esperienza di fruizione in un momento di genuina felicità.

La volontà di provocare discussioni sia sullo schermo che nell’intimità di ognuno di noi è un ottimo messaggio di inclusione e di sfida: far ridere può risultare facile con un format così perfezionato come quello della sitcom, ma rendere una sitcom allo stesso tempo divertente, educativa e riflessiva è un lavoro fatto soprattutto di rischi, di ricerca e di tanta voglia di creare una connessione con il pubblico.

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Sorprendentemente la serie ha ricevuto un paio di cancellazioni (ultima tra tutte questa), ma gli autori hanno saputo scherzare e giocare anche su queste prospettive dedicando addirittura interi episodi all’argomento. Quando la serie è stata cancellata dopo la sua terza stagione da Neflix, sia il cast che i fan hanno lottato affinché la storia potesse continuare da qualche altra parte. L’importanza di One Day at a Time, soprattutto, risiede nelle storie che ha esportato in tutto il mondo: un progetto come questo è stato sin da subito difeso sia dai fan che dai giornalisti televisivi che hanno pubblicato articolo dopo articolo per sostenere con le unghie e con i denti questo piccolo luogo felice.

Poco dopo PopTV, produttore di un’altra comedy interessante come Schitt’s Creek, ha salvato lo show e creato una quarta stagione che, in maniera simpatica, riparte commentando tramite abili metafore proprio l’abbandono di Netflix (ne abbiamo parlato anche qui). Una sitcom a base familiare ha bisogno di un minutaggio lungo capace di immergere i propri spettatori in un’atmosferma conosciuta e apprezzata, motivo per cui molti consideravano le tre stagioni come “soltanto l’inizio”.

Al momento però One Day at a Time è stata nuovamente cancellata, ma il ricordo – e la speranza – sono sempre dietro l’angolo: in fin dei conti la missione degli autori di raccontare la verità e la quotidianità di un mondo così complesso come quello contemporaneo perderebbe la propria efficacia se non fossero loro stessi a prendere il tutto, così come dice il titolo, “un giorno alla volta”.

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