Quando ormai parecchi anni fa, nel 2017, i serializzati si ritrovarono di fronte all’annuncio secondo cui sarebbe stata messa in cantiere una serie live action di One Piece, lo scetticismo regnava sovrano. Ricordiamo ancora le discussioni in rete (che sono andate avanti fino a pochi mesi fa) a riguardo, nella stragrande maggioranza dei casi improntate su un grande disappunto e indignazione. Tali pregiudizi, d’altronde, non erano basati sul nulla e traevano le proprie radici in un passato che in tanti tuttora vorrebbero tanto poter dimenticare: l’idea di pensare al live action di un manga-anime come One Piece a cura di una casa di produzione occidentale riportava infatti alla mente lo spettro dell’odiatissimo Dragonball Evolution e del terribile film di Death Note, due tra i prodotti più criticati e controversi di sempre, esempi assoluti di come non si dovrebbe fare un adattamento.
Il successo o il fallimento di questa nuova versione di One Piece avrebbe segnato per sempre la fine di un genere che ancora non era riuscito a farcela o l’inizio di un nuovo filone dell’intrattenimento
Eppure, nonostante le infinite preoccupazioni, i dubbi e le incertezze, dopo sei anni di lavoro, il live action di One Piece è sbarcato su Netflix, ponendo fine a quella che sembrava una maledizione senza rimedio, intrattenendo il pubblico con le sue storie e regalandoci una serie che è una vera e propria lettera d’amore nei confronti di una tra le opere di maggior rilievo degli ultimi vent’anni.
L’opera di “conversione” messa in atto da Netflix, d’altra parte, è stata magistrale, frutto di una campagna marketing che, mostrandoci pian piano ma inesorabilmente trailer, immagini promozionali e sfruttando le dichiarazioni di Oda, ha spinto tanti a dare una chance allo show ed è stato in grado di generare sempre più hype, non solo tra i fan del manga e dell’anime, ma anche tra completi novizi. Più ci accorgevamo della cura con cui scenografie, costumi, oggetti di scena e personaggi erano stati trasposti, più la speranza iniziava a crescere in noi, una speranza che cercavamo però di ricacciare per non farci troppe illusioni. Quando il 31 agosto abbiamo finalmente premuto play per dare il via alla serie di Netflix, sono bastati pochi minuti di visione per farci stampare sul volto il sorriso inebetito che solo chi è rimasto piacevolmente soddisfatto da qualcosa può avere. Il miracolo era stato compiuto, realizzare come si deve un live action tratto da un anime o un manga è diventata una possibilità concreta e non più solo un miraggio.
Certo, qualcuno potrà obiettare che, in realtà esistono altri prodotti live action tratti da anime e manga di ottima fattura: il film di Old Boy e la serie su Alice in Borderlands sono solo alcuni tra gli esempi che potremmo portarvi, ma qui a fare la differenza è che essi sono prodotti asiatici e non di stampo hollywoodiano come il già citato Dragonball Evolution o la dimenticabilissima serie Netflix di Cowboy Bebop. Se c’è infatti una cosa che gli americani tendono a fare è quella di provare a occidentalizzare troppo prodotti che si basano su un modo diverso di raccontare storie, non capendo che, se anime e manga continuano a vedere il loro successo crescere, ciò si deve proprio alla loro differente matrice culturale.
Volevamo una rivoluzione e una rivoluzione abbiamo ottenuto.
Non che questa serie live action sia perfetta in tutto e per tutto: ne abbiamo parlato nella nostra recensione. Pur con tutti i suoi difetti, la One Piece di Netflix risulta perfetta per ciò a cui puntava con la sua prima stagione: essere una buona trasposizione che non tradisse lo spirito dell’opera originale e i suoi personaggi, imbastendo un mondo a suo modo credibile anche in carne ed ossa e puntando su una sceneggiatura solida e ben scritta, il che non è assolutamente da poco. Questo è quello che ha fatto davvero la differenza: il rispetto e l’amore per il materiale di base, che qui non viene usato solo come spunto di partenza per imbastire trame da essa svincolate e che vanno a snaturarne il senso come successo il passato. Sarà stato il coinvolgimento del maestro Eiichirō Oda, geniale mente dietro a One Piece, che ha preteso di essere coinvolto attivamente nella realizzazione dello show e che ha svolto il ruolo di supervisore del progetto. Sarà stata la gestione della serie da parte degli showrunner Matt Owens e Steven Maeda, due veri e propri fan del manga, ma il risultato finale della serie live action ha finito per far ricredere davvero tante persone.
La ricetta del successo di questa versione di One Piece è subito spiegata.
Un’attentissima scelta a livello di cast, che ha selezionato attori di altissimo livello e davvero in parte (sia per quanto riguarda i protagonisti che i personaggi secondari), una maniacale cura per la ricreazione del mondo in cui la serie si ambienta, che ha trovato il giusto equilibrio tra la visione cartoonesca del world-building di Oda e la credibilità di un prodotto live action e una buonissima opera di adattamento. Pur adattandosi ad alcuni standard tipici di una serie tv occidentale, a partire da puntate tra loro maggiormente connesse e storyline parallele, la One Piece di Netflix non è andata a tradire eccessivamente il materiale originale. Nonostante anticipazioni di trame future, cambiamenti a livello di location e interazioni tra personaggi, il core del manga è rimasto intatto: le scene più iconiche e importanti per lo sviluppo della storia e della psicologia dei personaggi sono stati mantenuti, seppur con qualche piccolo cambiamento, così come le caratterizzazioni di questi ultimi. Ciò che ha più prevalso è stato infatti un grande rispetto, cosa che non ha comunque inficiato la libertà creativa dei suoi autori che hanno avuto modo di sperimentare non solo grazie alla storyline di Garp e Kobi, ma anche con modifiche volte a rendere più coesa sin da subito la trama della serie.
Grazie a questo approccio e alla grande cura per il materiale di partenza, perfino quello che su carta sembrava dovesse essere il più grosso problema del live action di One Piece, ossia la resa dei poteri dei Frutti del Diavolo e dei combattimenti sopra le righe tipici di anime e manga è passato in secondo piano. Nonostante siamo ancora lontani dal definirci pienamente soddisfatti dalla resa degli effetti visivi della serie, possiamo dire di non esserci per nulla scandalizzati dalla resa finale, tutto sommato più che accettabile viste le preoccupazioni iniziali.
Detto questo, è inutile negarlo: a suo modo la prima stagione di One Piece, in barba a tutti gli scettici e fatalisti, è la prova che è veramente possibile realizzare una serie live action che risulti non solo sufficiente, ma anche più che ben fatta, un precedente che sicuramente influenzerà il futuro della serialità contemporanea che deciderà di puntare moltissimo sulla trasposizione di prodotti nipponici. Aspettatevi dunque tantissimi annunci di nuove produzioni a tema anime e manga.