“Perchè mi sento così insoddisfatto?”. In questa frase del protagonista Saitama è racchiusa tutta la forza e il significato di One Punch Man. Un mix di scazzottate, lotte, personaggi folli, risate e satira contro i canoni classici dello shonen (vedi Dragon Ball). In un genere letterario fondato sulla figura dell’eroe, l’opera ribalta la domanda e pone l’accento su una questione spinosa: abbiamo davvero bisogno di così tanti eroi?
One Punch Man è uno shonen manga del 2009 ideato da One (nome d’arte della mente creativa). É la storia di Saitama, un ragazzo che dopo 3 anni di duro allenamento, raggiunge l’obiettivo di diventare l’eroe più forte del mondo. Ben presto però Saitama diventa troppo forte, stende ogni avversario con un solo pugno, nessuno riesce minimamente a impensierirlo. Senza alcuno stimolo, cade in uno stato depressivo. La conoscenza del cyborg Genos e l’entrata nell’Associazione degli Eroi riaccenderà in lui la speranza di trovare un obiettivo. Visto l’incredibile successo dei vari capitoli della carta stampata, nel 2015 viene rilasciata in 12 episodi la serie animata tratta dall’opera omonima.
Le puntate godono di una lodevole qualità tecnica e il successo non tarda ad arrivare, diventando in poco tempo un fenomeno di culto.
Un’idea tanto folle e semplice quanto originale e straordinaria, capace di prendersi gioco dei canoni classici dello shonen giapponese basato su eroi senza macchia, spesso metafora degli ultimi che riescono – attraverso il duro lavoro – a riscattarsi e diventare forti, sconfiggendo nemici con l’aiuto di altri. Saitama è invece l’opposto: è poco espressivo, è pelato, apatico, è già troppo forte fin dalla prima puntata e non vuole l’aiuto di nessuno, ma soprattutto, è una persona Normale.
Non ha acquisito poteri perchè apparteneva a una razza particolare, non è un alieno, non è un discendente di chissà quale dinastia. É solo una persona che si è allenata, anzi che si è allenata troppo. Con queste premesse, One Punch Man lancia un messaggio che passa spesso in secondo piano: quello sull’importanza dell’avversario.
L’avversario è colui che noi dobbiamo battere, ci stimola a migliorare, spesso ci assomiglia, o addirittura siamo noi stessi.
Cosa sarebbe Goku senza i vari Vegeta, Freezer e Majin Bu? Cosa sarebbe Batman senza Joker? Sarebbe divertente guardare le partite del Real Madrid se sapessimo che i rivali del Barcellona non esiterebbero? É proprio lo sport che si fonda su questi principi, dove l’avversario diventa l’elemento principale, senza il quale non potrebbe esistere.
É il solito principio di Yin e Yang, dove l’uno non può esistere senza l’altro. Saitama rappresenta bene dal punto di vista emotivo la condizione in cui ci potremmo trovare se una delle due metà venisse a mancare. Il grande paradosso della vita stessa è racchiuso in quella sua testa pelata. In un universo narrativo pieno di eroi come quello di One Punch Man, dove ognuno di loro ha caratteristiche speficiche ed è sotto i riflettori, gli insegnamenti più belli arrivano proprio dal loro significato opposto, mettendo in luce le fragilità del mondo stesso.
Fa sorridere che ora l’attesa (oltre che di nuove stagioni, che pretendiamo immediatamente) non sarà, come per la maggior parte di tutte le altre serie, il modo in cui l’eroe sconfiggerà il nemico, ma la speranza stessa che arrivi qualcuno che possa battere l’eroe! Saitama, insomma, vuole perdere.
La sconfitta è un insegnamento molto più profondo della vittoria, di vitale importanza per l’essere umano, che in essa riscopre se stesso, i propri limiti e la capacità di rialzarsi.
One Punch Man rappresenta quello schiaffo morale di cui la nostra società ha bisogno, quello schiaffo negato al figlio che se la prende con il professore che ha la sola colpa di assegnare un voto negativo, quello stesso voto che poteva essere l’input per un riscatto personale.
Forse è questo il grosso problema della nostra società. Abbiamo perso di vista il nostro vero avversario, lo cerchiamo disperatamente, ma di lui nessuna traccia. Forse si è stufato di prendere sempre cazzotti e non ricevere nemmeno un applauso. E se cercassimo bene e scoprissimo che l’avversario siamo noi? Se il nostro Yang è semplicemente l’altra nostra metà? Non è di eroi che il mondo ha bisogno, ma di qualcuno che sia pronto a fare a pugni con noi perchè abbiamo un disperato bisogno di perdere.