Fin troppo spesso capita che serie tv di alta qualità, originali per tematica e per linguaggio narrativo passino in sordina e rimangano soffocate nel mare di nuove uscite senza salire a galla e prendersi la scena che in realtà meriterebbero: è il caso di Only Murders in the Building, che vive il paradosso di essere una delle migliori serie tv uscite nel 2021 e allo stesso tempo di essere una delle produzioni più – ingiustamente – sottovalutate dell’ultimo periodo. Composta da 10 episodi e disponibile sulla piattaforma Hulu, la serie è fruibile in Italia grazie a Disney Plus come Star Original. Sono molti gli elementi di originalità e spessore che rendono questa serie un vero gioiellino: l’efficace fusione di genere giallo e comedy, la rielaborazione delle detective stories del passato con l’aggiunta di innovazione, la forte componente metanarrativa e l’incredibile chimica tra i tre attori protagonisti – Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez, un trio che funziona alla perfezione. E proprio questo trio è composto da personaggi sfaccettati e profondi, cosa che potrebbe sorprendere se si pensa alla brevità della serie. Ogni loro espressione, gesto o parola comunicano allo spettatore un lato della loro personalità e della loro storia e tutto assume un significato ancor più profondo quando ci si rende conto che i tre, nell’arco della stagione, non cercano soltanto il colpevole. Cercano sé stessi.
Only Murders in the Building è una storia di identità.
Chi è Tim Kono? È questa la domanda esplicita che pone le basi a tutta la vicenda raccontata nella serie. A chiederselo è il pubblico, che vede un ragazzo assassinato in un appartamento dell’Arconia, un lussuoso condominio di New York. Ma a chiederselo è anche il trio protagonista, oltre che le altre persone che vivono nell’edificio. Una domanda sì banale, ma altrettanto importante che costituisce il titolo del secondo episodio. All’apparenza, potrebbe sembrare che tutto si celi lì: l’identità della vitta è ciò che si vuole e si deve indagare. Cos’altro serve scoprire? Eppure, a uno sguardo più attento, ci si accorge lo scavo nel passato di Tim Kono e la conseguente ricerca del colpevole altro non sono che un mezzo per cercare o ricercare sé stessi.
Perché un trio così variegato e insolito si metta a lavorare insieme è presto detto: il caso. Charles-Haden Savage, Oliver Putnam e Mabel Mora si rendono conto di essere state le ultime persone a vedere Tim Kono in vita, durante un semplice viaggio in ascensore. Ma, in realtà, sono accomunati da qualcosa di molto più forte: tutti e tre si trovano in una sorta di limbo tra il proprio passato e il proprio futuro, bisognosi di scendere a patti con quel che è stato e con quel che potrebbe essere. Qual miglior modo per (ri)trovare sé stessi, se non mettendosi a indagare su un omicidio?
Charles-Haden Savage ha bisogno di queste indagini per cercare di non pensare al declino della sua carriera. Si tratta di un uomo che vive dietro un’ombra che lui stesso ha gettato, quella di attore di una vecchia serie di successo, Brazzos, che ha ormai passato il suo tempo – proprio come Charles. La fama e i fan sono rimasti alle spalle, eppure l’uomo avrebbe ancora necessità di tutto questo, per cercare di soffocare il senso di solitudine derivato da una storia finita male e il senso di incompletezza scaturito dalla perdita di notorietà.
Charles-Haden Savage, per ritrovarsi, ha bisogno di uno scopo.
La realizzazione del podcast Only Murders in the Building e la ricerca della verità sembrano dare nuova linfa vitale a Charles, che si butta a capofitto nella missione di gettar luce sul passato di Kono – quasi nel tentativo di evitare di farlo con il suo. E ,nel corso degli episodi, ci si rende conto di come Charles diventi sempre più presente e vivo. Tuttavia, il passato prima o poi bussa sempre alla porta e l’attore si ritrova a fare i conti con una delle sue paure più grandi: l’amore. L’attrazione per una vicina di casa lo costringerà a scendere a patti con sé stesso per capire se possa definitivamente seppellire la vecchia relazione per avventurarsi in una nuova.
Nel frattempo, il quotidiano confronto con Oliver e Mabel farà capire a Charles di non essere davvero solo e, soprattutto, che è proprio il dialogo con gli altri ad aiutare a definire sé stessi. Tra l’altro, c’è un momento di forte impatto visivo che in un certo senso può essere letto come l’attimo in cui Charles si trova a faccia a faccia con sé stesso: l’arrivo della sua vecchia controfigura. L’uomo si trova letteralmente davanti al suo doppio, che in una scena lo copia perfino nei movimenti. Ma il vero Charles-Haden Savage è solo uno e bisogna avere il coraggio di dimostrarlo.
Al contrario di Charles, Oliver Putnam non sembra aver perso la sua verve: sempre dinamico ed entusiasta, Oliver è un registra teatrale dalle idee originali e innovative, a volte incomprese, che cerca di sfruttare il suo talento da regista per dirigere anche la vita, cosa non sempre facile. I suoi spettacoli, proprio perché così sopra le righe e di difficile comprensione, sono stati fallimentari e gli hanno lasciato solo debiti e solitudine.
Oliver Putnam, per ritrovarsi, ha bisogno di mettere ordine.
Oliver si rivela fin da subito un personaggio caotico e pieno di voglia di fare, ma che indirizza le energie nella direzione sbagliata. Spesso precipitoso, salta a conclusioni e non si accorge che la mancanza totale di schemi è tanto dannosa quanto la rigidità di stare sempre dentro le linee. Per riavere indietro la bussola, il regista ha bisogno di ordine. Anche nel suo caso, il confronto con gli altri due vicini di casa si dimostra fondamentale e costruttivo: è nello scambio di idee che emerge la propria vera personalità.
E cosa c’entra un personaggio come Mabel con gli altri due? Se già Oliver e Charles sono figure piuttosto diverse, quello che colpisce di Mabel a confronti degli altri personaggi è la differenza di età. Il minimo comune denominatore, però, c’è anche in questo caso: si tratta di un’altra persone che vive un periodo di solitudine e che, nonostante la giovane età, deve già fare i conti col passato, altrimenti rischia di non poter vivere il presente.
Mabel, per ritrovarsi, ha bisogno di sistemare quello che ha alle spalle.
Bastano poche scene per intuire che Mabel ha, in realtà, un legame con la vittima e che la sua storia sia strettamente connessa a quella di Tim Kono. Per lei, molto più che per gli altri, è di vitale importanza ricostruire la dinamica degli eventi, perché è anche un modo per mettere a posto il suo stesso passato. Ventotto anni potrebbero sembrare pochi per avere scheletri nell’armadio, eppure Mabel ha già bisogno di un giro di boa. Sente di non poter continuare così, non dopo aver perso un’amica in circostanze misteriose tempo addietro.
All’inizio, Mabel si unisce ai vicini però allo stesso tempo cerca di portare avanti le indagini da sola. Ci mette un po’ di più a capire che la vera forza è il gruppo. Quando comincia a fidarsi, la situazione muta e diventa anche più facile affrontare momenti dolorosi che sembravano seppelliti nel passato, ma che bruciano come ferite del presente.
È solo grazie all’intreccio di questi percorsi che i tre protagonisti riescono ad arrivare alla verità, rendendosi conto che hanno bisogno l’uno dell’altro, ma anche che la verità più importante è quella nei confronti di sé stessi. Non occorre nascondere le proprie paure, non serve a nulla far finta che vada tutto bene: i problemi e le difficoltà vanno affrontati con sincerità e con l’aiuto di altre persone.
Alla luce di questo, trovare il colpevole diventa secondario: tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto solo nel momento in cui i personaggi fanno pace con loro stessi e diventano davvero pronti ad affrontare il futuro. Questa è la grande forza di Only Murders in the Building: utilizzare un setting così specifico, una storia così definita, per poi dare un messaggio universale nel quale ognuno di noi si può rispecchiare.