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Only Murders in the Building: la bellezza immortale di cinquant’anni fa, con il linguaggio di oggi

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Con poche semplici battute Charles-Haden Savage pone un anello di congiunzione tra i classici gialli vintage e Only Murders in the Building, che con un’occhio sempre fisso sul passato ci proietta nel futuro delle comedy crime:

“C’è una cosa che non capisco: la gente che non vuole vivere nelle grandi città per via della criminalità. I veri appassionati di true crime direbbero: «Purtroppo le zone isolate sono molto più pericolose».

Chi non è mai incappato almeno una volta in un episodio di serie tv come La Signora in Giallo o Il Tenente Colombo, o ancora il più “recente” L’Ispettore Barnaby ed è poi rimasto affascinato dal mistero? Quasi tutte queste storie si ambientano in periferia e l’osservazione del protagonista non ci è mai sembrata più vera se ripensiamo che nelle cittadine di provincia ogni episodio muoiono almeno tre persone: ormai nel villaggio di Midsomer Mallow sono sopravvissuti solo Barnaby e il suo fido collega! O ancora, volendo spingerci ancora più lontano, i classici come Sherlock Holmes o Agatha Christie esercitano sempre una strana influenza su coloro che si imbattono in una pagina o in una delle loro trasposizioni cinematografiche: il protagonista ficcanaso, i membri di una classe sociale elitaria che nascondono tutti dei segreti e odi mal sopiti, l’omicida senza scrupoli.

Only Murders in the Building convoglia tutte le caratteristiche classiche dei gialli a cui libri e telefilm ci hanno abituato negli ultimi cinquant’anni con un linguaggio fresco, ironico e ammiccante che rende la serie appetibile per i giovanissimi come anche per i più grandi.

L’impressione che si ha guardando le prime puntate della nuova serie di Hulu, distribuita in Italia da Disney Plus, è quella di sta assistendo a una partita di Cluedo, il celebre gioco da tavolo. Un uomo viene ucciso all’Arconia – un lussuoso condominio di New York -, archiviato come suicidio, l’assassino deve essere ancora nel palazzo, probabilmente è uno degli inquilini. Tre di loro decidono di indagare sull’omicidio, ma anche i protagonisti nascondono dei segreti e non si può escludere nessun sospettato.

La storia scorre piacevole e intrigante, ma non è solo il mistero della morte di Tim Kono che lascia il pubblico incollato allo schermo, quanto piuttosto lo stile e i personaggi che catalizzano l’attenzione. Prendono per mano lo spettatore, che non ha l’impressione solo di seguire l’investigatore nella sua indagine, ma di accompagnarlo senza anticiparlo né restando indietro.

L’unico momento in cui abbiamo un’anteprima di quello che succederà è all’inizio del primo episodio: quando troviamo Maple seduta accanto al cadavere fresco dell’amministratrice del palazzo, impregnata di sangue. E poi un flashback ci riporta a due mesi prima, il nastro si riavvolge e ricominciamo le presentazioni. La grandezza di questa serie è proprio che ci fa affezionare ai suoi personaggi al punto che non siamo più curiosi solamente di scoprire la verità sull’omicidio, bramiamo invece la verità sui suoi protagonisti. Tant’è che ci ricordiamo di quei primissimi minuti solo nell’ultima puntata, quando ormai diventa palese che la scena in questione avrebbe dato avvio alla successiva stagione.

Ogni protagonista è ben caratterizzato e, con luci e ombre, mostra un arco di evoluzione dall’inizio alla fine. Charles-Haden Savage è un attore ormai senza ruoli, che gode ancora della gloria riflessa della sua vecchia serie di successo Brazzos; Oliver Putnam è un regista teatrale visionario e sopra le righe, rimasto solo e indebitato proprio a causa i suoi spettacoli fallimentari; Mabel Mora è una ragazza di ventotto anni, silenziosa e schiva, abita nell’appartamento di sua zia che sta ristrutturando. In apparenza i tre non sembrano avere nulla in comune, invece presto scoprono di essere in sintonia e di condividere molto più della semplice passione per i podcast true crime. Seguiamo le loro storie, li vediamo barcamenarsi tra passato e presente, all’inizio diffidenti e poi sempre più vicini gli uni agli altri. Insieme imparano a rompere gli schemi – o nel caso di Oliver, a costruirne alcuni – e soprattutto a confidarsi: stare da soli non tutela dalle delusioni e non rende immuni al dolore. Lo capiscono bene Charles e Mable che si scoprono anime affini, con una storia diversa, ma un risultato simile. La differenza d’età tra i tre investigatori improvvisati è un’altra delle trovate geniali di questa serie.

Sono due generazioni a confronto, boomers e millennials, due modi diversi di agire e di approcciarsi al mondo. Il passato e il presente che si incontrano e abbracciano, scambiandosi ruoli e consigli.

Con un’ambientazione degna dei migliori romanzi thriller, una storia di vendetta e incidenti, di sofferenza e anni rubati. Ma anche di amicizia e di speranza, di giustizia e di scoperta. Con un linguaggio giovanile e uno stile immersivo, un podcast su Spotify che racconta delle disavventure dei tre detective, che tra alti e bassi, riescono contro ogni previsione a sventare l’omicidio di un intero condominio e incastrare l’assassino. Le battute a effetto e l’ironia spezzano la tensione che l’incertezza e il dubbio creano, un attimo di suspense e poi di nuovo una risata, seguita dall’agitazione.

Gli episodi sono caratterizzati da scene surreali costruite nella mente di Oliver che non riesce a non trasportare la realtà in uno spettacolo di Broadway, indagini assurdamente coinvolgenti come il momento in cui i tre sono convinti che l’assassino sia Sting, il cantante dei The Police. Un episodio poi quasi interamente muto: il silenzio prima della verità. I protagonisti danzavano sulle note del silenzio, noi completamente immersi nella vicenda. E ancora humor e dialoghi stralunati fanno sì che il tempo della puntata voli, senza che però nulla risulti frettoloso o raffazzonato.

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È una storia nella storia quella di Only Murders in the Building. La storia dell’omicidio di Tim Kono è una finestra sulla storia degli Hardy Boys e poi di Oliver e Charles.

D’altronde, ciascun protagonista è tormentato dai ricordi: siano essi sogni di gloria, relazioni finite, amicizie sfaldatesi a causa di una tragedia. E il vero mistero di Only Murders in the Building diventano proprio questi. Li seguiamo indagare sulle loro stesse vite, scoprirsi a poco a poco. Questa è forse una delle innovazioni più riuscite. La domanda a cui necessitiamo avere una risposta non è Chi ha ucciso Tim Kono?, ma piuttosto Chi era Tim Kono? E alla fine l’unica risposta possibile è proprio che Tim Kono siamo tutti noi. Tutti alla ricerca di qualcosa, tormentati da qualcuno, con sogni e speranze, delusioni e rabbia.

Questa serie tv è riuscita a rimodernare il genere giallo – sempre ricco di nuove proposte -, non cercando di imitarne nessuno, ma percorrendo un sentiero ancora poco battuto, a metà strada tra le comedy e il crime. Immortale e contemporaneo, Only Murders in the Building è una chicca, una delle migliori serie del 2021.

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