Impossibile non aver sentito parlare dello show Hulu (disponibile su Disney+ in Italia con rilascio a cadenza settimanale) Only Murders In The Building nelle ultime settimane. Il fascino della serie tv che fonde crime e comedy sta proprio nella capacità di amalgamare i generi e i linguaggi per ottenere un titolo a cui non si può resistere: è già un classico inconfondibile. Forse proprio perché di classico ha anche il retrogusto, quando non è proprio il sapore principale che ne permea tono e dinamica. Sin dal rilascio dei primi episodi nell’agosto dello scorso anno, il catalogo Hulu e il panorama seriale attuale non sono più stati gli stessi. Only Murders In The Building ci ha attratti con un cast a cui è impossibile dire di no e un plot accattivante, per poi conquistarci nel giro di qualche minuto con un mistero fitto e uno stile peculiare. La serie tv creata da Steve Martin e John Hoffman gioca coi classici e con le novità e, per questo, ci cattura con una storia che ci coccola con quello che già conosciamo e intriga con l’appeal dell’ignoto e di un carattere narrativo irriverente e autoironico.
La nobile capacità di mettersi in gioco col sorriso e di non prendersi troppo sul serio sono la vera forza di Only Murders In The Building che rende così unica la propria storia.
Non serve molto: un grande e lussuoso condominio nell’Upper West Side di New York animato da inquilini estremamente caratterizzati, grotteschi e impiccioni. Ognuno con le sue fisse, abitudini e situazioni passate. E un omicidio da risolvere. Apparentemente nulla di nuovo rispetto a quel che c’è già stato. Uno schema classico e utilizzato col tempo in diversi racconti e media, ma rinnovato e rivoluzionato dal principio grazie proprio a dinamiche assurde, esagerate, e al linguaggio fresco, divertente e ricco di riferimenti culturali. Only Murders In The Building si costruisce sul passato ma si regge nel presente: la storia è ambientata ai giorni d’oggi, nei tempi in cui il podcast è tendenza e gli smartphone sono la base comunicativa. Ma trae tanto dal passato, a partire proprio dai suoi volti principali che attingono proprio “dal passato”. Steve Martin e Martin Short tornano ancora una volta insieme sui nostri schermi, mettendosi in gioco in una trama in cui l’autoironia è la chiave e attribuendo il giusto valore vintage al giallo. Insieme a Selena Gomez, il trio di attori anima tre tra gli inquilini del palazzo che uniscono le forze per trovare il volto dell’assassino del giovane vicino Tim Kono. E, proprio perché Only Murders In The Building è anche e soprattutto un racconto d’oggi, il gruppo segue le indagini attraverso l’omonimo podcast che dà il nome alla serie tv.
Anche nei momenti di maggiore suspence e in cui il mistero principale sembra finalmente dispiegarsi, la comicità non abbandona le tele del racconto e, proprio per questo, tiene incollati con uno stile reso caratteristico da un tono sarcastico, ritmato e pungente. Le stramberie e le piccole assurdità si collocano perfettamente nello spazio narrativo, alleggerendolo. Ciò consente comunque a personaggi e interpreti di essere credibili e divertenti: la linea è sottile e Only Murders In The Building non sbaglia mai. Come nell’esilarante sequenza della seconda stagione in cui Charles cerca di far confessare Cinda minacciandola con del pomodoro affettato. O, come quando gli inquilini impiccioni ficcano troppo il naso nelle vicende del trio, ma in modo impacciato e acido al punto da risultare comico.
Passato e presente si incontrano, ed è subito un classico fuori dal tempo!
Quello del giallo è un genere storicamente inflazionato, eppure la serie tv riesce a farlo proprio attraverso un racconto diverso da tutto il resto e per questo efficace. Ad agire da rinforzo c’è anche la brillante coniugazione con gli elementi del presente: la forte presenza dei media, il podcast in particolare, e i continui spassosi riferimenti alla cultura pop passata e contemporanea con una connessione non indifferente alla realtà off-screen. Questi, uniti alla libertà e spregiudicatezza linguistica attuale rendono quella di Only Murders In The Building una storia diversa da tutto il resto. E’ un classico dei giorni d’oggi. Dà la sensazione di quel rassicurante abbraccio in cui ci avvolge un racconto tradizionale e puramente crime, fatto di stereotipi e di imprevedibilità allo stesso tempo. E si arricchisce di quello che ci piaceva e confortava dei titoli del passato (semplici, lineari, ma efficaci) con l’audacia, la creatività e l’ironia pepata che ad oggi lo distinguono dal resto.
La voce inconfondibile del trio segue lo stile rapido e ironico di una narrazione in grado di alleggerire anche le situazioni apparentemente più serie. Il linguaggio frizzante che sa di retro’ (per genere), ma che si coniuga coi formati del presente, con la tanta crossmedialità, i tempi comici e i numerosi riferimenti culturali, rendono Only Murders In The Building uno show trasversale e manifesto di una tendenza nostalgica eppure estremamente al passo con la contemporaneità. La centralità stessa del formato podcast proietta inevitabilmente in una realtà spazio-temporale presente, ma gestita e adattata a un tono vintage del racconto che si fonda su dinamiche gialle confortanti e storicamente definite, e per l’appunto ribaltate col sorriso dalla serie tv.
Pur con gli accorgimenti che fanno di Only Murders In The Building uno show confortevolmente vintage, si tratta allo stesso tempo di un titolo imprevedibile nella sua sana dose di follia comica e imprevedibilità stilistica e narrativa. E’ proprio il sapiente confine con l’assurdità che spezia una serie tv che sta attualmente rinnovando il presente seriale di due generi in contemporanea. Mabel, Oliver e Charles sono un trio improbabile che proprio dall’apparente incompatibilità trae la sua forza e ragione di unione: si completano, e completano un plot che deve essere animato dal carisma di interpreti e personaggi che possano rendergli giustizia. E’ persino difficile ricordarci come fosse il panorama seriale prima dell’arrivo di un tale classico dell’età più moderna.