ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Lioness 2
È complicato iniziare questa recensione. Molto più delle due precedenti dove l’azione l’aveva fatta da padrona e ci aveva fornito una serie di emozioni così intense, nel bene e nel meno bene, da darci lo spunto per iniziare.
In questa terza puntata di Lioness 2, invece, apparentemente qualcosa non torna. L’impressione è quella di aver fatto un frontale contro un muro. Di aver subito uno stop piuttosto brusco. Tutto resta vago e dopo quarantacinque minuti la domanda che ci poniamo è: che diavolo è successo?
Non nascondiamo la sensazione di delusione che abbiamo provato al termine. L’attesa ci aveva caricati a mille convinti che sarebbe successo il finimondo. Perché un thriller spionistico deve far esplodere cose, far volare proiettili. Mostrare una scazzottata, un inseguimento. Eccetera eccetera. E invece…
Sono i dettagli fare la differenza
E invece c’è tutto quello che occorre perché anche questa terza puntata sia un’altra perla da inserire nella collana di Taylor Sheridan. Nella pagina IMDB di Lioness troviamo: spy, action, drama e thriller. Quattro definizioni che ci aiutano a catalogare questa serie. Ognuno di noi ha sicuramente qualche serie o film di rifermento per ciascuna voce. Nella terza puntata andata in onda domenica 10 novembre ci sono tutte e quattro. C’è il lato spy affidato principalmente a Nicole Kidman e il suo entourage politico. Quello action gestito da Genesis Rodriguez e il gruppo paramilitare della CIA. Quello drama con Zoe Saldaña e la sua famiglia. E quello thriller che riguarda principalmente la storia.
In questa puntata è presente persino la linea comica (tanto amata dal nostro caro René Ferretti) con alcune scene che potrebbero sembrare divertenti ma che in realtà non lo sono per niente.
Ogni personaggio è un mondo in Lioness 2
In linea generale diremmo che la storia prosegue. La trama viene rimbalzata tra i vari personaggi che la portano avanti ciascuno a modo suo. Finalmente vediamo Martin Donovan all’opera. Fino a questo momento il marito del personaggio interpretato da Nicol Kidman si era tenuto sullo sfondo. Le sue poche apparizioni avevano dato l’impressione che l’uomo sapesse molte cose ma che non fosse disposto a condividerle con lo spettatore. La sua pungente ironia, così distaccata e sottile, come la lama di uno stiletto, ci aveva deliziato. Fin dalla prima stagione abbiamo desiderato che avesse più spazio e piano piano Taylor Sheridan ci sta accontentando.
In questa puntata Nicole Kidman ha bisogno di lui. E lo attira a una cena fuori porta con l’inganno promettendogli un dinner in uno specifico ristorante. Mentre sono in auto lui si accorge che la strada non è quella giusta. Lei, allora, lo mette al corrente del suo piano e del ruolo che lui deve interpretare. Ruolo nel quale l’uomo si trova perfettamente a suo agio. Supportare la moglie sul piano economico.
Abbiamo aspettato Martin Donovan fin dal primo episodio
La coppia, infatti, è a cena con una deputata (Robyn Lively, sorella di Blake Lively) e un altro uomo. A Nicole Kidman è stato dato l’ingrato compito di spiegare bene che l’azione intrapresa dai cartelli messicani (rapire una deputata americana e ucciderne la famiglia) non sia opera loro bensì dei servizi segreti cinesi. E che non fosse un semplice rapimento piuttosto una prova della reazione americana.
A Martin Donovan spetta, invece, il compito di spiegare tutta la parte economica della faccenda. Una cosa troppo complessa da riportare ma che raggiunge in pieno lo scopo. I due interlocutori, infatti, sono terrorizzati. E difficilmente non appoggeranno il Presidente nella nuova operazione della CIA
L’attore americano, strepitoso in Boss, ha davvero poche battute ma riesce perfettamente a dare l’idea di essere un manipolatore. Un uomo capace di convincere gli altri a portare avanti i propri interessi. Fino a che punto? Questo speriamo di scoprirlo nelle prossime puntate perché il suo è personaggio interessantissimo che ci auguriamo di vedere ancora e maggiormente coinvolto nella trama di Lioness 2.
La magia dei personaggi femminili
Gran parte di questa terza puntata è incentrata sull’arrivo di Josephine (Genesis Rodriguez) nella squadra di Joe. La nuova Lioness si ritrova a Fort Bliss, Texas, un enorme avamposto militare a pochi chilometri di distanza dal confine con il Messico. Ha perso i suoi gradi, i privilegi a essi collegati, ed è tornata a fare parte della truppa semplice. La vediamo in difficoltà perché deve condividere brande, gabinetti e docce insieme alla squadra di energumeni che Joe si porta appresso. Questa promiscuità non le piace, la fa sentire a disagio.
Un disagio che l’attrice caratterizza davvero molto bene. In certi momenti il suo imbarazzo ci attanaglia la gola, ci fa quasi soffrire. Sappiamo che è una dura, glielo abbiamo letto negli occhi nella puntata precedente. Adesso scopriamo anche altri lati del suo carattere, come le calde lacrime che versa a fine episodio. A differenza della passata Lioness Josephine non sente la necessità di dimostrare niente a nessuno. Ha bisogno dei suoi spazi, della sua intimità non risultando per niente arrogante. Chiede e se non chiede cerca e trova.
Gli altri la osservano ma non la prendono in giro, non la bullizzano. Anzi, ne hanno persino una certa compassione. Trovano che sia “una a posto“. Che faccia un sacco di domande ma che impari in fretta. Di tutto il gruppo quella che la tratta peggio, ovviamente, è Joe. Ma il personaggio di Zoe Saldaña è palesemente in crisi, anche Nicole Kidman se n’è accorta. Una crisi che diventa, puntata dopo puntata, sempre più profonda.
Taylor Sheridan ci fa prendere fiato un momento in Lioness 2
Dicevamo all’inizio che questa puntata ci è sembrata una brusca frenata rispetto alle precedenti. In realtà è perfettamente coerente. Al di là delle solite lodi su come si muovano i personaggi all’interno di questo mondo davvero verosimile, Taylor Sheridan, dopo esser partito a razzo, ha cominciato fin da subito a rallentare il ritmo. Portandoci in una situazione di turbolenta quiete. Ci aspettavamo fuochi d’artificio. Lui, invece, ci offre un dietro le quinte che ci permette di prendere, per un momento, fiato.
Il nostro desiderio di azione è tenuto a freno per tutta la puntata. Da un momento all’altro ci aspettiamo che accada l’irreparabile e invece ci ritroviamo a posticipare, forse, tutto alla prossima. Questo modo di condurre il pubblico è davvero geniale. Così ben gestito da non avere bisogno nemmeno di un colpo di scena per stimolare la voglia degli spettatori.
L’abbiamo già detto e lo ripetiamo: Lioness 2 non è serie da plot twist. Il mondo delle Lioness segue uno schema preciso, passo dopo passo. Va avanti in una direzione che al momento ci è oscura ma che ha già piantato i suoi semi nei capitoli precedenti. E che adesso iniziano a germogliare.
Quei dettagli che fanno la differenza
La cura con la quale Taylor Sheridan, che lascia la regia a Michael Friedman (Yellowstone e Landman, che aspettiamo di vedere con ansia!), annaffia questi germogli è maniacale. In questa terza puntata l’autore ci mostra come si può impugnare un’arma in un conflitto a fuoco. Ci spiega che là dove puntano le nocche arriverà il colpo. Dettagli apparentemente inutili che però ci infilano nella testa degli operatori della CIA il cui scopo è quello di riportare a casa la pelle dopo aver compiuto la propria missione. Ci fanno ragionare come loro avvicinandoci a un mondo che ai più è certamente estraneo.
Non sappiamo dirvi come si debba impugnare un’arma da fuoco e nemmeno vogliamo saperlo. Possiamo però dirvi con certezza che ci sentiamo pienamente immedesimati in quel gruppo di uomini e donne che si preparano a vendere cara la pelle per amare, onorare e difendere la loro patria. Perché vogliamo sentirci parte del gruppo e non solo semplici spettatori. E in questo Lioness 2 riesce perfettamente.