Avevo sentito parlare molto di Orange is The New Black, come tutti del resto, soprattutto in questi giorni in cui è uscita la nuova attesissima quinta stagione (leggi qui la nostra recensione della quinta stagione dello show targato Netflix). Tuttavia fino ad ora non mi aveva mai nemmeno lontanamente sfiorato l’idea di iniziarla.
Mi chiedevo cosa potesse esserci di così interessante nel guardare un gruppo di ragazze chiuse in una prigione che fanno cose. Credevo che dopo un po’ potesse diventare noioso e ripetitivo vedere le stesse facce chiuse nelle stesse quattro mura. Inoltre ero sicura che non sarei riuscita a provare empatia per dei personaggi che erano reietti della società e quindi negativi per eccellenza.
Ho sempre pensato che Orange is The New Black fosse una Serie Tv con un nome figo che parlava di un gruppo di detenute lesbiche. E invece mi sbagliavo: è molto di più.
Oggi vi racconterò la mia esperienza, quando ha guardato per caso l’ultimo episodio della quarta stagione di Orange is The New Black, quello che ha sconvolto più di tutti i telespettatori. Il titolo dell’episodio è Toast Can’t Never Be Bread Again, un titolo decisamente strano a prima vista.
Se non avete guardato l’ultimo episodio della quarta stagione, non continuate a leggere: contiene spoiler!
Cominciamo dalla sigla che è veramente una bomba: la canzone utilizzata è davvero bella (leggi qui le 14 sigle delle Serie Tv che non dimenticheremo mai), ma devo ammettere che non era la prima volta che la ascoltavo, perché una mia amica me l’aveva già fatta sentire. Però associata agli occhi di tante donne che riescono a trasmettere tanto anche solo fissandoti per un secondo, You’ve got the time di Regina Spektor risulta ancora più potente. Non sono riuscita a capire se tra questi occhi ci siano anche quelli delle protagoniste, ma presumo di sì.
All’inizio dell’episodio ho visto l’intero carcere sconvolto dalla morte di una detenuta. Tutte le donne erano profondamente provate e ognuna affrontava il lutto a modo suo: alcune gridavano e volevano ribellarsi, altre piangevano, due donne cantavano abbracciate l’una all’altra, un’altra cercava di fare di tutto per smettere di respirare e provare quello che aveva provato la vittima.
Un quadro desolante e molto triste, molto difficile da inquadrare e capire per me che non avevo visto l’episodio precedente. Tuttavia, pur non sapendo che cosa fosse successo, quelle scene mi trasmisero una tristezza infinita.
Grazie ai dialoghi tra Caputo – che credo sia il direttore del carcere – e i soldati che dovevano vegliare nella prigione, ho appreso ciò che era accaduto: in seguito ad una rivolta pacifica delle detenute una di loro aveva perso la vita, soffocata da uno degli agenti. Il suo cadavere che giaceva sul pavimento della mensa non faceva altro che ricordare a Caputo che aveva un problema enorme da affrontare.
L’uomo cerca di capire come siano andati i fatti, ma non è facile dato che gli agenti di polizia vogliono coprire il loro collega, anche a costo di mentire. Tuttavia, il colpevole non vuole assolutamente difendersi e anzi sembra davvero pentito, tanto da chiedere ad una detenuta di riferire alle altre che lui non voleva uccidere la povera ragazza. E mentre tutti i colleghi gli dicono di mettersi il cuore in pace e smettere di sentirsi in colpa, lui non sembra riuscirci.
Caputo invece appare un inetto incapace di prendere una posizione e che si lascia trascinare dagli eventi. Non si decide a chiamare il padre della ragazza per avvisarlo della catastrofe, e inoltre non sa cosa fare e a chi dare retta. Gli avvocati poi non fanno altro che cercare un capro espiatorio a cui addossare la colpa.
Prima cercano di dipingere la ragazza come una detenuta pericolosa, ma quando si accorgono che è impossibile seguire questa strada, allora preferiscono incolpare l’agente di polizia e farlo apparire un uomo folle e fuori controllo. A loro non importa se distruggono una vita o se infangano la reputazione di una ragazza morta ingiustamente: l’importante è curare i propri interessi.
Mentre ciascuna detenuta elabora il lutto a modo suo, ho visto le immagini di una folle notte della giovane Poussey, che ho capito essere la giovane donna morta.
All’inizio credevo fosse un sogno, e ho capito solo dopo che era un flashback della sua vita precedente al carcere. Tra strani locali, drag queen e monaci buddisti, quello che si vede è una ragazza dolce, simpatica, piena di sogni e speranze per il futuro, tutte distrutte da un incidente.
Nel frattempo nel carcere Caputo si decide a fare un comunicato ufficiale e invece di accusare l’agente di polizia che, volente o nolente, ha ucciso una giovane disarmata, lo difende dichiarandolo vittima del sistema. È vero, sembrava molto pentito, e anche se Caputo lo avesse dichiarato colpevole gli avrebbe rovinato la vita, però definirlo una vittima è davvero assurdo. Così non fa altro che profanare quel cadavere che hanno lasciato sul pavimento a marcire. Quando una detenuta sente la dichiarazione di Caputo, non ce la fa più e dà inizio a una rivolta.
In men che non si dica tutto il carcere si ribella per riabilitare il nome della loro amica e attaccare gli agenti che le vedono solo come carne da macello. Un agente prende una pistola per minacciare le detenute, ma gli cade a terra. È una donna ad afferrarla e a puntargliela contro.
Si chiude così, con un cliffhanger strepitoso, questo episodio di Orange is The New Black.
Come avrete già capito, mi sono ricreduta completamente e ho apprezzato molto questo episodio!
È notevole come questi personaggi mi abbiano fatto provare tanti sentimenti, anche se li guardavo per la prima volta. L’ultima scena dell’episodio mi ha letteralmente distrutto il cuore, pur non avendo potuto apprezzare precedentemente il personaggio di Poussey. Vi confesso che quell’immagine mi ha lasciato un senso di tristezza incredibile e ci ho pensato per tutto il giorno. Immagino che per i telespettatori affezionati a lei deve essere stato un colpo veramente duro!
Ho apprezzato che la Serie Tv descriva il mondo del carcere in modo realistico e schietto: le lotte tra le detenute, le loro trasgressioni, le loro follie e i soprusi che devono subire da parte degli agenti che restano impuniti.
Allo stesso tempo ci sono anche detenute che sono riuscite a legare con gli agenti e che hanno addirittura trovato un lavoro nel carcere. La Serie Tv contiene meno cliché di quanto mi aspettassi! È sorprendente vedere come si passi rapidamente da scene drammatiche ad altre molto più esilaranti: un elemento perfetto per una dramedy.
Non ho apprezzato molto la coralità della Serie Tv che si sofferma su un numero davvero eccessivo di personaggi e che impedisce quindi di affezionarsi a qualcuno in particolare. Probabilmente però questo sarà un problema esclusivamente mio: avendo guardato un solo episodio e non avendo avuto la possibilità di conoscerli tutti, mi appariva confusionaria l’entrata in scena di tante persone. C’è da dire però che tutti erano caratterizzati benissimo e che anche se apparivano per un solo secondo in scena riuscivano a far sfoggio della loro peculiarità che li distingueva dagli altri.
Ora che ho guardato un episodio di Orange is The New Black sarete curiosi di sapere se mi è piaciuto al punto da voler recuperare tutte e cinque le stagioni. Beh, la risposta è assolutamente sì!
Trovo che sia una Serie Tv valida che merita tutto il successo che sta avendo e la comincerò appena mi sarò messa in pari con quelle che sto già guardando: devo assolutamente sapere se la detenuta ha sparato all’agente oppure no.