Tutti odiano Piper Chapman. O meglio, non proprio tutti. Nel carcere femminile di Litchfield dove passerà i quindici mesi delle sette stagioni di Orange Is The New Black qualcuno sembra volerle anche bene, ma non c’è modo per farla durare.
All’inizio della prima stagione Piper Chapman (interpretata dalla pluripremiata Taylor Schilling) è un personaggio positivo, vittima di una sentenza “ingiusta” che l’ha condannata a scontare oltre un anno in un carcere federale in quanto complice più o meno consapevole di Alex Vause (Laura Prepon), sua amante dell’epoca. Il fatto era avvenuto almeno 10 anni prima della condanna federale e solo 2 anni separavano Piper dall’impunibilità grazie alla prescrizione del reato. Una vita che Piper aveva saputo lasciarsi alle spalle tanto da cambiarla del tutto e tornare a fare la brava ragazza decidendo di convolare a nozze con Larry Bloom (Jason Biggs orfano della torta di mele). Al suo arrivo in carcere già questo basterebbe allo spettatore per empatizzare con la sfortunata protagonista (?) di Orange Is The New Black, ma poi ci si mettono anche le inevitabili dinamiche carcerarie (soprattutto razziali) a trasformarla nella vittima più vittima di tutte. E se qualcuno le ha voluto male nei primi episodi della serie o è un bugiardo o un maledetto sadico.
Nonnismo, bullismo, violenza e tanta rabbia verso chi da fuori conduce felicemente la propria vita (Larry lascerà Piper per la sua migliore amica), piuttosto che salvarla da un sistema che ha costretto una bionda bianca e di buona famiglia tra nere, ispaniche e russe spietate, in realtà ci mettono poco a trasformare Piper in un personaggio il cui egoismo cresce con l’avanzare della serie. Il problema è che la cattiveria e l’egocentrismo di Piper vengono fuori proprio quando gli sceneggiatori (tra i quali figura la stessa Piper Kerman, autrice del libro autobiografico su cui si basa la serie) decidono di farci affezionare alle altre detenute.
La stessa cuoca Galina “Red” Reznikov (Kate Mulgrew), autrice del primo vero atto di pesante nonnismo in Orange Is The New Black – un assorbente interno insanguinato servito a mensa – pur scoprendosi come uno dei personaggi migliori dell’intera serie, difficilmente riuscirà a risolvere i conflitti con Piper, la cui redenzione effettiva sembra sempre più lontana con l’avanzare delle stagioni.
La detenuta di Orange Is The New Black che tutte schernivano e che ancora pendeva dalle labbra della sua ex compagna Alex – anche lei rinchiusa a Litchfield – diventa da vittima di violenze a carnefice delle altre detenute, Alex compresa. Picchia a sangue l’integralista cristiana Tiffany Dogget (Taryn Manning), dà il via a un business di mutandine usate con l’aiuto di Stella Carlin (Ruby Rose) con la quale tradirà Alex e che scaricherà tradendola a sua volta nel momento in cui la vendita delle mutandine verrà scoperta dalla struttura carceraria. Il tutto avviene mentre i piani umani delle detenute vengono portati sullo schermo attraverso dei brevi flashback che vanno a scrutare dettagliatamente le motivazioni (alcune anche ingiuste) che hanno portato in carcere ogni personaggio, positivizzandolo quel tanto che basta per restituirci Piper Chapman per ciò che è: odio ed egoismo allo stato puro.
Il momento più basso della Piper peggiore è probabilmente uno degli episodi chiave della quarta stagione: si unisce alla gang delle naziste bianche e arriva a capeggiarla contro le ispaniche, incastrando Maria Ruiz (Jessica Pimentel) che verrà punita con un allungamento di pena proprio in prossimità del rilascio. Il taglione delle ispaniche sarà esemplare per Chapman che verrà marchiata a fuoco con una svastica, primo segno tangibile di un’involuzione della quale, fino a quel momento, solo Piper era inconsapevole.
Pur ammettendo una parziale redenzione di Piper nel corso delle ultime stagioni di Orange Is The New Black, lo spettatore difficilmente riesce a perdonarla e guardarla ancora con la stessa compassione in quanto vittima delle altre. Ormai il dado di Chapman è tratto e l’unica vittima di Piper è probabilmente Piper stessa.
Ma non è più la stessa cosa. Ormai i cuori di tutti noi sono per Tasha “Taystee” Jefferson (una superba Danielle Brooks), Poussey Washington (Samira Wiley), Suzanne “occhi pazzi” Warren (Uzo Aduba) e tutte le altre ragazze di Orange Is The New Black, nessuna esclusa. Nessuna tranne Piper Chapman, il cui unico merito è stato quello di farci entrare nel carcere federale attraverso i suoi occhi terrorizzati sì, ma per troppo poco.
La deriva di Chapman protagonista diventa inevitabile nelle ultime stagioni che lasceranno sempre più spazio alle altre detenute fino all’uscita definitiva di Piper dal carcere (e parzialmente dalla scena). Il tutto accade silenziosamente, tant’è che lo spettatore non ha tempo per soffermarcisi. La protagonista diventa un’immagine fuori campo che rientra solo per trovare una sintesi e dare un finale alla storia d’amore con Alex. Senza il completo arancione, Piper riesce addirittura a peggiorare la sua condizione passando da violenta ed egoista a insipida e incolore. E malgrado gli sceneggiatori abbiano chiaramente provato a far passare gli aspetti positivi della nuova Chapman, allo spettatore arriva poco o nulla. E quello che arriva, fondamentalmente non ci interessa. Al termine delle sette stagioni tutto ciò che avviene fuori dal carcere è una realtà che non ci appartiene più. Il nostro cuore resta rinchiuso nel carcere di Litchfield, il vero protagonista di una delle serie televisive migliori di sempre.