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Tutto il mondo sulle spalle di Taystee

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Di Angela Russo

Il racconto delle detenute di Litchfield è un lungo viaggio sull’affollato tram di una città multietnica e socialmente stratificata, fatto di continue salite e discese. Non c’è da stupirsi, quindi, se nella promozione della settima ed ultima stagione di Orange Is the New Black – la serie Netflix ispirata alle memorie da detenuta di Piper Kerman [ Orange Is the New Black : My year in a Women’s Prison] un commosso cast realizzava di essere arrivato davvero al capolinea, come descrive il titolo dell’ultimo episodio [7×13 – Here’s Where We Get Off].


E noi, pubblico, scendiamo con loro.


Di tutte le ragioni per amare Orange Is the New Black non possiamo non annoverare Taystee, aka Tasha Jefferson. La giovane donna che prende vita dalla carica performance di Danielle Brooks muove da un personaggio realmente esistito descritto dalla Kerman: si tratta di “Delicious”, una donna afroamericana dotata di una grande energia e che canta sempre. Inevitabile pensare al gioco di parole del nome “Taystee” con l’inglese tasty, gustoso: di sapore la ragazza ne ha da vendere – come vedremo – per il ricchissimo arco di trasformazione del suo personaggio.


Impariamo a conoscere meglio Taystee a partire dalla seconda stagione [2×02 – Looks blue, tastes
red]. T. ci si presenta come una giunonica figura positiva, scherzosa, eccentrica, leggera e
soprattutto estremamente intelligente
: grazie alla sua marcia in più, si fa largo un traguardo dopo
l’altro, dapprima vincendo la fiera del lavoro, poi come responsabile della biblioteca del carcere,
poi ancora come assistente del vice-direttore Caputo (Nick Sandow), nonché – più avanti nella
settima stagione – della virettrice ed ex-guardia Tamika Ward (Susan Heyward), la quale le
proporrà anche il ruolo di tutor.


È pura, ama i documentari sulla natura e non esprime mai una tensione sessuale verso qualcuno/a, al contrario dell’intreccio di relazioni amorose di cui pullulano le storie parallele di Litchfield:
quasi come se non le interessasse, come se avesse cose ben più importanti a cui pensare. Viola la
libertà vigilata perché in fin dei conti sta meglio dentro che fuori – con grande disappunto della sua
grande amica Poussey Washington (Samira Wiley) – perché si sente abbandonata dal mondo esterno alla prigione. Almeno lì dentro sente di avere uno scopo.


Figlia di genitori troppo giovani per prendersi cura di lei, passa da una casa famiglia all’altra senza che, alla soglia dei 18 anni, nessuno la abbia ancora adottata. Quando riceve una lettera da Mia (Tiffany Mann), la madre biologica che vuole incontrarla e portarla a vivere con la sua famiglia, riceve un assaggio dell’amore che ha sempre agognato e mai ottenuto, ma fa in fretta a disilludersi, poiché Mia non ha parlato di lei alla sua attuale famiglia e si rende conto di non essere pronta ad accoglierla.


Vee, magistralmente interpretata da Lorraine Toussaint – la spacciatrice che l’aveva accolta nella sua famiglia con l’intento di sfruttarla per il suo mercato di spaccio – ricompare nella sua vita. Vee accresce il suo potere il prigione radicandosi come una pianta infestante; ciononostante, la sua morte improvvisa è fonte per Taystee di disperazione, a dispetto del male che le ha fatto, in quanto fa da cassa di risonanza delle sue perdite passate (il doppio abbandono da parte della madre biologica e la stessa manipolazione subita da Vee) e forse un inquietante presagio di quelle che devono ancora venire (il lutto per la morte di Poussey).
Taystee è brava ad affrontare le sue ferite con il meccanismo della risata o della negazione. Scherza per nascondere il dolore ed è questo che ce la rende più vicina ed umana.

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Dalla quinta stagione di Orange Is the New Black in poi, Taystee matura velocemente da Babysitter per caso a Paladina consapevole. Passa da ragazza investita dal ruolo catalizzatore e non richiesto di madre/sorella maggiore/fata turchina, cui ci si affida sempre per chiedere di “fare qualcosa”. Lo vediamo in particolar modo quando prova a far capire a Poussey il suo problema con l’alcol, o quando gestisce gli eccessi della malattia mentale di Suzanne (Uzo Aduba) – a monumento granitico e instancabile di perseveranza e giustizia. Le sue emozioni pure cambiano con lei e la vediamo depressa, arrabbiata, combattiva, come mai la avevamo vista prima.
L’omicidio di Poussey da parte della giovanissima guardia Bayley (Alan Aisenberg) è il punto di non ritorno che sancisce l’ingresso in un atto totalmente nuovo della storia di Taystee, come ribadisce il titolo della puntata [4×13 – Toast can’t never be bread again].


Il momento incendiario è il comunicato stampa in cui apprende che il licenziamento di Bailey non è contemplato. Da lì, Taystee innesca la sequela di azioni forti che la renderanno la vera protagonista delle ultime stagioni: incita una rivolta carceraria, grida ad un’armata Daya (Dascha Polanco) di sparare su una guardia, prende a pugni Caputo e lo sequestrano insieme a Josh delle pubbliche relazioni, non si cura di una Suzanne sempre più instabile e bisognosa di cure per concentrarsi sulle richieste della negoziazione. Taystee sospende per un momento l’intelligenza che la contraddistingue, ma da leader naturale e implacabile quale è, riesce a recuperare la sua lucidità: tratta con le suprematiste bianche per ottenere Judy King (Blair Brown), che le serve per lanciare il messaggio alla stampa, ma che finisce per leggere lei stessa – come aveva fatto col nuovo comunicato di Caputo – perché “Poussey Washington” è la sua bandiera, la bandiera di tutte le detenute, e non lascia che sia qualcun altro a parlare per lei; tiene testa persino ad un’agguerrita Figueroa (Alysia Reiner), mandata a negoziare.
C’è un solo punto su cui T. è ferma: vuole l’incarcerazione di Bayley e pertanto non si accontenterà di Flaming Hot Cheetos e tamponi; anche nel commovente sfogo davanti alle telecamere fuori dalla prigione, non accusa Judy King come persona (in ragione del trattamento speciale da questa ricevuto come ricca e bianca star della televisione), ma come stigma di una società iniqua e malata.

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Taystee regge il peso dei disequilibri di Litchfield fino a divenire volto e cuore pulsante della rivolta e riesce a prosperare anche quando perde. Il tradimento di Maria Ruiz (Jessica Pimentel) – infatti – che fa fuggire gli ostaggi, è l’inizio della parabola discendente di T. poiché perde quello che aveva conquistato durante la sommossa.
Il sistema era troppo forte perché le detenute potessero vincere, ma Taystee riesce comunque a ottenere una vittoria individuale ed emotiva: T. vince perché non cede alla facile vendetta e non spara al perfido capo delle guardie Piscatella (Brad William Henke), responsabile dell’atmosfera violenta e irrespirabile che si era andata creando in prigione. Quella è la sua giustizia, perché non meritava che un gesto così estremo cambiasse il suo carattere. Taystee ce la fa solo se non si arrende, se rimane fedele a sé stessa. Anche nella sconfitta, scopre di non essere sola.


La situazione degenera quando entriamo nel vivo della vicenda giudiziaria di Taystee, con la quale si apre la sesta stagione: nella confusione generale dell’irruzione dei reparti speciali durante la rivolta, Piscatella è stato ucciso per sbaglio da un’altra guardia. Ne sono testimoni Suzanne e Cindy (Adrienne C. Moore), storica amica di T.
Come scivolando dentro ad un asfittico imbuto, questa stagione ci dimostra ancora una volta quanto tutto il mondo sia davvero sulle spalle di Taystee. Gli eventi si susseguono velocemente: T. viene tradita da Cindy in cambio della sua immunità; con un simile egoistico obiettivo, T. è accusata della rivolta da Freida (Dale Soules); il Governatore, inoltre, la sta utilizzando come capro espiatorio degli eventi della rivolta.

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Taystee, rimasta sola, chiede aiuto a Caputo, che secondo lei però non ci prova abbastanza. In tribunale, si dichiara colpevole per la rivolta, non colpevole per l’omicidio. Intanto, T. riceve posta da ammiratori che sostengono la sua lotta e da un ente no profit per ingiustizie sociali; i suoi alleati sono il movimento Black Lives Matter e una squadra legale che sta venendo messa su dall’Ong American Civi Liberties Union. Il nuovo avvocato le propone un’intervista, che sembra andare bene, ma in cui T. non riesce a trattenersi dal parlare male delle guardie presenti. Caputo accetta di fare da testimone. Riconosciamo la determinazione della nostra Taystee quando la vediamo studiare libri di legge con l’intento di difendersi meglio [6×9 – Break the string]. Cindy, sotto il martello del senso di colpa, sembra stare per dirle la verità, ma finisce per mantenere il segreto, raccontandole di sua figlia. Quando Cindy va a processo per testimoniare contro l’amica, getta il seme di un’annunciata vendetta, che verrà messa a punto da Taystee nella stagione successiva, in cui T. sperimenterà la leggerezza di ferire e l’assenza del perdono. Nella settima stagione, infatti, T. scrive una lettera alla figlia di Cindy, rivelandole la vera identità di quella che pensava essere sua sorella, spaccando di fatto una famiglia. La sesta stagione si conclude con la condanna di Taystee per omicidio di secondo grado di fronte ad una corte oltraggiata. Non è sola, ma ancora non basta [6×13 – Be Free]

Siamo alla settima ed ultima stagione di Orange Is the New Black. Nonostante Taystee sia finita nella massima sicurezza in compagnia di altre detenute della precedente prigione, le storie delle altre – e nuovi personaggi come quello di Badison – sembrano scomparire di fronte al dramma umano della ragazza, ingiustamente ritenuta colpevole di un omicidio che non ha commesso. Mentre Suzanne fa da contraltare di dolcezza e speranza per un lieto fine ad una sempre più oscura Taystee – “Occhi pazzi” organizza un incontro tra T. e Cindy affinché facciano pace, ma T. reagisce male quasi prendendola a pugni – in un mondo di bassezza come quello della nuova prigione, c’è un nuovo alleato su cui poter contare: si chiama Tamika Ward, che da guardia è stata fatta direttrice. Taystee diventa assistente di Tamika ma purtroppo, ormai lontana da ogni desiderio di gratificazione personale come quando lavorava per Caputo, lo fa solo con un secondo fine: ottenere le informazioni che servono a Dayanara – che ormai è a capo del giro di droga tra le detenute – in cambio del farmaco che le serve per suicidarsi.
In una scena molto forte la vediamo tentare di impiccarsi, senza – per fortuna – riuscirci [7×4 – How to Do Life]. Il fortunato fallimento di questo gesto si accompagna ad un’inversione di rotta nella capacità di Taystee di continuare a vivere la sua vita nell’attesa di ritentarci: viste le sue competenze, Tamika la nomina tutor GED (General Educational Development) col fine di aiutare alcune compagne a conseguire la licenza di scuola superiore; tra le sue alunne c’è Pennsatucky (Taryn Manning), il cui caso – complicato dalla dislessia di lei – comincerà a starle sempre più a
cuore, rispolverando quel sentimento naturale di dedizione che T. aveva sempre messo verso le altre.

In un flashback in cui è al telefono con Poussey [7×12 – The Big House], Taystee è stanca. Vorrebbe tornare dalla sua amica, ma P. tira fuori nuovamente il discorso sulla morte della madre e sul dolore che ha provato, la stanchezza che avvertiva. Cerca di confortare T. dicendole di credere nelle altre abbacinanti sensazioni in attesa di essere vissute per tutte le belle cose che si aspettava, prima tra tutte la sua grande amica Taystee:


“Devi resistere ancora un po’ e so che ce la farai, perché ci sono belle cose in arrivo per te, che nemmeno immagini”


Mentre sullo sfondo scorrono le immagini dello sgombero del posto che Taystee aveva cominciato a chiamare casa, lei si arrende all’idea di continuare a spacciare per sopravvivere, cosa che la condurrà di nuovo in prigione.
Purtroppo, quando è lei stessa a scoprire il cadavere della povera Doggett – in overdose perché profondamente mortificata dalla convinzione di aver fallito il test GED – Taystee torna indietro nel tempo alla disperazione provata per la morte di Poussey, avvenuta davanti ai suoi occhi, e qualcosa dentro di lei comincia a soffiare verso una direzione di non ritorno. Ciononostante, riesce a parlare a Tamika della stanchezza che aveva comunicato a Poussey nel flashback, sottintendendo la sua tendenza suicida. Prima di provarci un’ultima volta, Taystee ha un momento emotivo molto forte di riunione con Suzanne, nella scena nel pollaio in cui parlano entrambe delle loro perdite. Il suo ultimo regalo prima di lasciare che la sua stanchezza la avvolga per sempre, è constatare una Suzanne cresciuta e consapevole che la vita è anche fatta di dolore, ma che si può andare avanti. Lei almeno c’è riuscita.


Siamo così al capolinea [7×13 – Here’s Where We Get Off]: Taystee sta per uccidersi ma trova un biglietto di Tamika con cui le comunica che tutti i suoi studenti hanno superato il test, Doggett compresa. T. rende la droga a Daya per farsi restituire le chiavi che aveva sottratto dall’ufficio di Tamika; è positiva come non la vedevamo da tempo e scherza come la abbiamo conosciuta nelle primissime stagioni.
“Sto provando una cosa nuova, mi sto concentrando su qui e ora perché la vita continua a lanciarmi palle a effetto. Credo che continuerò a battere ancora un po’, vediamo se colpisco.”


Tamika viene licenziata, e di conseguenza lo è Taystee, che ha però un ultimo desiderio: contattare Judy King per coinvolgerla nel progetto di microcredito “Poussey Washington Fund” per dare una concreta speranza di ricominciare a vivere alle ex detenute una volta fuori dal carcere. L’ultima scena della serie in cui la vediamo coinvolta è nella veste che più le si addice – quella di tutor – stavolta per istruire le detenute prossime al rilascio a sfruttare al massimo la grande occasione che verrà loro offerta una volta fuori.

“Taystee, è tutto merito tuo. Domani andrà meglio”

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