Se non siete ancora entrati nell’universo di Orphan Black c’é solo una cosa che posso dirvi: male, molto molto male.
Questa serie canadese ricca di colpi di scena mi ha conquistata fin dal primo episodio (e io non sono un palato facile) non solo grazie agli evidenti rimandi ad una science-fiction colta e mai scontata, ma soprattutto grazie alla sapiente mescolanza di elementi di azione, di “drama” nel senso più americano del termine e di conflitto interiore che sgorga copioso ad ogni episodio. E quanto ci piace quando i protagonisti di una serie iniziano un viaggio sofferto e avventuroso alla scoperta di loro stessi? Non ci sentiamo noi in primis parte di quel dramma? Non vorremmo lasciarci tutto alle spalle e ripartire da zero come, sempre in modo tormentato e il più delle volte non riuscendoci, fanno i nostri eroi?
Sebbene io, animale raro, sia una vorace e recidiva lettrice di spoiler, so che la maggior parte di voi non lo é, quindi mi cimenterò in una apologia di questa appassionante serie evitando di rovinarvi succosi colpi di scena.
Di cosa stiamo parlando esattamente? Scienza, cospirazioni, multinazionali spietate, orfani (nomen omen), morti misteriose, limiti deontologici, amicizia, destino ma sopra ogni altra cosa: identità. Cosa ci rende noi stessi? Il nostro patrimonio genetico? La casa in cui cresciamo? Le persone che frequentiamo? Siamo davvero gli artefici del nostro percorso di esistenza? La vita di Sara Manning, la protagonista, una Tatiana Maslany che ad ogni scena e svolta attoriale mi fa desiderare di essere gay o perlomeno bisessuale, non é andata sempre per il verso giusto. Un giorno uguale a mille altri incontra una donna identica a lei in ogni particolare, non somigliante, nemmeno spaventosamente uguale, quella donna è lei, e sta per uccidersi buttandosi sotto il treno della metropolitana. Già questo basterebbe a far venire l’acquolina in bocca a molti spettatori. La storia pero’ continua e nel dipanarsi dell’intreccio incontriamo altre “versioni” di Sara: una madre di famiglia, una scienziata geniale, una sociopatica con talento da serial killer. Come sarebbe stato se avessimo fatto l’università, se ci fossimo sposati, se fossimo cresciuti in un convento di suore ucraine? Saremmo sempre noi?
Ovviamente ci sono degli antagonisti, anche se non sappiamo sempre con certezza di chi ci possiamo fidare mentre indaghiamo nel passato e nel nuovo presente di Sara. La signora S. ad esempio è uno di quei personaggi tanto ambigui quanto ammalianti: più tutrice che madre adottiva di Sara, cresce lei e il fratello-amico Felix ma mantiene sempre un gelido distacco, ha in custodia Kira, la figlia di Sara e alterna momenti di tenerezza ad altri di estrema glacialità. Paul è il fidanzato di Beth Childs, la prima “versione” di Sara che incontriamo in metropolitana e a cui lei decide di rubare l’identità (la signora S. non ha fatto un gran lavoro in termini educativi), chi è davvero? Sembra più una guardia del corpo che un fidanzato e sembra decisamente preferire la nuova Beth a quella finita sotto il treno.
Abbiamo inoltre un nutrito gruppo di scienziati di dubbia moralità, fanatici della manipolazione genetica che organizzano rave party e membri di comunità religiose dedite alla fecondazione in vitro.
Se ora non siete nemmeno un po’ curiosi, non so davvero come aiutarvi.
Ma tornando ad una riflessione un poco più profonda, tutto quello che c’è da sapere su Orphan Black è che non finirete mai un episodio senza farvi nuove domande. Domande sulla trama, sui personaggi, sul perché le cose sono andate proprio in quel modo, sul perché voi siete voi. La fiction e la realtà andranno a mescolarsi con facilità e vi ritroverete a chiedervi: “come sarebbe stata la mia vita se…”?
I protagonisti della serie assumono la forma di maschere pirandelliane, sono spaventati, combattuti, cercano di affermare con forza la propria personalità e il legittimo diritto ad esistere ma tutto si fa confuso e non sappiamo più chi amare o detestare. E` una stupenda parabola della nostra società, del desiderio di uniformarsi per essere accettati e allo stesso tempo della disperata lotta per essere unici e irripetibili. La realtà ci appare frammentata e Sara, insieme alle sue “sorelle” cerca di ricomporla, ci sono tessere di un mosaico pressoché infinito, indizi e allusioni, e mettere insieme i pezzi é l’unico modo per trovare delle risposte. Il doppio binario su cui si muove questa serie unisce la fantascienza e l’analisi psicologica senza impoverire nessuna delle due discipline, ci regala azione ed emozione e non sfocia mai nel ridicolo e nella banalità. La quasi totalità di quello che succede nelle tre stagioni finora prodotte é incredibile, ma adagiati sul divano del salotto mentre scorrono i titoli di coda non possiamo non pensare che sia anche possibile. Il punto di forza di Orphan Black credo sia proprio questo: la sua potentissima credibilità.Un grande ringraziamento ai fan di Orphan Black Italia