Vai al contenuto
Home » Our Flag Means Death

Our Flag Means Death: i pirati come non li avete mai visti

Una scena tratta da Our Flag Means Death
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Poche figure storiche continuano a esercitare un fascino così forte e inesauribile a distanza di secoli come quella del pirata dell’età dell’oro, tipicamente rappresentato nell’immaginario collettivo come un uomo ribelle, libero, destinato a vivere la sua intera esistenza ignorando le leggi e alla ricerca di un qualche tesoro nascosto che aspetta solo di essere trovato. È a questo ideal-tipo di pirata che si rifanno alcune delle narrazioni più note sull’argomento nella cultura occidentale, da L’isola del tesoro di Stevenson al Sandokan di Salgari, passando per la saga di Pirati dei Caraibi e arrivando fino a Black Sails, straordinaria opera seriale di cui speriamo il mondo colga presto l’importanza storica. Questa narrazione della pirateria, che lega inevitabilmente libertà e crimine, eroismo e violenza, emana un fascino senza tempo che non sembra destinato a esaurirsi, eppure a volte uscire da questo ideal-tipo dominante può portare a esperimenti inaspettatamente geniali. È questo il caso di Our Flag Means Death, brillante comedy creata da David Jenkins per HBO Max e ancora inedita in Italia, che racconta e reinterpreta le avventure di Stede Bonnet, figura realmente esistita e passata alla storia come il Pirata Gentiluomo.

Our Flag Means Death, targata HBO Max, è una produzione tra le più innovative presenti al momento in televisione, una scommessa azzardata che tuttavia si sta rivelando vincente, perché capace di rivoluzionare un tema senza però snaturarlo.

Stede Bonnet, Oluwande (640×360)

Our Flag Means Death fa dei pirati quello che What We Do in the Shadows fa dei vampiri: li rende umani, facendoli somigliare a noi. Non è un caso se dietro a entrambe le comedy, che la critica statunitense considera due tra le produzioni contemporanee più riuscite del genere, ci sia la mente di Taika Waititi, già tra i creatori dell’universo narrativo dedicato ai vampiri più esilaranti della storia e ora figura centrale nella produzione sulla pirateria di HBO Max, nella quale è sia attore (interpreta una versione decisamente atipica del temibile Edward Teach, meglio noto come Barbanera), che regista, autore e produttore esecutivo.

A fare da protagonista, al fianco del già citato Taika Waititi, troviamo Rhys Darby nei panni del pirata gentiluomo Stede Bonnet. Non è la prima volta che i due collaborano e anzi, Darby era già stato tra i protagonisti del film Vita da vampiro – What We do in the Shadow, da cui è tratta l’omonima serie, ed era parte del cast principale alla brillantissima comedy neozelandese Flight of the Conchords, di cui Waititi è stato autore. Nei panni di Stede Bonnet e Barbanera, due delle figure più note nella storia della pirateria, Rhys e Waititi ci regalano una versione quasi rivoluzionaria delle vicende vissute dai due, che rappresenta una novità non soltanto perché lontana da quella tipica che li vuole spietati predoni dei mari, ma soprattutto perché si permette di lasciarsi andare a una narrazione a tinte ucroniche divertentissima.

Our Flag Means Death
Rhys Darby, Taika Waititi (640×360)

Infatti, sebbene Our Flag Means Death non rientri a pieno titolo nel genere dell’ucronia, del quale fanno parte per esempio Bridgerton e The Man in the High Castle, è evidente fin dal primo episodio che la visione dell’età d’oro della pirateria riproposta dalla serie HBO è decisamente poco fedele alla realtà storica, perché vi ci si approccia con una sensibilità tipicamente moderna. A differenza di altre produzioni, che hanno provato a reinterpretare il passato in chiave moderna con risultati alterni, Our Flag Means Death riesce a trovare nel contrasto tra situazioni storiche e interpretazione contemporanea un motore di comicità inesauribile, una contrapposizione inaspettata che regala alla serie una prospettiva fresca su un tema come quello della pirateria, che è stato ormai esplorato in ogni modo.

E così ecco che i membri dell’equipaggio guidato da Stede Bonnet, pur avendo votato la loro esistenza al crimine, sono in realtà alcune delle figure meno spaventose e aggressive della storia, mentre il temibile Barbanera, dopo una vita trascorsa a terrorizzare il prossimo, si stanca della violenza e decide di diventare semplicemente Ed, ritrovando se stesso. Lo stesso Stede, che dovrebbe essere il capitano, preferisce leggere storie alla sua ciurma piuttosto che attaccare navi della marina britannica, sebbene questo non serva a molto quando si tratta poi di ritrovarsi davanti alla legge. Tra ricerche di tesori deludenti, duelli che si esauriscono in pochi minuti, resurrezioni inaspettate e, soprattutto, storie d’amore tanto imbarazzanti quanto dolci, Our Flag Means Death è quasi una comedy moderna che non si sa come è finita per essere ambientata su una nave pirata e, molto più per abilità che per fortuna, riesce a combinare il meglio dei due mondi.

Stede Bonnet, Lucius (640×360)

Nonostante non si possa negare quanto la comedy HBO Max rappresenti un elemento di rottura con le narrazioni della pirateria a lei precedenti, vi sono tuttavia alcuni elementi di continuità che non sminuiscono affatto la sua anima innovativa, ma anzi la amplificano.

Per esempio, sebbene appartenga a un genere completamente diverso, Our Flag Means Death presenta più di un’analogia con la brutale, poetica e decisamente più realistica Black Sails.

In entrambe le serie troviamo infatti una commistione di realtà e finzione, che vede pirati davvero esistiti come Stede Bonnet e Edward “Barbanera” Teach (quest’ultimo presente in entrambe le produzioni, interpretato rispettivamente da Taika Waititi e Ray Stevenson) alle prese con personaggi di fantasia e situazioni più o meno reali. Tuttavia, pur partendo da questa premessa narrativa simile, il modo in cui viene poi riportata sullo schermo è diametralmente opposto: in Our Flag Means Death ci troviamo di fronte a una serie dai contorni ucronici, in cui il passato viene riproposto in una chiave volontariamente comica e moderna, mentre in Black Sails vi è una tale fedeltà alla realtà storica che persino i personaggi di fantasia sembrano essere stati basati su figure reali. Nonstante ciò, sia la comedy HBO Max che il dramma storico targato Starz sono stati in grado di scavare al di sotto della superficie di una figura così iconica e immobile nei secoli come quella del pirata, facendo della profondità psicologica dei loro protagonisti il fulcro della narrazione.

Our Flag Means Death
Rhys Darby, Taika Waititi (640×360)

Our Flag Means Death fa ridere perché ci ricorda che dietro i miti ci sono sempre delle persone e che quelle persone spesso non hanno nulla a che vedere con quello che la storia sembra averli fatti diventare. Se dietro i terrificanti vampiri di What We Do in the Shadows ci sono personaggi che da soli non sanno neanche come funziona qualcosa di così banale come il pagamento con i contanti, nel caso dei pirati di David Jenkins e Taika Waititi a nascondersi dietro il mito troviamo uomini che sbagliano, amano, si scontrano e alla fine del giorno si riuniscono tutti sul ponte di comando per leggere il capitolo successivo di un romanzo d’avventura.

Il contrasto tra mito e commedia, tra pirati e uomini, tra aspettative e realizzazione è il cuore di una commedia che ribalta ogni prospettiva e stereotipo con una delicatezza e una sensibilità inaspettate, portando sullo schermo qualcosa che è sia originale che al tempo stesso familiare. Stede, Ed e gli altri membri del loro equipaggio sono villain atipici ed eroi ancora più incredibili, personaggi che entrano nel cuore dello spettatore senza che nemmeno ce ne si accorga, capaci di coinvolgere chiunque nelle loro folli avventure alla ricerca di una libertà che il mondo sembra voler loro negare. E in fondo cos’è la pirateria, se non il disperato tentativo di essere liberi nonostante tutto, anche a costo di sacrificare una comoda esistenza senza alcun pericolo in favore di un’avventura senza fine?