Attenzione la lettura implica spoiler su Outer Range e Yellowstone
Il modern western è un genere che negli ultimi anni ha riscosso un successo notevole da parte del pubblico, che ha imparato a innamorarsi di nuovo di orizzonti sconfinati e cappelli a larghe tese. Se si pensa al classico western, alla giustizia sommaria, alle faide fra famiglie rivali, agli scontri culturali, ma anche al più classico binomio saloon e pallottole, non possono non venire in mente serie come Godless o The Son. Ci sono poi delle serie che sfruttano l’ambientazione western per raccontare tutt’altro genere di storie, per esempio Dallas o, parlando di emozioni quasi opposte, la prima stagione di Westworld. Ma quelle che in tempi recenti hanno davvero illuminato nuovamente questo genere, sono sicuramente Yellowstone e Outer Range, perché hanno trovato il modo di coniugare in nuove sfumature un genere che non è mai davvero morto, condensando in un unica storia aspetti tradizionali del genere e elementi che all’occhio distratto potrebbero sembrare incompatibili.
Le due serie vengono spesso paragonate perché concorrono a una modernizzazione del genere e forse si potrebbe anche azzardare che senza la prima, qualcosa della seconda sarebbe andato perso. John Dutton ci ha insegnato l’importanza delle tradizioni, la centralità della famiglia, la necessità di sapersi far rispettare, perché il mondo fuori dal ranch è pieno di nemici, che non sono più gli indiani, ma sono il progresso, gli affari, il denaro e il consumismo. È una minaccia tutto ciò che punta a una cancellazione della tradizione e della storia di una terra, per un guadagno su larga scala, relegando questi aspetti a un mero intrattenimento per turisti. Certo, gli intenti della famiglia Dutton potrebbero anche sembrare nobili sulla carta, ma il metterli in atto necessiterebbe di una leggera (per usare un eufemismo) smussata.
Questi aspetti sono tutti presenti in Outer Range: ci sono due famiglie rivali, le lotte per i territori si svolgono nei tribunali, i poliziotti sono corruttibili, la giustizia è troppo spesso sommaria. Aver imparato che i western sono legati alla storia di un paese ci permette in un certo senso di giustificare la volontà di chi vive in quelle terre di voler rimanere aggrappati in maniera testarda e quasi utopica al passato. Royal Abbott e John Dutton rimangono saldi nei loro stivali, trincerati nei loro ranch con le loro famiglie, allontanando ogni straniero, ogni minaccia, in un disperato tentativo di fermare il tempo.
Ed è qui che le serie divergono prendendo direzioni che tingono di colori diversi, e forse inaspettati, questo genere immortale.
Se Yellowstone mostra una lotta impari che vede il tempo come l’inevitabile vincitore e i Dutton degli idealisti che probabilmente soccomberanno al progresso, Outer Range trova l’incredibile espediente di usare la fantascienza per governare questo elemento, trasformando Royal Abbott in un viaggiatore del tempo a tutti gli effetti.
Western e fantascienza sembrano due generi distanti e incompatibili, ma Outer Range spiana la strada, un episodio alla volta, a una storia che regge e se in alcuni momenti saremo costretti a un’ inevitabile sospensione dell’incredulità(stiamo pur sempre parlando di fantascienza) dall’altra i piccoli dettagli sparpagliati come briciole lungo le pianure del Wyoming, ci accompagnano a un finale che non ci sembrerà per nulla forzato o assurdo.
La storia parte da due ranch rivali e capiamo subito che qualcosa non torna. I Tillerson hanno una casa moderna, opulenta, di chi nel tempo si è arricchito grazie alle mandrie e ai territori posseduti, ma anche a un’oculata gestione degli affari che comprende avvocati esperti, qualche politico corrotto, una certa dose di forza. Gli Abbott no, il loro ranch è modesto, niente di vistoso, niente di ostentato. Eppure i territori appartengono alla famiglia da sempre e la mandria è numerosa e in salute. Come se il tempo per loro si fosse fermato all’inizio del secolo, come se il progresso e la modernità non avessero mai varcato il cancello del ranch, come se qualcosa di stantio permeasse la loro terra. Non a caso, sarà proprio quando il futuro, con le vesti di una straniera, si accamperà nel loro pascolo, che le cose cominceranno a sgretolarsi, ma questo lo capiremo solo arrivati al finale di stagione. Rimanendo con il dubbio che invece Royal lo avesse capito molto prima e le avesse permesso di insinuarsi nei suoi territori perché troppo stanco di mantenere segreti.
Si perché un’ingente quantità di “non detto” è d’obbligo in ogni famiglia che si rispetti e se i Dutton dovranno far fronte a un’unità familiare altamente compromessa dall’entità dei segreti su cui è costruita (la paternità di Jamie o la responsabilità di quest’ultimo sull’aborto di Beth, solo per citarne un paio), fin da subito ci appare chiaro che anche nella famiglia Abbott i segreti siano così grandi da far tremare le fondamenta dell’intero ranch e costituiscono altre briciole che rendono l’aspetto fantascientifico stranamente coerente nella narrazione. Royal Abbott conosce la voragine che si è aperta nel suo pascolo perché l’ha creata lui, lui sa cosa ne esce, come funziona, come il passato e il futuro non si posizionino su una linea coerente, ma come possano tranquillamente mescolarsi e non c’è niente di più realistico di una faida fra cowboy così attaccati alle tradizioni, ma allo stesso tempo consapevoli che non si possa vivere nel passato, se non quella di lottare per poter governare il tempo. Royal Abbott e Wayne Tillerson non lottano per un pascolo in più, lottano per poter aver ragione sul tempo che scorre: uno nella consapevolezza di quanto le implicazioni siano pericolose, l’altro completamente inconsapevole del pericolo, ma coerente con quella vena di follia presente nel personaggio.
I Dutton sono pronti alla guerra, hanno infiniti assi nella manica, possono oliare degli ingranaggi perché le cose funzionino a loro favore. In Yellowstone c’è una strenua resistenza in una guerra che sappiamo essere difficile da vincere. In Outer Range non capiamo nemmeno cosa sia il nemico, percepiamo una minaccia, ma è qualcosa di vago, che si respira, si percepisce ma non si vede e non si controlla. L’aria di mistero e quel senso di vaga paura costituiscono l’atmosfera necessaria per trasportarci dal Far West alla fantascienza senza che la cosa ci risulti assurda. Outer Range anche in questo si dimostra particolarmente ben costruita perché si spiegherà tutta, ma lentamente, un passo alla volta. Ci lascia sempre in sospeso con la sensazione che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di brutto, incontrollabile, qualcosa di selvaggio e imprevedibile che è possibile proprio li dove le istituzioni mancano e la giustizia è sommaria. Il selvaggio west diventa possibile perché in Outer Range vivono contrasti impossibili da prevedere, ma perfettamente coerenti con la vena fanta-thriller che scorre lungo la serie: la furia omicida di un mite e silenzioso vedovo, la malattia improvvisa che rende muto chi ha capito per cosa lottare, l’insensata allegria di famose canzoni d’amore, cantate da chi è pronto a uccidere per una sconosciuta. Senza contare quel buco nero, nato dal senso di colpa di un bambino che voleva solo sparire per un momento, e che adesso attira tutto quello che di marcio l’indole umana può concepire. C’è la spiritualità, c’è l’ignoto, ci sono usanze secolari, ma ci sono anche combustibili all’avanguardia, scienziati, studiosi e tecnici di laboratorio.
L’aspetto rurale del Wyoming diventa l’ambientazione ideale perché quello che generalmente viene chiamato tradizione, costume, memoria, in questa serie prende l’inquietante aspetto di un rito, di misteriose cerimonie che implicano altrettanto misteriosi effetti sulla comunità, oltre che sull’individuo. Ne sono un esempio perfetto il gruppo di preghiera di Cecilia Abbott che spesso prende i connotati di una setta, o in maniera ancora più visionaria, il bar dentro al quale Autumn e Royal si giocano a carte le misteriose pietre della ragazza, momenti in cui passato e presente si mescolano facendoci perdere la cognizione del tempo, facendoci tornare all’epoca dei saloon, delle mandrie di bufali che corrono libere, delle società segrete che nascondono la violenza dietro a un apparente sostegno per la comunità. Sono questi i piccoli elementi del western che vengono riletti in Outer Range e che ci portano a concederci il lusso di goderci una serie che parla di tempi lontani, ma con una veste talmente moderna da permetterle di trasportarci direttamente nel futuro.
“È l’unica costante della vita. Costruisci qualcosa che valga la pena avere e qualcuno cercherà di portartela via” ha detto John Dutton una volta e Royal Abbott, per quanto poco desiderabile sia ciò che ha creato, non può che confermare.
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