Tanti sono i personaggi che calcano il palcoscenico del penitenziario di Oswald, pochi sono gli attori protagonisti. Tra questi spicca il grande burattinaio di Oz, quel detenuto che è sempre sotto i nostri occhi, lì ben visibile nel suo acquario: Ryan O’Reily, l’antieroe di cui subiamo tremendamente il fascino. E non solo per il suo bel faccino. L’Irlandese non si fa strada a Oz con la forza fisica perché, da questo punto di vista, non ha tante frecce al suo arco. L’astuzia è la sua arma vincente, non esponendosi mai in prima persona se non in rarissimi casi: meglio lasciare il lavoro sporco agli altri o ingannarli come nel torneo di boxe. Se la uniamo alla sua abilità retorica e al talento nel negoziare, il cocktail che si crea è praticamente perfetto, rendendo O’Reily il più intelligente di tutti sia tra i prigionieri che tra i membri dello staff. E quando l’osserviamo, non possiamo fare a meno di essere catturati da lui e di chiederci: quale piano starà elaborando? Come farà a uscire da quella situazione? Quale idiota si fiderà di lui dopo tutto quello che ha fatto?
Da dietro le quinte O’Reily ordisce le sue trame, trasformandosi nello Iago di Oz.
Nella tragedia shakespeariana Iago è la causa di tutto ciò che accade a Otello, colui che pianta il male negli altri e lo fa germogliare, distillando bugie travestite da verità in una maniera così convincente che le persone credono alla sua lealtà e onestà. È una descrizione che calza a pennello per O’Reily, considerando che è stato lui a far partire la spirale infinita di morti a Oz: in cerca di vendetta su Dino Ortolani, corrompe la guardia in isolamento così che Johnny Post lo possa bruciare vivo per poi vendere l’Afro agli italiani. Oltre a organizzare la morte di Jefferson Keane, istiga Simon Adebisi (sfumatura estrema dell’oscurità) a uccidere Nino Schibetta mettendogli vetro tritato nel cibo.
Da vero doppiogiochista e opportunista qual è, fa credere agli afro e ai siciliani di essere schierato dalla loro parte, ma in realtà agisce alle loro spalle per un suo tornaconto e la guerra quasi scoppia tra le due fazioni. Perché, come Iago, O’Reily è una figura machiavellica che incarna il detto “il fine giustifica i mezzi”, muovendo a suo piacimento i nemici come i pezzi di una scacchiera.
Vede gli altri come strumenti: ad esempio accetta di donare il sangue per Miguel Alvarez in cambio dell’arrivo di suo fratello in Paradiso. Si comporta in maniera gentile solo se ne trarrà qualcosa. Lo vediamo con il suo Rodrigo, Tobias Beecher, il ritratto della sofferenza. Quando lo vede esibirsi sul palco truccato e vestito da donna non ride. Potrebbe dunque mostrare solidarietà per lui. Oppure sta architettando un modo per sfruttare a suo vantaggio la debolezza dell’uomo. Basti pensare che, dopo averlo visto piangere per gli abusi di Schillinger, diviene il suo fornitore di droga. Non solo con gli stupefacenti O’Reily ci guadagna, ma, impazzendo, Beecher mette fuori gioco uno Schillinger fermamente contrario alla droga.
Ma dunque, perché questi due uomini si comportano così?
Iago è mosso da una forte invidia nei confronti di Otello, odio che lo pervade in ogni singola cellula del suo corpo, tanto da pianificare la fine del Moro nei minimi particolari. La gelosia e la vendetta sono la ragione delle sue azioni e ci sono solo due cose che interessano all’uomo: la reputazione e il commettere male senza venir scoperto. Ad esempio Desdemona è una sua vittima perché, anche se è il prode cavaliere ad averla uccisa, la colpa del gesto è imputabile alle macchinazioni di Iago.
Tante sono le morti provocate o ordinate da O’Reily, principalmente per due motivazioni. La prima è la vendetta contro chi minaccia lui o suo fratello – come accade per il figlio di Schillinger – e la seconda è la conquista del potere. Sale la scala del caos senza farsi sfuggire l’occasione, giocando tutte le sue carte abilmente e usando l’odio come merce di scambio, e non la rifiuta rimanendo attaccato a illusioni inutili perché “Solo la scala è reale. E non resta che salire”. Coloro di cui istiga la morte nella prima stagione sono serviti per raggiungere l’ultimo gradino nella gerarchia della vendita dell’eroina. E non dobbiamo dimenticarci che ha cospirato con Keller per far cadere il regno di Adebisi: pur essendo Kareem Said l’esecutore materiale, solo loro due ad aver tirato i fili.
Se però Iago è il male puro, O’Reily invece mostra umanità in Oz nel suo rapporto con Cyril, la sua speranza e il suo tallone d’Achille. Certo, non esita a usarlo se ne ha bisogno, trasformandolo nel braccio della sua mente e sfruttando la fiducia incontrastata che Cyril prova per lui. Eppure è estremamente protettivo nei suoi confronti, si sente in colpa per la sua condizione e usa ogni mezzo per tenerlo a Oz perché è l’unico luogo dove può difenderlo. E quando Cyril finisce nel braccio della morte, Ryan si rende conto di aver fallito perché non ha salvato quel ragazzo che per lui ha dato ogni cosa e che ha condotto alla rovina.
Iago ha fatto la stessa cosa con il Moro, solo che Ryan a differenza del cattivo di Otello si pente.
Inizia così ad aiutare le persone nel reparto ospedaliero di Oz non perché c’è Gloria, ma per rimediare al male che ha fatto. Il suo primo paziente sarà proprio quell’ubriacone del padre che passò la sua adolescenza a picchiarlo e insultarlo, non dandogli altre opportunità se non il mondo del crimine. Nell’incontro con il suo vecchio cogliamo così i riflessi del passato e del potenziale di O’Reily, vediamo il disprezzo per suo padre e per quello che le sue azioni – o la loro mancanza – hanno comportato. Ma lo accudisce lo stesso, anzi è proprio Ryan che lo porta fuori da Oz nel finale, facendoci capire che l’irlandese potrebbe essere davvero cambiato.
Ha smesso di manipolare, si è tolto i panni di Iago, la fine del suo gioco coincide con la fine di Oz. O almeno così crediamo. Perché la natura dello scorpione è difficile da cambiare. Perché restare vivi in quell’ambiente è arduo e lui è pur sempre il maestro della selvaggia arte della sopravvivenza. Che alla fine, in prigione, è l’unica cosa che conta.