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Oz andrebbe vista anche solo semplicemente perché è un unicum di crudezza nel mondo delle Serie Tv

Oz
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Sulla porta dell’Inferno Dante lesse una scritta di ammonimento per chiunque avesse attraversato quella soglia: infatti, il destino che attendeva quei condannati era pieno di crudeli ed eterne punizioni. Versi che sono perfettamente applicabili anche al mondo di Oz:

“Per me si va ne la città dolente,

per me si va ne l’etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente […]

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”

Come succede ai peccatori danteschi, Oz è una discesa agli inferi per i detenuti, considerati anime ormai perse e quindi costretti a subire sofferenze lancinanti che portano la sopportazione umana a livelli fin ora inesplorati, con poche possibilità di salire in purgatorio. Lo sa bene Miguel Alvarez, complice di uno dei gesti più crudi ed efferati di tutta la serie tv. Eppure prova a cambiare, a rigare dritto e a non mettersi nei guai, solo per ottenere l’accesso a quel purgatorio che per i prigionieri è rappresentato dalla libertà vigilata. Il fato, però, decide per Miguel e per ben due volte, senza dagli la possibilità di evadere dalla vita criminale a cui è destinato. E con il passare del tempo a prevalere, per lui e per gli altri “ospiti” di Oz, sono la rassegnazione, la sfiducia e la solitudine.

Quello che trovano nel Paradiso è un perenne stato di guerra, dove si può morire in mille modi diversi: armi da fuoco, bombe, calci e pugni, coltelli, veleni, malattie, strangolamenti, elettricità, immolazione, fuoco, vetro nel cibo e persino uova. I luoghi di questo tipo sono abbandonati da tutti, dimenticati dall’attenzione pubblica, e Oz non fa altro che aprire un vaso di Pandora che vuole ricordarci quanto sia terribile e alienante quel mondo dominato da lotte tra fazioni, dalla droga, dall’oppressione fisica e psicologica, dalla violenza come strumento del potere.

Perché in fondo a Oz quello conta. Il potere.

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C’è una gerarchia ben precisa delle bande nel Paradiso, ma tutte sono in lotta tra di loro per guadagnare una posizione di maggior influenza, non importa se devono pagare con il sangue. Ne va della loro sopravvivenza che, alla fine, è l’unica cosa davvero importante tra quelle celle, al di là di qualsiasi credenza religiosa o orientamento politico, dell’appartenenza etnica o familiare. E se l’essere umano viene spogliato di tutto, diventa un animale che segue i suoi istinti primordiali e quei pochi principi che all’esterno sarebbero inapplicabili, ma tra le fredde e crude mura di Oz sono la salvezza: onore per i latinos, rispetto per i mafiosi, moralità per gli islamici sono solo alcuni esempi. Lo devono fare se non vogliono impazzire, se non vogliono fermarsi a realizzare che in quel posto invecchiare è una missione impossibile poiché, chi varca le soglie del Paradiso, difficilmente le attraversa in senso contrario.

Vivere ogni giorno con il timore che potrebbe essere l’ultimo è orribile e spaventoso.

Per proteggersi i detenuti ricorrono a ogni trucco possibile, scendono sul gradino più basso dell’umanità e si alleano con chiunque, anche con chi il giorno prima chiamavano nemico. Lo vediamo tra di loro, ma anche nel rapporto con quelle figure che dovrebbero essere positive: le guardie, gli addetti ai lavori, gli ufficiali governativi, i dottori, i preti e via dicendo sembrano perdere la loro moralità in quel luogo dimenticato dal mondo, spogliandosi della propria umanità per mostrare la loro vera essenza. Buttando giù la maschera per far emergere la meschinità, la violenza, il pregiudizio e la vendetta.

Di fatto Oz inghiottisce tutti nella sua crudele macchina, dando l’idea di un organismo che sembra separato dalla realtà, completamente in un’altra dimensione. E nemmeno il suo creatore può salvarlo.

La fede di McManus nei poteri riparatori dell’istruzione, la sua sete di giustizia, la sua fiducia cieca nella riabilitazione e la sua filosofia umanizzante, infatti, attirano spesso l’ira del direttore, delle guardie, del governatore e del grande pubblico, ma la contestazione viene anche dall’interno: gli stessi detenuti vedono McManus come un’idealista sciocco e pericoloso, un’arrogante che fa parte di quel sistema che continua a opprimerli. E allora provano a sabotarlo, raggiungendo il culmine in quella rivolta capitanata da Said, che rende visibile l’inferno di Oz.

Un uomo che rappresenta la perfetta controparte di McManus: entrambi idealisti, combattenti, che cercano di controllare la loro parte peggiore, rabbiosi ed estremamente orgogliosi. È l’estremismo politico che porta in carcere Said e, persino dalla sua cella, non smette mai di lottare: contro il sistema, contro il peccato, contro la discriminazione, rifiutando una grazia che pochi avrebbero lanciato nel cestino. Combatte con i suoi stessi demoni, con quella rabbia che ribolle dentro di lui e che sta cercando di reprimere, anche se non è sempre facile. Soprattutto dopo le sconfitte, come quella con il Poeta e Adebisi.

Proprio Adebisi ci dimostra che il più delle volte ogni tentativo di cambiamento e di sfuggire alle leggi di Oz viene ritenuto dai detenuti come un tradimento.

Quando al giovane Kenny Wangler viene insegnato a leggere e si avvia a un processo di miglioramento grazie all’istruzione, Adebisi fa di tutto per spegnere quel flebile fuoco di speranza. Lo prende in giro, lo maltratta e lo minaccia, lo tenta con la droga e usa persino il libro di Kenny per nascondere gli stupefacenti. Riduce così le opzioni del ragazzo a una soltanto: una vita sprecata tra droga e violenza. Facendoci provare pietà per un personaggio tutt’altro che comprensivo, perché abbiamo visto che per lui non era ancora troppo tardi.

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La spirale di violenza, però, non risparmia nessuno a Oz.

Basti pensare a Beecher. All’inizio è un relitto confuso, spaventato, che odia sé stesso, facile preda per uno Schillinger che lo trasforma nel suo schiavo: lo costringe a fare commissioni e a obbedire ai suoi ordini, lo aggredisce violentemente e lo stupra ripetutamente, lo marchia come se fosse carne al macello. Attraverso Beecher ci viene mostrato quanto facilmente un uomo qualunque possa soccombere alla violenza e alla criminalità quando il suo privilegio viene sovvertito. Da Schillinger, invece, comprendiamo quanto l’odio può risucchiare completamente un essere umano, rendendolo cieco nella sua follia. La loro relazione, poi, si diffonde nelle loro anime e tra i loro compagni di cella come un cancro, un duello di devastazione che alla fine danneggerà irreparabilmente le loro famiglie. E non è un caso che i due siano i protagonisti di Macbeth, il dramma shakespeariano rappresentato nel finale, poiché Oz mette in scena la stessa fame di potere, legami familiari e sangue omicida della tragedia del Bardo. Facendoci capire quanto sia inutile la vendetta.

Quello tra Beecher e Schillinger è solo uno dei raccapriccianti modi in cui viene usato lo stupro in Paradiso.

C’è chi dona il suo corpo ai prigionieri più temuti per ottenere protezione. Altri vengono costretti per il piacere dei capiclan, venendo travestiti e truccati da donna. Per altri ancora invece è una punizione per un loro sbaglio. L’emblema di ciò è la nudità del corpo maschile, simbolo di impotenza ma anche di vicinanza. Infatti nascono delle storie d’amore, sentimenti puri che però sfociano spesso in pulsioni deviate, in cui esistono sempre un dominatore e un dominato, uno che gode e l’altro che soffre: è un rapporto unidirezionale privo di quel meraviglioso sentimento che dovrebbe essere la base del fare l’amore. Perché è così che si fa a Oz.

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Il buco nero di Oz però risucchia anche i buoni sentimenti. Sembra che non ci sia niente che possa o voglia salvare questi uomini, né l’amore, né il lavoro, né il tempo trascorso nella sala comune. Anzi, queste si trasformano in occasioni per progettare rivolte, omicidi, piani per modificare la situazione attuale. Ryan O’Reily ne è il maestro, una figura machiavellica dal fascino magnetico che si insinua tra le varie gang, seminando il tradimento da una parte, puntando il dito dall’altra, muovendo i suoi nemici come pezzi su una scacchiera.

Eppure il grande burattinaio del Paradiso è un uomo abbandonato da una società che non vede per lui un riscatto e da una vita che non è stata per niente gentile.

Allora decide di restituirle pan per focaccia, trascinando nella sua distruzione anche il fratello. Non si fa scrupoli a usare Cyril per i suoi scopi, eppure lo ama talmente tanto da sentirsi in colpa e in dovere nei suoi confronti, facendo di tutto per proteggerlo. Cyril è il suo punto debole, la sua umanità, il suo braccio armato e il suo più grande fallimento quando non riesce a salvarlo. Da lui, dal mondo e da un sistema che non vuole perdere tempo con prigionieri con bisogni speciali, non considerando la sua condizione e condannandolo a una morte ingiusta e straziante. Perché la crudezza di Oz si vede anche in questo, nel modo con cui il sistema carcerario tratta i suoi detenuti, di qualsiasi tipo, etnia, salute, colore o orientamento sessuale. Trasformandoli in animali pronti a sbranarsi, in criminali peggiori di quello che in realtà sono.

È Augustus Hill che ci rivela queste verità inquietanti, il nostro punto d’ingresso dentro Oz. Ci fa capire che la malvagità umana non è cambiata nei secoli, che a Oz tutto è guidato del proprio organo sessuale, che nessuno ha veramente importanza. Comprendiamo che ognuno di noi poteva essere Hill – o qualsiasi altro detenuto – vittima di un sadico scherzo del destino, protagonisti di un inferno da incubo che fa emergere il mostro dentro di noi, facendoci chiedere: ma perché continuiamo a vivere se la vita è questa? E forse, allora, ha ragione O’Reily a dire che:

La morte è meglio di qualsiasi altro giorno a Oz.”

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