La hanno definita la Breaking Bad di Netflix. E tutti tutti i torti diciamo che non ce li hanno. Perchè Ozark ha molto di Breaking Bad. Anzi, è la serie più somigliante a Breaking Bad che io abbia mai visto. Somigliante, non uguale. Attenzione. Perchè Ozark è anche molto diversa da Breaking Bad.
Ho visto la prima stagione di Ozark l’anno scorso, poco dopo l’uscita. E devo dire che mi era piaciuta abbastanza. Al punto che comunque aspettavo con grande curiosità questa seconda stagione. Perchè si sa: azzeccare una stagione è relativamente facile, azzeccare anche la seconda ponendo le basi per una serie – e non una semplice stagione – ben fatta e che non sbrachi da tutte le parti, è molto più difficile. E oh, Ozark ci sta riuscendo alla grande in questa season two, non limitandosi a rispettare le aspettative ma alzando di parecchio l’asticella. Una stagione che – sono arrivato alla settima puntata, a 3 dalla fine mentre scrivo questo articolo – arrivo a definire finora maestosa. E che mi fa dire:
Ma perchè non state guardando Ozark in questo momento?
No, Ozark non sta facendo presa in Italia. Ed è strano, perchè in Italia di fan di Breaking Bad ce ne sono milioni. E’ probabilmente la serie più amata di tutte, nel Belpaese. E Ozark, che le somiglia senza però mancarle di rispetto, differenziandosi in vari punti così da evitare paragoni scomodi e a oggi sicuramente improponibili, non viene minimamente calcolata. E’ un peccato colossale.
E’ un peccato colossale perchè è una serie fatta benissimo. Scritta benissimo, recitata benissimo. Che ha una fotografia pazzesca e una regia sontuosa.
Ozark è una serie di quelle che qualcuno definirebbe lenta, ma alla fine è una delle poche serie in circolazione per cui un’ora netta di puntata – questa la media durata di un episodio – non risulta mai e poi mai sgradevole. Perchè anche quando non sembra succedere niente, in Ozark succede tutto. I fili della storia si intrecciano uno dopo l’altro con maestria e leggiadria, lasciandoti completamente ammaliato.
Marty Byrde, il protagonista, è un personaggio completamente atipico. Vive una vita continuamente appesa a un filo, ma non sembra subirne minimamente le conseguenze. Freddo e serafico, dà sempre l’impressione di avere sempre tutto sotto controllo. E che si tratti di soddisfare le pressanti richieste del Cartello Messicano col mirino puntato su lui e famiglia, di tenere a freno la furia omicida degli Snell, anziani possidenti della zona con cui è stato costretto a entrare in società, di sopportare il tradimento di sua moglie o venire a capo dalle situazioni più intricate, per Marty non c’è alcuna differenza. Marty sembra una specie di robot, un robot programmato per sopravvivere. Ogni giorno ha mille situazioni da sbrogliare e altre mille possibilità di morire ma dorme, si sveglia, fa colazione, pranzo e cena come un normale essere umano. Come se nulla fosse.
Se vogliamo, qui si nota una delle – tante – differenze tra Ozark e Breaking Bad. Walter White è un genio dell’improvvisazione: vive veramente alla giornata e anche tutti i suoi piani fenomenali sono quasi sempre frutto di un’intuizione dettata dal suo cervello superiore. Ma vive anche in un costante e perenne stato di tensione, divorato dalla paura che qualcosa possa andare storto da un momento all’altro. Perchè Walter White è un mix tra istinto e ragione. Marty Byrde no. Marty Byrde è un mostro della programmazione. Ha completamente seppellito le sue emozioni, perchè Marty Byrde sa che se lascia andare le sue emozioni, di fatto, rimane fottuto. Ha imparato a controllarle per sopravvivere, o forse lo ha sempre saputo fare.
E così, dopo essersi salvato la pellaccia nella prima puntata, dopo che il suo socio aveva tradito il Cartello Messicano, sfodera questa cosa di avere il piano perfetto per riciclare una montagna di soldi dei suoi datori di lavoro: se non ce la fa, lui e la sua famiglia verranno uccisi senza pietà. Per riciclare quanto più denaro possibile Marty sbarca nell’Ozark, appunto. Un posto tetro, buio, a tratti inquietante.
Già, perchè Ozark è cupa. Incredibilmente cupa. Lo è nei colori. Lo è nelle musiche di sottofondo che scandiscono quasi ogni azione o discussione, come una sorta di calamita che attrae attenzione e tensione dello spettatore in maniera totalizzante.
E poi Ozark è fredda. Non ti affezioni a nessun personaggio, perchè i personaggi non ti strizzano mai l’occhio. Non c’è empatia, non c’è condivisione. Non sei dentro la storia. La vivi dall’esterno. La valuti. E forse è anche per questo che ne rimani così affascinato. Perchè con Ozark, così come i personaggi, anche tu sei portato a lasciare da parte le emozioni, per fare spazio a un approccio – anche visivo – più critico e analitico. Altra colossale differenza con Breaking Bad.
Ma sappiamo tutti che in genere per la buona riuscita di una storia di questo genere, molto spesso, sono importantissime condivisione ed empatia col protagonista. Che in Ozark non ci sono, o se ci sono sono molto sfumate. E allora, come rimedia a Ozark a questa apparente falla? Rimedia trasformando un ipotetico punto di debolezza in un punto di forza. Perchè Marty Byrde non è il protagonista, è un protagonista. Per quanto sia il centro della storia, Marty non è imprescindibile come un Walter White, un Michael Scofield o un Thomas Shelby. Ozark è una serie corale. Non Marty-centrica. Lui è il mattatore, ma in ogni puntata devi fare attenzione alla storia e alle evoluzioni di 10, 15 personaggi perchè tutti hanno un’importanza capitale per la riuscita della trama.
Ruth e suo padre, la mafia di Kansas City, il Cartello, Rachel, Petty, quei pazzi scatenati degli Snell, Buddy. E poi loro, moglie e figli di Marty. Che no, non sono delle povere vittime come Skyler e tutta la famiglia di Walter White. Sono nati carnefici, pur essendo vestiti e tra-vestiti da buona famiglia alto-borghese. Sono tutti conniventi, e tutti a conoscenza della situazione da criminale affiliato del Cartello di loro padre\marito. E ci convivono in fondo serenamente. La moglie, Wendy, è una iena. Feroce dietro a uno sguardo e a un atteggiamento angelico, rigira tutti a suo favore sempre e comunque. Wendy è una signora del crimine travestita da brava donna. E’ intraprendente, non subisce il marito ma lo accompagna nel suo percorso.E come a suo marito, sotto sotto, questa vita a Wendy non fa poi così schifo. Entrambi, è evidente, sperano di ricavare qualcosa di grosso da tutto il delirio in cui si sono cacciati.
Ozark viaggia sul filo del rasoio, sempre. Viaggia sul filo del rasoio da quando è cominciata. Sembra non spostarsi di un millimetro, ti tiene sospeso li’ all’infinito ma senza forzare mai la narrazione. Ogni puntata si arricchisce di un dettaglio, di una sottotrama, di un personaggio che si prende la scena, ma non hai mai la sensazione di star assistendo a qualcosa di raffazzonato o esagerato.
Ho provato a raccontarvela spoilerandovi il meno possibile, e non è mai facile, a volte rischi di perdere un po’ la pienezza del discorso. Ma spero di essere riuscito quantomeno a intrigarvi un po’. Perchè Ozark vale la pena davvero: ha avuto la furbizia di appoggiarsi a Breaking Bad evolvendo però in qualcosa di diverso. O almeno, finora è stato così. Poi il dubbio rimane: Marty Byrde rimarrà Marty Byrde, l’uomo di ghiaccio un po’ burattinaio un po’ burattino i cui fili sono tirati da altri, sempre controllato e serafico, oppure un giorno si sveglierà e avrà una evoluzione Heisenbergiana? Difficile da prevedere, ma per come si stanno muovendo una cosa è certa: Ozark saprà cavarsela, anche davanti a una decisione così difficile.
Ozark ti culla sulle note di The Man Who Sold The World dei Nirvana: sinistra e magnetica, tranquilla ma ansiogena, e lo sai che prima o poi potrai venire travolto da un uragano di strumenti che s’imporranno leggiadramente, abbattendoti senza far sì che tu te ne accorga. Probabilmente siamo davanti a una delle serie che domineranno la prossima epoca televisiva: non siete curiosi nemmeno un po’?
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