Grana, contante, capitale, gruzzolo, pecunia, baiocchi, cocuzze, dindi, quattrini, verdoni, denaro: ciò che separa i ricchi dai poveri. I primi venti secondi di Ozark tracciano subito una linea di demarcazione: questa serie parlerà di soldi. E i toni scuri e vagamente agghiaccianti con cui si apre la scena iniziale suggeriscono che non è proprio un saggio di economia quello che hanno in mente gli autori. Questa sarà una serie sporca, cupa, violenta, con i personaggi che dovranno imbrattarsi nelle acque stagnanti e melmose del malaffare. Il pilot ci catapulta al centro dell’azione, lasciandoci invischiati in qualcosa di profondamente losco e compromettente di cui ancora non conosciamo i dettagli.
Sullo sfondo, le acque di un lago, blu come il sospetto. E un dubbio che galleggia in superficie: il denaro è davvero la misura delle scelte di ogni uomo?
Si torna indietro, almeno di qualche settimana. I colori si distendono, la scena si allarga. È Marty Byrde il protagonista di questa storia opaca. L’uomo ordinario, l’eroe dell’etica americana del lavoro.
Siamo nella grande città, con gli uffici luminosi all’ultimo piano di un grattacielo e mastini in giacca e cravatta a caccia di opportunità. Marty sembra aver collezionato tutti i cocci del sogno americano andato in frantumi. Se li porta in tasca, con quell’aria indifferente di chi, con la stessa scioltezza, può parlare di tassi di interesse, seguire un programma su History Channel o guardare un porno amatoriale di sua moglie sul computer.
È tutto così statico, così stazionario. La vita fluisce in uno sgorgare apatico di monotone routine. Il lavoro, la famiglia, la casa, i battibecchi tra fratelli. Cene con la tv accesa e coperte da rimboccare prima di andare a letto. Ozark ci mostra una normale famiglia americana. Ma è una famiglia in cui qualcosa si è già insinuato: il dubbio, il tradimento, una leggera screpolatura che si fa largo tra i silenzi. Poi squilla il telefono, “c’è Del”. E da quell’istante in poi, tutto subisce un’improvvisa accelerazione. Diventa una corsa contro il tempo, contro i numeri, contro il panico che gonfia le vene e accelera i battiti del cuore.
Del è un messicano coi soldi. Viso pulito, abiti eleganti, mascella forte. Sta cercando i suoi cinque milioni, qualcuno li ha sottratti dal suo carico. E li lui li rivuole tutti, a costo di lasciarsi alle spalle un po’ di sangue innocente.
Da questo punto in poi, Ozark viaggia. Con ritmi adrenalinici, facendosi largo a spallate.
Torna quello strisciante senso di pericolo che aveva aperto l’episodio. Scorre per la prima volta il sangue, i cadaveri vengono ficcati in un barile e sciolti nell’acido. I colleghi di Marty cadono uno ad uno. Non sono scene infarcite di retorica: la morte in Ozark è immediata, istantanea, cruda. Il cerchio si stringe attorno a Marty, in ginocchio, coi polsi legati e la faccia di uno che sta per farsela addosso.
Non è un duro, Marty Byrde. È uno che piange e supplica, che chiede di poter salutare la famiglia prima di finire ammazzato in mezzo alla polvere. Marty è il self made man che non ha mai saltato una rata del mutuo. È una macchina da soldi, sa calcolare, quantificare, economizzare. Per questo il contrasto è macroscopico e l’empatia gira tutta a favore dell’uomo in ginocchio che mette in moto il cervello per salvarsi la pelle. Marty si aggrappa all’unica cosa incontaminata presente in quel luogo di morte: il depliant del lago di Ozark. Una prospettiva di salvezza e di guadagno.
C’è una spiaggia più estesa dell’intera California.
Così Ozark, il cuore di pietra del Missouri, fa capolino nella vita dei Byrde. Si offre loro come ancora di salvataggio, l’unico precipizio dal quale tuffarsi per evitare una pallottola in testa. E allora si torna a schematizzare, analizzare, gestire. La mente di Marty viaggia veloce. Più scandaglia, più acquisisce sicurezza. A Wendy chiede di evitare il panico. Le parla di criminali, pistole e morti ammazzati come se parlasse della scadenza delle bollette o delle rate della macchina. Questo è un particolare che acquisisce un valore apprezzabile: la moglie qui è consapevole di ciò che fa il marito, sa tutto. La differenza tra Ozark e tante altre serie dello stesso tenore – Breaking Bad in primis – sta anche lì: Wendy conosce il crimine, sa degli affari loschi del marito. Ed è tutto estremamente naturale, come se fosse parte delle cose.
Amanti che volano dal balcone di un grattacielo, borse piene di contanti, trafficanti che si offrono di ucciderti la moglie: Ozark si insinua come benzina tossica nelle maglie dei tessuti stropicciati.
L’immagine della macchina che si immerge nelle profondità dell’America aspra e brutale del Midwest chiude questo primo episodio. La strada non è dritta, ma costellata di curve e tornanti. Segno che, andando avanti, il tragitto sarà disseminato di insidie, pericoli, minacce. Marty si ferma un attimo, accosta e scende dall’auto. È il primo momento di calma dopo una lunga corsa forsennata. Lascia scivolare il panico, si affloscia, ritorna a raschiare la terra. Poi, così come era iniziato, il pilot finisce sull’acqua. Marty è già inesorabilmente parte del blu. Lo sono i suoi figli, che chiudono la scena raggiungendolo alle spalle. Lo è Wendy, simbolicamente un po’ distaccata dal gruppo, ma comunque parte di questa triste traversata. E lo sono le nostre iridi, assuefatte e immerse irrimediabilmente nelle acque cupe e profonde di Ozark.