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Nel cuore di Pachinko

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We’re on the ride to nowhere, Come on inside, Takin’ that ride to nowhere, We’ll take that ride” (Road to Nowhere – Talking Heads) è il primo dei cuori di Pachinko, un prodotto che si discosta dalle serie coreane alle quali ci siamo abituati. I versi e le note della canzone accompagnano Solomon Baek (Jin Ha), l’arrivista, il giovane rappresentante dell’ultima generazione della famiglia coreana al centro di questa serie storica, period drama nell’arco di 70 anni di Apple TV+.

In viaggio verso il non luogo, il nessun dove, il paese che migliaia di coreani si sono trovati forzatamente ad abitare dall’annessione all’Impero Giapponese in poi. Il primo grande cuore di Pachinko è enunciato a dieci minuti del primo episodio, dopo il primo antefatto/flashback che ci introduce la bella figura di Sunja (la moglie coreana del sotto titolo italiano di Pachinko). Sunja ha iniziato a lottare ancora prima di venire al mondo, la madre per disperazione chiede aiuto a una guaritrice per essere affrancata dalla maledizione che la perseguita e non le fa portare avanti le gravidanze.

La piccola Sunja (Yuna) cresce nella locanda di famiglia nell’abbraccio dell’amore dei genitori che tanto l’hanno desiderata. Gioca con il padre (che perderà presto) nei campi inondati di libellule, una di queste si ferma sulla sua mano e diventa il suo dono alla piccola Sunja che ricambia con un sorriso e uno sguardo in macchina che ci rende complici. La libellula nella cultura asiatica è simbolo di libertà e mutamento oltre a prosperità. Ecco l’altro grande cuore di Pachinko. La libertà negata dall’occupazione giapponese che i protagonisti credono di poter riconquistare nell’unico modo possibile, andare via, lasciare il proprio paese e la famiglia anche se significa trasferirsi nel paese invasore.

Il mutamento, trasformarsi per sopravvivere e assicurare un’altra vita ai propri figli, dar loro l’opportunità di sapere che parole come possibilità e futuro non sono astratte, “And the future is certain Give us time to work it out“. Ci vuole del tempo per costruire l’avvenire. L’adolescente Sunja (Minha Kim) inizia con uno sbaglio d’amore restando incinta del bel Hansu (Lee Minho), il broker del mercato del pesce. Il matrimonio riparatore con il gentile Pastore Isak Baek (Steve Sanghyun Noh) la porterà ad Osaka, la terra ostile, dove i coreani sono sempre considerati dei paria e sempre un gradino più in basso di tutto e tutti, sull’orlo di un baratro che impone loro un continuo gioco di equilibrio, come la libellula che riesce a restare ferma in aria. Così i coreani vivono questa emigrazione forzata, restando fermi su loro stessi, cercando di passare inosservati, di non disturbare, con la costante paura di essere accusati di crimini immaginari. “They can tell you what to do But they’ll make a fool of you And it’s all right baby, it’s all right

The future the past and forever after

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Non a caso la canzone dei OMD è stata inserita come parte della colonna sonora di questa serie targata Apple TV+. Il futuro, il passato e il per sempre. Il passato è un altro cuore di Pachinko. Trova posto nella narrazione anche il devastante terremoto avvenuto nel territorio di Yokohama il primo settembre del 1923. Tutto il settimo episodio è incentrato su questo avvenimento che segnerà la vita di Hansu. Un intero episodio in formato 4:3 per distaccarsi dagli altri affinché la devastazione non rischiasse di diventare esteticamente bella, un formato che racchiude lo schermo nello schermo come se fosse una protezione, una griglia di pudore tra il racconto scenico e il fatto in sé.

Una scelta ben precisa del creatore Soo Hugh in quanto non c’è traccia di questo evento nel libro di Min Jin Lee al quale la serie si ispira. Non è solo la scelta di dare delle motivazioni al personaggio, il punto di svolta (la perdita del padre e della famiglia per la quale lavorava come tutore) che lo ha reso freddo e calcolatore, ma la necessità di continuare a raccontare il passato dei coreani che hanno subito un ulteriore persecuzione a causa di questo terremoto. La prigione che deteneva i coreani, rinchiusi molto spesso per nessuna colpa reale, era andata distrutta. E’ bastato per creare un capro espiatorio, trovare un nemico fisico da abbattere e a migliaia sono stati uccisi dai vigilante giapponesi. “Run and hide, defend your life But there’s no control”

Women’s got the power

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Le donne hanno il potere, caratteri forti ed ispiratrici di trasformazioni personali, un denominatore comune di una tendenza tra le serie coreane. Sunja non è da meno anche in un contesto così chiuso come il periodo storico in cui si trova a crescere. Da anziana è interpretata dall’intensa Yu-Jung Youn (Oscar come migliore attrice non protagonista per Minari) che porta nel fisico esile il peso dei ricordi, l’abbandono forzato della madre, le lotte quotidiane in un mondo patriarcale e ostile. Sunja è sorella di tutte le donne coreane alle quali viene dato un tributo alla fine dell’ottavo e ultimo episodio di questa prima stagione. Piccole interviste a ultra ottuagenarie che hanno attraversato Oceani e un secolo di storia con brutte pagine di discriminazione e violenza, che trovano nel profumo del riso del loro paese di origine un motivo per non dimenticare. Il loro paese non è più la Corea geografica è nelle loro rughe, nei sorrisi gentili, nelle loro menti di giovani ragazze.“There’s a city in my mind Come along and take that ride and it’s all right baby, it’s all right“.