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Pachinko: vivere per davvero è un gioco d’azzardo

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Attenzione: l’articolo può contenere spoiler su Pachinko.

Per un’insolita combinazione di variabili, in Italia non si è ancora sufficientemente parlato del dramma coreano made in US che più si è fatto notare nel panorama seriale del 2022. Pachinko è una serie tv di Apple TV+ la cui prima puntata (di otto) ha debuttato il 25 marzo dello scorso anno. Seppur a distanza di diversi mesi, il period drama continua poco a poco a conquistare le nicchie di spettatori che si lasciano trasportare dalla sua storia monumentale. Il racconto seriale creato da Soo Hugh e basato sull’omonimo romanzo del 2017 di Min Jin Lee ha raccolto un consenso generalmente positivo, sia dal pubblico che dalla critica, tanto da esser stato rinnovato nel giro di poco tempo per una seconda stagione.

Pachinko si apre con una sigla in pieno stile Apple TV+, un carattere ormai distintivo della piattaforma streaming, che regala alla stragrande maggioranza delle sue serie tv originali dei titoli di apertura costruiti con cura.

Distesi, curati, e sempre dalla scelta musicale epocale e inevitabilmente indimenticabile, i titoli di apertura degli show di Apple TV+ sono uno più bello dell’altro, mettendo in chiaro sin dal principio la natura identitaria della storia (si pensi alla sigla di Severance, o a quella di The Morning Show). Anche in Pachinko l’opening theme non è da meno, giocando su un’effetto straniante capace di sottolineare la natura semantica della storia con un’atmosfera malinconica ed euforica. La storia è quella di Sunja e della sua famiglia. Al centro della serie tv vi è l’epopea di più generazioni di un unico, intrecciato, nucleo familiare nel corso del ventesimo secolo, per la precisione nell’arco di più di settant’anni: avviandosi dagli attimi precedenti la nascita fortunata della protagonista Sunja, da una coppia di locandieri che aveva già perso diversi neonati, e culminando nel 1989. Partendo con la venuta al mondo della piccola Sunja, ha avvio una nuova stirpe che viene raccontata attraverso costanti flashback e flashforward che mostrano l’articolarsi nel tempo e nello spazio della famiglia in costante divenire.

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Pachinko (640×353)

La storia si apre nella Corea Coloniale succube dell’imperialismo del Giappone, realtà in cui la piccola Sunja cresce innocentemente tra le campagne e il mercato del pesce. A fronte di un amore tempestoso e dai veri toni da period drama, l’adolescente protagonista è di lì a poco costretta a trasferirsi, all’inizio degli anni Trenta, in Giappone. Sunja abbandona la Corea per crescere il figlio che porta in grembo al di fuori del matrimonio ed evitare che disgrazia e dure ripercussioni si dipanino sulla madre e la locanda. All’epoca, sul territorio giapponese gli immigrati coreani come Sunja, detti zainichi, sono stati oggetto di pesanti e costanti discriminazioni. Con la pura riservatezza che la distingue, assieme all’amore per il figlio, la protagonista tenta comunque una nuova vita al fianco del pastore Baek Isak, che diventera suo marito, e dei cognati. Destinata ad affrontare di tutto, la giovane donna esperisce vicissitudini durissime che ne segnano l’animo di immenso dolore.

La vita per Sunja e i suoi discendenti è tutt’altro che semplice in un Giappone in cui rischiano tutto per riscatto e sopravvivenza.

Eppure, la speranza non abbandona mai l’animo dei personaggi alla ricerca continua di una vita migliore in un luogo in cui non sono desiderati. Coi salti spazio-temporali conosciamo persino Solomon, il nipote arrivista di Sunja, intermediario finanziario nella New York del 1989. L’ambizioso giovane rappresenta il contrasto e la redenzione dell’albero genealogico che ha alle spalle. Seppur molto lontano dal dolore d’animo che ha attraversato i suoi familiari, Solomon intraprende un nuovo viaggio assieme alla nonna nel tentativo di raggiungere l’ennesimo traguardo professionale: concludere un ingente affare con un’anziana donna coreana. I differenti passati si intrecciano e sono proposti in un continuo flusso senza un vero e proprio ordine cronologico, ma proponendo un costante gioco di contrasti tra gli abusi subiti dai migranti coreani e la controversa e conflittuale vita in giacca e cravatta di Solomon.

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Pachinko (640×385)

Ciascun protagonista affronta le difficoltà e gli ostacoli della vita, godendo dei piccoli traguardi e patendo le più aspre sconfitte. Ciò nonostante, nessuno può interrompere la propria danza intergenerazionale goliardica ripresa nella sigla: una danza di superficie, falsamente euforica e colorata. La brillante speranza e gioia trascinante sono concretizzate in un’atmosfera che non sembra avere nulla di quella amara e poetica crudezza rappresentate nel dramma monumentale. Eppure, al netto delle esperienze vissute dai personaggi, è proprio attraverso la falsa allegria esibita sulle note di Let’s Live for Today che conosciamo meglio i personaggi e i loro tormenti nascosti da colori saturati, sorrisi e movimenti. Ognuno ha un’illusa gioia di vivere, una speranza che lo manda avanti nel gioco d’azzardo della vita, in questo caso veicolato dalla metafora del pachinko stesso, gioco d’azzardo popolare in Giappone.

Il pachinko ha la struttura di un flipper che ha come obiettivo quello di catturare quante più sfere d’acciaio possibile, muovendo le leve per tentare di indirizzarne inutilmente la traiettoria. Infatti, le pale mosse dal giocatore hanno scarsa possibilità di influire effettivamente sulla vincita del gioco, che risulta spesso e volentieri una mera questione di fortuna. Ciò nonostante, i giocatori continuano a muovere le leve nel tentativo di alterare il risultato ed esercitare il controllo, mossi proprio dalla speranza che anima allo stesso modo di protagonisti della serie tv, vittime di una situazione sulla quale purtroppo non avranno mai pieno potere. Allo stesso modo, Sunja, i suoi genitori, i suoi figli e i suoi nipoti cercano in ogni modo di sopravvivere, di andare avanti in un contesto in cui sono gli ultimi e gli indesiderati. Il pachinko stesso è elemento ricorrente nella serie tv in quanto il figlio di Sunja e Isak (e dunque padre di Solomon), Mozasu, è gestore di una sala del gioco d’azzardo in questione, simbolo stesso del controverso stato intermedio del figlio di migranti. 

Mosso ognuno da scopi in qualche modo differenti, e dai valori corrispondenti, i protagonisti di Pachinko sono vittime di una vita che li spinge a esperire gli estremi di ogni situazione, in una realtà in cui non esistono zone grigie.

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Pachinko (640×368)

Il potere potrà anche cambiare forma, ma la discriminazione e il dolore vissuto costantemente sulla pelle di chi non ha mai perso la speranza conducono verso la costante e rinnovata rincorsa di una momentanea beatitudine. Perché, come nel pachinko, nessuno è veramente artefice del proprio destino e della propria fortuna. E allora non ci resta che continuare a sperare e vivere alla giornata. Ballando insieme, liberi da ogni condizionamento, sulle note iconiche di Let’s Live for Today.

Pachinko è un’opera ambiziosa, una colossale ricostruzione storica che mira a una dimensione epocale e sontuosa. La serie tv ha la nobile vocazione di raccontare sullo schermo una storia che convenzionalmente, in passato, non avrebbe mai raggiunto alcuna redenzione. Ebbene, Pachinko offre un tributo a generazioni intere che si sono distinte per speranza e persistenza. Per l’invidiabile capacità di andare avanti, nonostante tutto, in nome dell’amore, dell’ambizione, della sopravvivenza. Col progredire del tempo e delle generazioni, infatti, tutto sembra ripetersi ciclicamente sotto differenti forme ma con i medesimi schemi. Un gioco fuori controllo in cui non resta che avere fiducia in quelle che sono le mosse che azzardatamente il futuro pianifica per ciascuno.