Le parole hanno un peso, e con esso un prezzo da pagare. Bastano poche e semplici parole per distruggere una vita. Ne basterebbero altrettante per salvarla. Painkiller – qui la nostra recensione – ci insegna (soprattutto) questo. Ci insegna che semplici termini, usati in circostanze particolari, possono produrre effetti devastanti. Ci insegna anche che certi termini, se non vengono utilizzati con cura, possono rovinare molte, moltissime esistenze in pochi attimi. Soprattutto se a pronunciarle sono coloro di cui ci fidiamo ciecamente, coloro ai quali affidiamo la nostra vita, la nostra salute, e insieme alla nostra anche quella di chi ci ama di più al mondo.
Painkiller è un urlo straziante. Ma, nonostante provenga da più direzioni, nessuno lo sente. Nessuno lo comprende.
In soli sei episodi, la miniserie targata Netflix creata da Micah Fitzerman-Blue e Noah Harper, cerca di dare voce a questo grido straziante che per anni è stato nascosto e ammortizzato. Se non basta a rendere già abbastanza tragica e arrabbiata questa storia, introducendo ogni puntata con uomini e donne che condividono foto e ricordi dei famigliari morti per colpa dell’Oxycontin, ci pensa Edie Flowers. Il suo personaggio, reso magistralmente dall’attrice Uzo Aduba, infonde una rabbia sentita e profonda, che con il procedere della storia assume mille sfaccettature diverse: rabbia, odio, speranza, rassegnazione. Edie è stata la prima a interessarsi di questa storia: ispettrice del dipartimento di giustizia, è il filo conduttore che cerca di ricostruire la nascita e l’espansione dell’impero dalla Purdue Pharma, che ha prodotto e commercializzato il più potente anti-dolorifico della storia: l’Oxycontin. Il successo dell’Oxycontin si è basato principalmente sul potere persuasivo della parola. Tre sono state le parole che hanno dato il via a tutto quanto, ovvero la promessa che questo farmaco assicurava la cessazione del dolore. Queste pericolosissime parole sono state il fulcro della vicenda, coinvolgendo e convincendo migliaia di persone come fossero oro colato. Sono state oro colato, infatti, i discorsi motivazionali e convincenti che Britt (Dina Shihabi) professava di fronte a ragazze ingenue come Shannon Schaeffer (West Duchovny) per convincerle che grazie a questo nuovo e innovativo farmaco nessuno avrebbe più sofferto alcun tipo di dolore. Parole allettanti e pericolose, troppo per rendersi conto che sarebbe stata un’arma a doppio taglio.
La carta vincente della Purdue Pharma e del suo rappresentante, il medico Richard Sackler (e interpretato da un fenomenale Matthew Broderick), è quella di riuscire a sfruttare le falle del sistema, producendo e commercializzando un farmaco pericoloso e potenzialmente distruttivo che può essere prescritto a chiunque: dal malato terminale alla ragazzina che si sloga la caviglia, da chi subisce un’operazione chirurgica a chi soffre di mal di testa. I medici, personaggi che nella miniserie ricoprono un ruolo secondario rispetto agli altri ma che in realtà hanno avuto un ruolo primario nella storia, sono stati portati a credere che tutto ciò fosse possibile e realizzabile, senza riflettere sul fatto che un farmaco che fa sparire ogni tipo di dolore non può (inevitabilmente) che creare una qualche dipendenza e assuefazione. Ma un’altra carta vincente della Purdue Pharma viene giocata proprio in questo caso, lanciando all’assalto giovani e belle ragazze in grado di convincere e far credere anche al più scettico dei medici qualunque cosa. Giovani ragazze che, come Shennon, anche se inizialmente potevano credere di far del bene alle persone, decidono poi, consapevolmente, di guardare dall’altra parte.
Per i soldi si è disposti a fare qualunque cosa, perfino convincere i medici a prescrivere dosi di farmaco sempre più elevate, perfino assistere ogni giorno a folle di persone impotenti e arrabbiate, che per colpa del farmaco hanno perso persone care, passandogli accanto indifferenti. La storia dell’Oxycontin in Painkiller è anche la storia di Glen (un eccezionale Taylor Kitsch) e della sua famiglia, prima apparentemente risanata e poi lentamente distrutta, che potrebbe essere benissimo la storia di chiunque. Glen inizialmente non ha avuto scelta: provare il nuovo farmaco miracoloso, approvato da medici e ricercatori, o abbandonarsi ogni giorno a dolori lancinanti. Glen sarebbe potuto essere chiunque di noi, chiunque si fosse trovato nella sua situazione. Pensare di non provare più alcun tipo di dolore è un’idea allettante che avrebbe fatto tentennare qualunque persona.
Painkiller è angosciante.
Painkiller è una storia tragica e arrabbiata. Ci arrabbiamo e ci indigniamo insieme a Edie, mentre cerca di intentare una causa contro la Purdue Pharma che è riuscita a vendere droga in modo legale ed è riuscita a convincere medici e rappresentati farmaceutiche a diffondere una piaga sociale e sanitaria prescrivendo sempre di più, ancora di più, a chiunque, per ogni cosa. La miniserie, però, mostra anche medici che si sono ribellati alla “moda” dell’Oxycontin, perché si sono resi conto che gli studi effettuati sul farmaco sono incompleti e fuorvianti. E anche qui ci rendiamo conto dell’importanza delle parole: termini semplici come “si ritiene” vengono usati in continuazione dalla Purdue Pharma per giustificare e spiegare che il farmaco causa minori percentuali di dipendenza rispetto a molti altri. Ma come nota Edie, chi è che lo ritiene? Perché nessuno ha indagato più a fondo? Perché nessuno ha fatto niente?
Guardare Painkiller è stancante, sfiancante, estenuante. Vedere ciò che Richard Sackler e la sua Purdue Pharma sono stati in grado di fare in tutti questi anni a scapito di tante persone come Glen, come Shannon, come Edie è emotivamente disturbante. Come Edie, alla fine di questa storia ci rimangono solo rabbia, odio, speranza, rassegnazione.