4) A Man in Full spiega mascolinità tossica in (troppe) poche semplici mosse
Il titolo risulta già parlante, se consideriamo però la traduzione italiana in Un uomo vero, perché è esattamente questa l’ambizione massima e quotidiana di Charlie Croker. Interpretato dal mirabolante Jeff Daniels, Charlie è un magnate e grande imprenditore di Atlanta, che da un giorno all’altro viene convocato dalla banca per un debito di un miliardo di dollari. Ma come lo avrà accumulato se di certo i soldi non gli sono mai mancati? Ebbene, Croker incarna la sfilata di vizi, l’esibizionismo e la mitomania del tipico miliardario americano anni 90. Siamo di fronte ad un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a parlare per frasi fatte volte a mascherare la sua grande ignoranza. Servendosi anche della sua assodata ricchezza e dalla continua ostentazione dei suoi “attributi maschili”, perché solo così si diventa uomini veri, a suo dire.
Charlie non si muove da solo in questo labirinto di machismo e inconsapevolezza totalizzante di tutto ciò che è equità e giustizia. Conosciamo infatti Raymond Peepgrass, il tipico uomo frustrato e mediocre che rappresenta il principale rivale di Croker soltanto perché lo invidia e pagherebbe per stare al suo posto. Questo definisce infatti la sua infima personalità e la bassezza delle sue aspirazioni. Si distingue invece l’avvocato Roger White, che cerca in tutti i modi di perseguire il giusto e si scontra con i misfatti di una società marcia come quella americana dell’epoca.
Insieme a lui c’è Wes Jordan, il candidato sindaco di Atlanta
Un altro uomo afrodiscendente, che con l’amico avvocato, cerca di combattere ogni forma di discriminazione radicata da sempre nella città . Le delicate tematiche di razzismo e minoranze vengono solo accennate, senza la lucidità di approfondirle con una riflessione di tipo socio-culturale e psicologico. Così come ad essere trattata con superficialità è il processo che ha portato un uomo potente a dover decidere se subire positivamente il fallimento o essere tanto ostinato da cercare in tutti i modi di aggirare il sistema e non ammettere le sue colpe.
Per tali ragioni unite alla scelta stessa del formato breve, questa tra le nuove serie tv si allontana dalla presunta eredità di una serie colosso come Succession, volta invece a sviscerare e poi analizzare gli elementi cruciali della trama e le delicate tematiche annesse. Se pensiamo inoltre che si tratta dell’adattamento di un romanzo di Tom Wolfe, è evidente come pochissimi dei suoi punti salienti siano stati qui approfonditi. E soprattutto sono i personaggi a sembrare quasi improvvisati.
La loro caratterizzazione è abbastanza grossolana
Nonché caricaturale e grottesca considerati alcuni atteggiamenti o espressioni verbali. Tanto che nei dialoghi e nelle valutazioni finali si avverte una certa impazienza, un desiderio di lanciare la miccia per poi perdersi l’esplosione in un secondo momento che non ci è dato conoscere. Rilevante è sicuramente la presenza di personaggi femminili come Martha Croker interpretata da una grandiosa Diane Lane e Joyce Newman, egregiamente impersonata da Lucy Liu.
Questo perché in maniera implicita fanno da contrasto alla mascolinità tossica (qui trovate un articolo a riguardo) di Charlie e di chi come lui è reduce dalla cultura yuppie della megalomania. Nonché dei duelli tra uomini egoriferiti come quello tra Charlie e Zale, per poi passare all’ostentazione di tutto ciò che in fondo non li renderà mai uomini veri agli occhi di chi lotta ogni giorno per i propri diritti. Queste donne dunque conducono una lotta più o meno silenziosa contro chi le vuole rendere dei trofei da esporre alle cene di lavoro e che pretende siano sempre giovani e impeccabili. Non considerando i loro piccoli drammi interiori portati dalla menopausa o dal sentirsi perennemente prevaricate dal “capo famiglia”.
Nonostante ciò in questa tra le nuove Serie Tv che hanno deluso le aspettative, il ritmo risulta azzeccato
Considerata l’innumerevole selezione di nodi da districare della narrazione che ahimè, non vengono poi risolti più di tanto. Possiamo affermare con convinzione dunque che A Man in Full si nutre indubbiamente del fascino, più o meno apprezzabile, dell’incompiuto. Fatto di spunti che appartenendo ad un altra epoca possono ritrovarsi risolti in un futuro anche prossimo come il nostro presente. Dal 1998 ad oggi infatti, in America ma anche in Europa, la situazione relativa a problematiche socio-culturali come razzismo e disparità di genere, sono ancora temi scottanti. Questi ovviamente si trovano ormai da parecchio tempo al banco degli imputati. Tuttavia è purtroppo risaputo come trovino ancora difficoltà a venire estirpati. Pertanto il cinismo con cui i personaggi maschili della storia trattano questi argomenti, ci fa tirare quasi un sospiro di sollievo su ciò che di certo è cambiato rispetto al passato.
Asseriamo dunque che per questa miniserie si è fatto l’errore di esaltare un prodotto poco solido, che letto con le lenti sbagliate può risultare fuorviante per chi non conosce la storia e non ha spirito critico. Pertanto, parliamo di una tra le nuove serie tv che ci tengono compagnia senza appesantirci. A patto però che almeno noi non facciamo l’errore di prendere alla leggera quello che ci racconta.