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L’arrivo di Paradise Police è passato in sordina, ma merita tutta la vostra attenzione

Paradise Police
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Sarà a causa dell’attesa per la quinta stagione di Bojack Horseman (qui un articolo in merito), ma l’uscita di Paradise Police sembra essere passata quasi in sordina tra gli spettatori. La nuova serie animata, prodotta da Netflix e ideata dai creatori di Brickleberry, ha infatti debuttato sulla piattaforma il 31 agosto scorso. Oggi siamo qui per dare un primo giudizio su questa nuova creazione e vedere il riscontro anche tra voi. Iniziamo subito!

paradise police

Irriverente, volgare e violenta, Paradise Police segue inevitabilmente la scia dell’ormai conclusa sitcom animata statunitense Brickleberry.

Da non amante sfegatata di quest’ultima, devo ammettere che Paradise Police, al contrario, l’ho veramente apprezzata. Non adoro infatti serie di questo tipo, demenziali e un po’ grossolane, ma con Paradise Police mi sono ricreduta. Nonostante gli evidenti richiami a Brickleberry, questa sitcom riesce a essere molto attuale e pungente, sviluppando personaggi alquanto particolari.

La trama non è molto originale o innovativa, ma lo sviluppo è sorprendente e ricco di colpi di scena. La storia principale è incentrata infatti sulla ricerca del narcotrafficante produttore della nuovissima metanfetamina argyle, da parte di una bizzarra banda di poliziotti.

A capo del dipartimento di polizia di Paradise troviamo Randall Crawford, agente di polizia ignorante, misogino e razzista che deve continuamente assumere cerotti al testosterone perchè il figlio gli ha inavvertitamente sparato ai testicoli. I sottoposti sono invece Hopson, un vecchietto demente, Dusty, ossessionato dal cibo e dai gatti, e poi Gina, Fitzgerald e il figlio del capo, Kevin. Immancabile è inoltre il cane antidroga Bossolo, il cui unico obiettivo è scovare gli stupefacenti per poterseli tenere tutti per sè (e per gli altri cani). Il contrario di un cane antidroga insomma.

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Dopo aver fatto la conoscenza di questi inqualificabili agenti, veniamo catapultati nella routine confusionaria della centrale.

Tra la fissazione di Gina per Dusty, le paure irrazionali di Fitz e i comportamenti molesti di Hopson, l’unico che sembra voler veramente diventare un buon poliziotto è proprio l’inetto Kevin. Ho molto apprezzato la caratterizzazione dei protagonisti perché si cerca di indagare nel passato di ognuno di loro, anche attraverso semplici dialoghi. Basti pensare proprio a Fitz e ai suoi continui ricordi di Chicago o a Gina che cerca la sua famiglia.

Anche le relazioni tra i personaggi sono ben sviluppate, soprattutto attraverso il servizio di pattugliamento della zona. Kevin e Bossolo, per esempio, instaurano una specie di “amicizia” quando si ritrovano invischiati in un club di combattimenti tra cani. I legami si sviluppano anche poi più profondamente sul piano della ricostruzione del nucleo familiare, come nel caso dei Crawford. Una famiglia non senza ostilità, ma anche capace di grande affetto e sostegno reciproco.

Ci sono poi puntate con spunti creativi veramente divertenti, dove non mancano i crossover con Serie Tv di successo come Breaking Bad o Stranger Things (che avevamo già anticipato qui). Nel quarto episodio, per esempio, vediamo Dusty diventare il nuovo re del pollo e della droga, affiancato all’immagine di Heisenberg e di Pablo Escobar. Le citazioni sono molto attuali e conosciute, così da essere più apprezzabili anche per un pubblico meno esperto.

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Una delle migliori puntate però, almeno a mio parere, rimane Il caso del c***.

Una parodia verso tutte le Serie Tv poliziesche con un metodo d’indagine che farebbe invidia a Sherlock Holmes. Il capo Randall si ritrova a dover fare i conti con un caso di omicidio. Il problema è che il cadavere si trova a metà tra la giurisdizione di Paradise e di Diamond City. Si decide così di indire una gara a chi troverà prima il colpevole attraverso gli indizi lasciati sul proprio territorio. Quindi il dipartimento di Paradise si ritrova solamente con le natiche della vittima e un budget troppo basso per permettersi uno strumento d’indagine. Inoltre veniamo a scoprire che, in passato, il capo non è riuscito a risolvere un caso molto simile a questo, pentendosene da allora. Randall Crawford dovrà quindi fare i conti con i demoni del passato e del presente, mettendo in mostra tutte le sue doti e depravazioni.

Ma passiamo al punto più importante: la comicità. Questa serie fa davvero ridere o precipita spesso nella banalità e nel ripetitivo?

Paradise Police non ricade tanto nella questione della banalità della battuta, quanto nella polemica sull’utilizzo della volgarità come strumento comico. Già con Brickleberry abbiamo visto il trionfo della gag rozza e fine a se stessa sulla battuta intelligente e inaspettata. Ma con Paradise Police, Waco O’ Guin e Roger Black hanno calibrato meglio la mira. La sitcom è sì rude e politicamente scorretta, ma è più studiata e attualizzata nelle battute secondarie.

Quando Fitz, dopo l’esplosione del robot artificiere, esordisce con

Oh, non sapevo fosse della Samsung!

non puoi fare a meno di ridere. Il pregio è che si intravede il meccanismo della battuta che schiaccia quella precedente. Sorridi già quando vedi che Fitz ha buttato il suo fondo pensionistico per comprare un robot esploso dopo 3 secondi, ma la gag non termina lì. Viene aggiunta quella ciliegina gustosissima che tutti vogliono sul loro pezzo di tortaSfortunatamente ci sono troppi pezzi di torta e poche ciliegine.

Simbolo del politicamente scorretto, questa serie si prende gioco di tutti quei temi che dovrebbero essere trattati coi guanti: razzismo, misoginia, abuso di potere, corruzione e chi più ne ha più ne metta.

Se c’è una serie che secondo me deve ancora dare tutto il suo massimo, quella è proprio Paradise Police, che spero di rivedere su Netflix l’anno prossimo. Intanto fateci sapere se l’avete vista anche voi e che cosa ne pensate!

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