L’età di una serie non è cronologica, ma culturale. Non possiamo definirla in base alle candeline che soffia ogni anno, altrimenti le miniserie non reggerebbero il confronto con quelle a stagioni infinite. E Parenthood è un family drama che – apparentemente – dà l’impressione di esser invecchiato, ma c’è qualcosa che lo relega in un limbo tra vecchio e nuovo.
Parenthood e la famiglia anni 90′
La serie in esame proviene dal retaggio di uno spettatore anni 90′ che cerca nel genere family un modello di famiglia da seguire. É uno spettatore che sogna la staccionata di Dawson, ama la complicità delle sorelle Halliwell e ricorda con emozione i lontani Genitori In Blue Jeans.
Ma il tempo culturale (e cronologico) delle serie inizia a cambiare e la famiglia come luogo di valori e conforto è il fulcro centrale di tale cambiamento. Forse Parenthood è uno di quei drama che evidenziano meglio questo processo: i Braverman sono una famiglia presente e foriera di valori positivi, sono un distillato di empatia e saggezza.
Nel 2010 Parenthood in un solo nucleo familiare convoglia tematiche stringenti: autismo, fragilità interiori, dipendenze e difficoltà lavorative o di genere
Il family drama del nuovo millennio matura nuove prospettive anche nel modo di raccontare. In Dawson’s Creek si parla di divorzio e lutto (qui trovate il destino della serie se avesse avuto un seguito), ma la famiglia è sempre una campana di vetro intoccabile, appena scalfita. In Parenthood invece è messo tutto più in discussione a partire dagli stessi personaggi. Julia Braverman è un avvocato di successo all’apparenza intoccabile, ma si ritrova a fare i conti con fragilità economiche o di genere che scuotono i primi dilemmi femministi di un pubblico in transizione.
Ma l’autore di Parenthood vuole cambiare il genere o solo rinfrescarlo con nuove idee? Jason Katims (ex creatore della serie anni 90′ Roswell) nel ventunesimo secolo decide di ringiovanire il panorama seriale prendendo spunto dalle novità in arrivo. Siamo nel periodo di How I Met Your Mother, Scrubs e Breaking Bad che introducono importanti cambiamenti di trama e prospettiva scuotendo il mondo del politically correct. Ovviamente Parenthood non ha le pretese di queste serie epocali, non è ciò a cui aspira. Ma Jason Katims a piccoli passi cerca di scuotere le certezze di una narrazione familiare ormai al tramonto. Un esempio di questo tentativo è rappresentato dal personaggio di Sarah Braverman (interpretato da Lauren Graham) che per l’immaginario collettivo è Lorelai di Gilmore Girls. Sarah ci ricorda Lorelay nella sua veste di madre anticonformista, ma il personaggio di Parenthood è diverso dalla giovane mamma di Rory perché ha tratti caratteriali più profondi e a volte tragici. Sarah è più complicata di Lorelai, in molte stagioni ricadrà sugli stessi errori in un modo grottesco e drammatico, pur non mancando la tipica comicità dell’attrice. Usare Lauren Graham in un personaggio più contorto di Lorelai Gilmore può essere un modo per sfidare gli spettatori a un nuovo modo di intendere la famiglia che non è solo luogo di conforto, ma è anche perno di problematiche non risolte.
La sfida più grande: l’autismo
Max è figlio del primogenito Adam Braverman e soffre della Sindrome di Asperger che gli viene diagnosticata una volta compresa la differenza tra iperattività e condizione psicologica. Il tema dell’autismo – anticipando la serie Atypical – coinvolge tutti i componenti della famiglia Braverman che in modo diverso cercano di comprendere la situazione. Il bambino trova nel suo percorso affetto e incomprensione, in un vortice di eventi e significati che la serie rovescia di continuo. Insomma il personaggio di Max porta in auge le fragilità che incontrano i family drama nel loro dilemma più grande: la famiglia deve essere un porto sicuro o può mostrare le sue crepe interiori? Sicuramente Parenthood ha cercato di dare una risposta a più voci usando nuove tematiche, ma senza sfidare troppo il politically correct. Il risultato è una serie che guarda al passato e al dolce luogo delle famiglie da staccionata bianca, ma non dimenticando il futuro che inizia ad avanzare per ogni Family Drama. Si può dire che la serie di Jason Katims è uno sguardo timidamente accennato e decisamente opposto al coraggio di Sex Education o all’irriverenza di Shameless, nonostante questo la famiglia Braverman non rimane ferma, ma rivela se stessa nelle sue contraddizioni interne.
Ma allora com’è invecchiata Parenthood? Una stagione invecchia quando non rappresenta più l’universo narrativo di una società in cerca di nuove galassie di interpretazione e intrattenimento. Bisogna ammettere che Parenthood non ha mai voluto innalzarsi a modello di riferimento, piuttosto ha cercato di giocare con un genere che di solito si alternava tra il mood leggero di Happy Days e quello più ostico di Six Feet Under. La serie familiare di Jason Katims va in cerca di nuove galassie narrative, sfida il pubblico con l’intrattenimento per famiglie introducendo argomenti complessi. Alla fine il risultato non è propriamente all’altezza delle sfide che l’ideatore ha lanciato alla serie: la ricerca di nuove prospettive è limitata e la famiglia Americana resta un punto fermo leggermente scosso, ma mai messo in discussione del tutto. Insomma, si può dire che Parenthood scuote ma non troppo e per questo non sarà mai del tutto giovane né del tutto vecchia, solo al liminare.