Nessuno mi pensa incline a simili romanticherie.
Sono un tipo pratico, pragmatico: arrivo dritto al punto, ma sono irrequieto. Uso l’azione per lenire quest’irrequietezza. L’azione è l’unica reale nemica del mal di vivere, di questo senso di soffocamento ormai tanto radicato da sembrare antico quanto i primi discendenti dei miei avi. Prima ancora che si chiamassero Shelby, prima che iniziassero la loro gitana opera che mi conduce oggi all’ascesa verso il trono: la serenità. Non mia, no. Dei miei cari.
Io la penso la poesia. A modo mio, ogni istante.
È il cuore per mi manca per stenderla su carta. Ed ecco questo foglio altro non è che ciò che sarebbe stato se solo avessi scacciato la codardia di rifugiarmi sempre nell’azione e da sognatore parlare ai sognatori.
Se la chiamassi ode ai sognatori, dovrei poi ammettere che è un’ode ai dormienti: ma quando si parla della verità la gente spesso si confonde.
Io la verità l’ho appresa nel buio di un cunicolo scavato a far da tomba a molti di quelli che lo scavarono. A far da tomba ai sogni di chi lo scavò, ma rimase vivo: io tra questi. Nell’infamia della guerra ho seppellito i miei sogni, non lo sapevo, allora, che i sogni sono semi e se non li soffochi a dovere, poi ti crescono delle piante fino al cielo.
In pochi le vedono. La mia la vedo solo io, ma chi mi conosce si fida della sua esistenza.
Io mi ci arrampico a forza, mi districo nell’invisibilità dei suoi rami, credo nella fermezza delle sue radici, ne conosco i frutti solo perché immagino la bella stagione che, per ora, stenta a venire: eterno è l’inverno.
Ogni tanto c’è il sogno del sonno, il sogno nel sonno imbiondito dal tuo ricordo, Grace. È una pistola eternamente puntata sul cuore, è l’infinito attimo prima di sparare. Se esiste una morte perenne è questa: l’indelebile ricordo del tuo viso.
Più di una volta, la realtà lucidamente si è fatta breccia nella mia esistenza con l’evidenza che solo la morte porta con sé. Non di meno io mi arrocco in difesa del mio sogno. Un sogno sveglio, questo è certo. Eppure più del cibo mi tiene vivo.
Queste sono cose che avrei potuto scrivere e dire, ma mai scriverò o dirò.
Sono un tipo pratico, pragmatico: arrivo dritto al punto. Mi tiro a forza e a disperazione sulla cima della pianta di quei sogni seppelliti, nella speranza che vi sia più facile parlar dei sogni stando all’altezza del cielo.
Vi cedo il diritto. Questa la mia eredità mai detta: sognate sognatori, è lì la verità che conta.
A Charles,
A Ruby,
Il papà
LEGGI ANCHE La tristezza incurabile di Thomas Shelby